Da ragazzo veniva soprannominato Kissinger, come il segretario di Stato del presidente Nixon (grande amico di Gianni Agnelli, tra l’altro), per via delle sua grandi doti da mediatore, ha studiato all’università dopo il classico ma fu costretto a interrompere gli studi senza laurearsi perchè il calcio lo aveva già assorbito (“Ho ancora il rammarico di non aver potuto concludere il percorso accademico che avevo iniziato. Ma nello sport succede spesso, quasi sempre: se ti vuoi dedicare con la massima professionalità al tuo incarico, devi scordarti il resto. Un peccato”) ed a 8 anni era già nell’organigramma del Varese. Come garzone tuttofare certo, ma si vedeva che era un predestinato. Beppe Marotta il prossimo mese (o anche prima) dovrebbe essere ufficializzato come nuovo dg dell’Inter dopo anni di trionfi alla Juve ma la sua è una storia antica, che parte da lontano. Poco si sa della sua vita privata (ha una moglie, Cristina e due figli gemelli, Elena e Giovanni, nati nell’ottobre 2010), molto di quella pubblica. Perchè Beppe Marotta il calcio l’ha respirato da bambino, arrivando a 19 anni a girare con il cartellino del Varese nella tasca dei jeans. C’ è scritto: dirigente. Poi diventa direttore sportivo e direttore generale e presidente. Per un anno e mezzo, a soli 25 anni. Da Varese a Monza il tragitto è breve e già nel club brianzolo riuscì a fare grandi colpi di mercato.
DA CASIRAGHI A VIERI – Tratta la cessione di Casiraghi alla Juve. Lui ricorda: «Boniperti mi riceve nel suo ufficio, è molto gentile. Parla di lotta e cattiveria calcistica. Dietro la sua scrivania, ha un quadro con dentro un calzettone azzurro strappato. Lo mostra a tutti con orgoglio. Ma è anche un monito. Chi entra, soprattutto i giocatori, vede e capisce. Questo sono io, questi siete voi. Ragazzi, il calcio è rabbia e forza: siete gli artefici del vostro destino. Io sono giovane, lui mi annusa con leggero distacco, tiro un po’ sul prezzo e Casiraghi, alla fine, lo prende alle nostre condizioni. Era uno dei giocatori del momento. Lui e Simone del Como. Uno alla Juve, l’ altro al Milan». Non è stato l’unico bomber a 5 stelle della sua collezione. In casa ha una foto di Bobo Vieri con la maglia del Ravenna. «Sono stato il primo ad acquistarlo. Era nel settore giovanile del Torino e convinsi il presidente Goveani a darcelo». Il costo? «Un miliardo e mezzo. Poi lo hanno ripreso indietro per cinque e l’ ho ritrovato al Venezia».
LA SCALATA – Dove ha lavorato con Zamparini: «Cinque anni, una vita. Perché un anno con Zamparini vale come dieci… no, dieci no, diciamo cinque da un’ altra parte. Un vulcano, impressionante. Zamparini è un uomo istintivo e onesto. Ha aiutato molta gente, molte famiglie. Io sono stato testimone di atti di grande generosità. Ricordo l’ emozione della festa in Piazza San Marco, dopo la promozione in serie A. Indimenticabile». Dopo Venezia il salto alla Sampdoria ed è lì che lo nota la Juventus per affidargli la rinascita post-Calciopoli. Lui lavora 24 ore (o quasi al giorno): “Non ci sono orari, io non li avrò mai. Ho scelto di fare questo, potrei dire che è il sogno americano. La storia del garzone che sfonda, che si fa da solo, che ha successo, che realizza i suoi sogni. Mi piacerebbe potesse diventare un piccolo esempio per qualche giovane: vedi, nella vita tutto è possibile”. Anche passare dalla Juve all’Inter e provare a vincere una nuova scommessa.