E’ stato il capitano del periodo d’oro dell’Ascoli, quello che nella stagione 1979-1980 centrò il quarto posto. Adelio Moro era il mediano e il capitano dei bianconeri guidati in panchina da Giovan Battista Fabbri e dal vice Mario Colautti. Al termine di quella stagione la Figc volle premiare i marchigiani inviandoli come propri rappresentanti alla Red Leaf Cup. Un torneo internazionale che puntava alla crescita del gioco del calcio nel Nord America. In finale l’Ascoli vinse per 2-0 sui Rangers Glasgow con le reti di Moro e Perico. Poi l’Inter e un presente con un unico, importante rammarico.
Tanti anni di serie A e un record, unico giocatore a non aver mai sbagliato un rigore: 10 realizzati su 10 tirati.
“Ne no segnati anche una ventina in serie B ma in massima serie è una cosa di cui vado fiero e in squadre diverse. All’Inter il rigorista era Boninsegna, mentre, a Verona e ad Ascoli li calciavo io. Il primo lo segnai alla Fiorentina. Ho imparato a calciarli guardando Beppe Savoldi, mi mettevo dietro la porta quando al termine dell’allenamento del giovedì lui stava quasi un’ora a tirare rigori. Aveva un metodo tutto suo e io lo ho studiato. Lui guardava sempre…
il portiere e a seconda del suo movimento indirizzava la palla da una parte o l’altra della porta”.
Nel 1972-1973 inizia l’esperienza all’Inter.
“In quella squadra c’erano giocatori che avevano vinto tutto. Come Giacinto Facchetti, per lui ero come un fratello minore, dividevamo la camera e andavamo all’allenamento insieme. Mi ha insegnato tanto sia sotto l’aspetto tecnico che comportamentale. Ho avuto come allenatore Helenio Herrera, un tecnico all’avanguardia anche negli allenamenti rispetto ad altri allenatori. Mi teneva spesso in panchina e quando vedeva che non si riusciva a sbloccare la partita mi inseriva nel secondo tempo”.
Dopo la parentesi a Verona inizia il periodo d’oro con l’Ascoli.
“Io sono andato all’Ascoli per merito del presidente Costantino Rozzi, in precedenza i suoi dirigenti non riuscirono a convincermi perché non volevo scendere in serie B. Poi, ricevetti una telefonata di Rozzi che mi convinse. Mi disse che mi voleva a tutti i costi e che aveva un progetto importante con un immediato ritorno in serie A. Poi, mi insignì del ruolo di capitano di quella squadra. Quando arrivammo quarti avevamo una rosa di prim’ordine con Anastasi, Scanziani, Pircher, Boldini, mentre, tra i pali arrivò Pulici. Ad Ascoli mi sono preso grandi soddisfazioni professionali tutto per merito di Rozzi e degli allenatori che ho avuto”.
Nel 1981-1982 passa al Milan dove c’era come straniero Joe Jordan.
“Me lo ricordo ancora, atleta molto forte fisicamente, bravo nei colpi di testa. Insomma la classica punta centrale che faceva a sportellate con tutti i difensori e determinante in diverse gare. In quel Milan c’erano tanti giocatori che, poi, si sono affermati come Piotti, Baresi, Collovati, Evani”.
Poi, ritorna nella sua Atalanta dove nel 1969 all’inizio della sua carriera vinse il torneo di Viareggio.
“Mi tolsi la soddisfazione di vincere il campionato di serie B, c’era Nedo Sonetti in panchina e tanti giovani come Magrin, Donadoni e Pacione”.
Quindi, intraprende la carriera di allenatore e fa esordire in serie A prima Pirlo e, poi, Baronio.
“Andai a Brescia chiamato da Gino Corioni che era stato il mio presidente quando militavo nell’Ospitaletto. Arrivò Mircea Lucescu che però non aveva il patentino per sedersi in panchina. Così una sera mi chiamò Corioni che mi propose di fare il tecnico in seconda. Quel Brescia aveva un ottimo settore giovanile in cui c’era Andrea Pirlo. Nel secondo anno di serie A nel corso della partitella del giovedì notai questo giocatore che aveva ottime qualità per esordire in massima serie. Poi, fummo esonerati io e Lucescu e dopo due mesi venimmo richiamati. Mircea però decise di far fare a me il responsabile tecnico. Mancavano sette-otto gare al termine della stagione ed eravamo già retrocessi. Così feci esordire prima Pirlo e, poi, Baronio”.
Come scopritore di talenti inizia a lavorare per l’Inter.
“Lucescu mi chiese spesso di andare con lui ad allenare all’estero. Io decisi di fermarmi un anno. Poi, un giorno mi chiamò Giacinto Facchetti che all’epoca era vice presidente dei nerazzurri e mi chiese di fare l’osservatore per loro, che ho svolto fino a due anni fa. Il primo giocatore che segnalai all’Inter è stato il brasiliano Adriano che, poi, fu acquistato. Io lo vidi in Nuova Zelanda in un campionato Mondiale under 17 e lui giocava nel Brasile dove mise in mostra le sue qualità tecniche. Lo indicai subito alla società”.
La rete più bella e più importante della sua carriera?
“E’ stata quella in un Inter-Napoli terminata 2-2 nella stagione 1973-1974 a San Siro. Era la terza giornata di campionato, una gara spettacolare. Io segnai il goal che sbloccò la partita dopo quindici minuti. Dribblai tutta la difesa dei partenopei e, poi, misi la palla alle spalle di Carmignani. Presi un applauso per quasi cinque minuti dai settantamila del Meazza. Mi vengono i brividi ancora adesso che lo racconto”.
Infine, il rammarico maggiore che ha avuto?
“Nel 1980 ero nei quaranta per gli Europei, mi chiamò Bearzot e me lo disse. Poi, non se ne fece più nulla. E’ un rammarico perché al termine della stagione 1979-1980 avevo giocato un anno da protagonista ad Ascoli e fui premiato come uno dei migliori giocatori del campionato”.
Pasquale Guardascione