Cultura e integrazione con il pallone, l’Ospitaletto durante l’anno ha fatto scuola sia sul campo sia fuori. La Serie C conquistata dopo 27 anni dall’ultima volta e una piccola comunità di 15000 abitanti in festa con il calcio, usato anche come strumento educativo. Un progetto partito dai dilettanti e un doppio salto di categoria che conferma il grande lavoro dello staff. Un gruppo di ragazzi che dell’umiltà “operaia” e dell’etica del lavoro ha fatto il proprio mantra. Proprio come la filosofia della città. E tra i protagonisti della cavalcata c’è chi ha aiutato gli Orange a tornare tra i grandi: Antonio Giosa (ex giocatore di Serie A con la Reggina). E ora sta dall’altra parte del campo, non a fermare gli avversari, ma a dare consigli ai suoi giocatori. Da vice di Quaresmini e allenatore della Juniores ha vissuto la sua prima annata da mister e ne ha parlato in esclusiva a Virgilio.
Dal ritiro con l’Ospitaletto alla panchina, cosa è cambiato?
“È un ruolo completamente diverso. Ho avuto la fortuna di iniziare questo nuovo percorso in una realtà in cui mi conoscevano tutti, ero il capitano in Eccellenza. Il rapporto umano è stato sempre eccellente con la piazza e i compagni. Non è mai semplice smettere, ma credo che non ci fosse percorso migliore per me per iniziare. Poi vincere subito e stare in questo contesto mi ha ripagato di questa scelta sofferta, ma che rifarei altre mille volte. Ho approcciato a questo nuovo ruolo con passione”.
C’è più stress nella gestione di un gruppo rispetto a quando giocava e ne faceva parte?
“Sono sempre stato un rompiscatole, nello spogliatoio ho spesso fatto il capitano e non mi sono mai tirato indietro quando serviva mettere i puntini sulle i, sono stato presente. Quando passi dall’altro lato cambia, ma questo ruolo di vice allenatore mi ha permesso di avere un rapporto umano con i giocatori. Poi bisogna essere intelligenti non andare oltre il limite. Ma i ragazzi sono stati tutti spettacolari, poi il mister Quaresmini è il numero uno nella gestione”.
Come si è integrato con mister Quaresmini?
“Ci conoscevamo già da tre anni e sono stato il suo capitano. Il rapporto già era buono e andava al di là del semplice rapporto allenatore-giocatore. Poi c’è stata questa opportunità e l’ho colta bene, soprattutto conoscendo il mister. In termini di lavoro mi ha dato molto spazio, c’è stata grande condivisione. Non potevo chiedere di meglio”.

Quando avete capito di poter vincere anche questo campionato ? C’è stato un episodio particolare?
“La squadra era forte e lo sapevamo dall’inizio della stagione. C‘è stata una grande condivisione a livello di spirito sin dal ritiro. La squadra, lo staff tecnico e l’ambiente hanno creato una grande alchimia che non arriva per grazia ricevuta. Bisogna scegliere le persone giuste, bisogna essere uomini prima che calciatori. Sembra una frase fatta, ma è la verità. Poi le vittorie ci hanno aiutato a crescere. Abbiamo avuto un piccolo calo a marzo, ma ancora una volta lì è uscita fuori la fame e la forza del gruppo”.
Cosa ha imparato da questo primo anno in panchina?
“Mi ha dato la consapevolezza che come tutte le cose bisogna metterci sempre grande passione e che nel mio futuro mi piacerebbe seguire questa strada. Il percorso è stato quasi naturale. Cambiano tante cose rispetto a quando fai il giocatore, ci sono più responsabilità. Poter iniziare in questo contesto è stato un valore aggiunto”.
C’è qualche allenatore che hai come riferimento?
“Tutti e nessuno. Sono sempre stato affascinato da allenatore capaci di creare empatia con i giocatori. Sono dell’idea che la gestione sia importante. Se non riesci ad entrare nella testa dei giocatori, puoi essere anche il più preparato, ma diventa tutto più difficile. Poi ovviamente conta la preparazione durante la settimana e l’aspetto tattico”.
Ospitaletto in Serie C dopo 27 anni, quali sono le ambizioni?
“La prossima stagione ripartiremo con la conferma dello staff tecnico, resteremo io e il mister. Abbiamo una struttura consolidata. Sarà un anno diverso e l’obiettivo sarà salvarsi a tutti i costi. Manchiamo da quasi 30 anni tra i professionisti e bisogna farsi trovare pronti con le idee e il lavoro, più che con le risorse che saranno diverse dalle competitor. Ma siamo ambiziosi e possiamo farcela”.

Come è stato stare a contatto con i ragazzi della Juniores?
“È stato spettacolare e stimolante. Avere a che fare con i ragazzi ed essere il responsabile mi è piaciuto ed è andato a compensare quello che mi mancava con la prima squadra. Compiti e mansioni diverse. Mi è sembrato di fare due lavori diversi. Con i giovani ho dovuto fare tante volte il “mental coach”, perché è un’età particolare in cui i ragazzi si iniziano ad affacciare al mondo dei grandi”.
Ritieni che in Italia si dia poca fiducia ai giovani? Come andrebbero gestiti e cosa cambieresti?
“Non mi è mai piaciuto, da quando c’ero dentro, l’obbligo di fare giocare i ragazzi. Per me questa è una cosa che toglie più che dare. Quando giocavo in C dovevo farmi il mazzo per fare una presenza e alzava il livello. Ora le obbligatorietà delle quote non fanno il bene nelle crescita dei ragazzi. La meritocrazia deve sempre essere al primo posto. E non è un caso se poi si faccia fatica a tutti i livelli. Molti giovani quando si affacciano alle prime squadre non sono pronti come prima. Questa è anche una cosa culturale e poi nel settore giovanile si è smesso di lavorare sul calciatore. Si punta a vincere più che a migliorare ragazzi. Ho combattuto per questo. Il mio obiettivo da formatore deve essere quello di aiutare i giovani a crescere. L’obiettivo primario non deve essere la vittoria”.
L’Ospitaletto apre molto ai giovani e all’integrazione dello sport attraverso progetti per aiutare chi ha più difficoltà. È qualcosa che si può applicare anche in categorie superiori?
“Magari, il calcio è inclusione e aggregazione. Noi da sempre siamo sempre stati attenti al sociale. La comunità è piccolina e il calcio deve fare da traino. Un ragazzo che si avvicina al calcio ha meno tempo di pensare a cose meno utili per il suo futuro. Se tutti avessero questa predisposizione sul territorio ne avremmo tutti da guadagnare”.