A Casoria c’è voglia di fare un po’ di storia. Senza voler scomodare paragoni illustri, ma la serata che attende Pamela Malvina Noutcho Sawa non sarà come le tante che ha passato in vita sua all’interno di un ring. Che è diventato un po’ la sua vita, lei che le vite prova a salvarle, aiutando l’equipe dei medici dell’Ospedale Maggiore di Bologna, dove da anni opera come infermiera.
La boxe in quell’esistenza fatta di tanto amore e sacrificio è entrata in punta di piedi, ritagliandosi però uno spazio tutto per sé. E quella che una volta era soltanto una passione, oggi è diventata qualcosa in più di una semplice ragione.
Tanto che la sera di venerdì 8 settembre, a Casoria, Pamela salirà di nuovo sul ring in quello che sarà anche e soprattutto il primo match titolato della sua giovane carriera: contro Nadia Flalhi in palio c’è il titolo italiano dei pesi superleggeri, attualmente vacante. Una sfida sulla carta aperta, tra due ragazze che hanno dimostrato entrambe di poter dire la loro. E che in qualche modo inseguono qualcosa più di un semplice sogno.
- Gli inizi di Pamela
- Mi chiamavano Tyson, odiavo la boxe
- Cittadina italiana: un diritto
- Giudicati sul ring e basta: mi piace
- La grande occasione
- Il match contro Flalhi. Poi, chissà…
Gli inizi di Pamela
Pamela ha alle spalle un’esistenza non facile, ma nella quale il lieto fine si intravede già da un pezzo. È arrivata in Italia all’età di 8 anni, e come le piace sempre ricordare, il primo impatto “a colori” non fu dei migliori.
In Camerun c’erano tantissimi colori, dal verde della natura al rosso intenso della terra. Qui il primo ricordo è il grigio dell’aeroporto.
Quello di Perugia, la città dove studiava il papà e dove è rimasta per 10 anni. Quando ha deciso di proseguire gli studi, però, Bologna l’ha accolta a braccia aperte.
Mi chiamavano Tyson, odiavo la boxe
All’inizio non sono state tutte rose e fiori. Quando ero bambina mi chiamavano Tyson (ricomparso di recente in pubblico in occasione dell’US Open, ndr), perché avevo la pelle nera e perché dicevano che avevo un corpo troppo muscoloso. Odiavo la boxe proprio per via di quel soprannome col quale non avevo nulla a che fare. Ma un giorno, mentre ero in un centro d’accoglienza per senza tetto per svolgere un tirocinio universitario, ho visto che c’era un ring e mi hanno invitato a salirci sopra. Avevo 22 anni e in quel periodo ascoltavo un artista sudcoreano che parlava nelle sue canzoni di pugilato. Così ho voluto provare, spronata da tanti amici, e mi sono accorta che quello sarebbe potuto diventare il mio mondo. È stata come una folgorazione: mi sono immaginata in palestra, a sudare e a dare pugni a un sacco. In quel preciso istante, tutto è cambiato.
Ha bussato alla palestra della Bolognina, dove ha trovato ad accoglierla il maestro Alessandro Danè, e lì ha trovato la sua dimensione di donna sportiva. Anche se la salita, sul ring come nella vita, era soltanto all’inizio.
Cittadina italiana: un diritto
Pamela all’epoca non era ancora cittadina italiana. Ma decise di cominciare il lungo iter burocratico che avrebbe dovuto portarla a ottenere la cittadinanza.
Ci sono voluti 10 anni, è stato un percorso lungo e faticoso. Ho firmato documenti su documenti, atteso per anni che arrivasse una risposta certa e definitiva. Quando l’ho ricevuta, nel 2022, è stato un momento per me davvero importante. Ho sempre detto che diventare cittadina italiana non era per me un merito, quanto piuttosto un diritto.
Dopotutto la Ntoucho ha studiato in Italia come tante sue amiche nate nel bel Paese, e lavora in ospedale da anni come tante sue colleghe bolognesi, e non solo.
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Giudicati sul ring e basta: mi piace
Sono entrata al Maggiore poco prima dell’epoca Covid. All’inizio eravamo visti come eroi, ci mandavano dolcetti nel reparto. Poi, di colpo, siamo diventati antipatici. Valla a capire tu la gente. E comunque in corsia un po’ di razzismo ancora lo avverto, mentre in palestra no: li siamo tutti uguali, indipendentemente dall’etnia o dal colore della pelle. È questo che amo dello sport, in particolar modo del pugilato: veniamo giudicati per quello che facciamo sul ring e basta.
Da dilettante Pamela ha vinto tanti match, incluso un titolo negli Assoluti 2021 nella categoria 64 kg, quando ancora quel “pezzo di carta” non era arrivato, che un po’ l’ha fatta conoscere anche all’esterno del mondo della boxe. Perché faceva notizia un’atleta così forte che pure, in nazionale, non poteva essere convocata.
La grande occasione
Quando la cittadinanza è arrivata, estate 2022, il mondo attorno a Pamela è cambiato. È passata professionista, vincendo tutti i primi 5 match disputati, di cui uno (il quarto) prima del limite.
Contro Flalhi la posta in palio sarà più alta, ma l’approccio sarà più o meno quello di sempre:
Massimo rispetto per l’avversaria, ma determinazione feroce nel provare a scendere dal ring con un verdetto favorevole. Cosa mi hanno detto a casa quando ho annunciato che sarei diventata una boxeur? Mia madre non voleva, diceva che mi avrebbero dato tanti colpi alla pancia e non sarei potuto rimanere incinta. Ma il problema è che prima bisognerebbe trovare un marito… col tempo hanno capito e adesso sono i miei primi tifosi. Un sogno? Andare a combattere a Las Vegas, l’olimpo del pugilato. Però so che ci vorranno calma e pazienza. Adesso penso solo al titolo dei superleggeri, che mi piacerebbe tanto portare a Bologna, una città che mi ha accolto a braccia aperte e che mi ha fatto sentire italiana sin dal primo giorno.
Il match contro Flalhi. Poi, chissà…
Pamela sente di doverle ridare qualcosa indietro: aver ottenuto la cittadinanza le consente di muoversi e di viaggiare, di poter contrarre un mutuo (oggi divide l’appartamento con altre tre persone), di essere cittadina del mondo, prima ancora che italiana.
Le ha dato quella libertà che non può dipendere da un pezzo di carta, ma nel mondo le ingiustizie sono ancora all’ordine del giorno. Pamela vuol far tornare i conti: intanto quelli dei giudici che dovranno consegnare all’arbitro il verdetto a fine match contro Nadia Flalhi. Poi, chissà…