Giocavano non soltanto per loro, ma per una regione intera. Non a caso a Cesena avevano pensato davvero di fare le cose perbene: sulla manica sinistra il logo della Regione Emilia-Romagna ci stava da Dio, anche per il significato che offriva a chi assisteva da lontano alla corsa play-off della squadra di Mimmo Toscano.
“Romagna, tin bota”, rialzati, dimostra al mondo ciò di cui sei capace.
Siamo tutti italiani, ma solo noi romagnoli:
la resilienza di questo popolo è qualcosa che andrebbe mostrata nelle scuole di tutto il mondo, tanto forte è l’attaccamento alle proprie radici e la voglia di tornare alla normalità dopo l’alluvione che a metà maggio ha messo in ginocchio interi comuni. E il Cesena, quello del calcio, della Romagna è “la nazionale”: tutti la tifano, tutti l’adorano, tutti soffrono quando le cose vanno male. E l’ultima notte è stata per molti un inferno, perché ancora una volta la maledizione dei play-off s’è abbattuta su una squadra che non riesce a liberarsi dalla gabbia tutt’altro che dorata della Serie C.
- La sconfitta contro il Lecco e un film già visto
- Il derby a stelle e strisce
- Il peccato originale che ha condizionato la stagione
La sconfitta contro il Lecco e un film già visto
Stavolta ci avevano creduto in tanti, in barba ai balbettii che hanno contraddistinto la stagione dei bianconeri. Che hanno perso la volata per il primo posto nel girone B per un paio di punti appena, dilapidati spesso e volentieri nei minuti finali di partite che andavano chiuse, ma che puntualmente sono rimaste aperte.
Nei play-off poi è risaputo che può succedere di tutto: dalle parti del “Manuzzi” l’avevano capito già senza fronzoli nelle due stagioni passate, sbattuti fuori senza appello prima dal Matelica (2-3), poi dal Monopoli (0-3), sempre nel cuore della Romagna, sempre davanti a un piccolo incredulo, rimasto senza fiato né parole anche al termine dell’inopinata semifinale persa ai rigori contro il Lecco.
Una semifinale, come spiegato da Toscano,
degna fotografia della nostra stagione, dove abbiamo creato tanto e segnato poco, e subito poco ma pagato tanto in percentuale.
Un film già visto in una Romagna che contava tanto sul calore e l’entusiasmo che una promozione in B poteva generare per trovare un’altra spinta per ripartire ancor più di slancio.
Il derby a stelle e strisce
Cesena è una piazza che vive di calcio. La sua casa non è e non sarà mai la Serie C, se non altro perché al “Manuzzi” anche nelle giornate meno attraenti si contano non meno di 7.000 spettatori. Lo stadio è una piccola bomboniera, la gente è appassionata e vive la squadra in modo viscerale.
Gente che ha vissuto sulla propria pelle l’onta del fallimento del 2018, ma che ancora oggi si sente intrappolata in una dimensione e in una categoria alla quale (giustamente) non sente di appartenere.
Con l’uscita delle altre due principali teste di serie (Pordenone e Crotone) la strada che avrebbe dovuto condurre al ritorno in Serie B sembrava tracciata, ma il Lecco di Foschi (soprattutto del portiere Melgrati, l’eroe della semifinale) ha pensato bene di rovinare i piani e rispedire al mittente qualsiasi velleità.
Non un fatto di poco conto, pensando all’estate che attende il Cavalluccio: le frizioni tra le due anime della dirigenza americana, con l’attuale amministratore delegato Robert Lewis entrato in rotta di collisione con gli avvocati newyorchesi John e Michael Aiello (soci di JRL Investments Partner, la società che detiene la maggioranza assoluta del Cesena dallo scorso novembre), potrebbero produrre effetti indesiderati e imprevedibili.
Anche perché gli investimenti fatti sul mercato nell’ultimo biennio sono stati consistenti, ma non hanno pagato dividendi. E quando nello sport i risultati non arrivano, chi ragiona alla maniera statunitense (AC Milan docet) non sta a guardare i buoni sentimenti.
Il peccato originale che ha condizionato la stagione
La possibile rottura tra Lewis e gli Aiello è figlia anche del “peccato originale” che ha condizionato la stagione dei bianconeri: Luca Lewis, figlio di Robert, è un portiere 22enne che fa parte della rosa del Cesena e che durante la stagione è stato spesso alternato con il più esperto Andrea Tozzo (31 anni), anche se in origine il titolare doveva essere Stefano Minelli (32 anni), che pure in campo non è mai sceso.
Il motivo? Durante la fase di riscaldamento della gara inaugurale del campionato contro la Carrarese, una volta saputo che non sarebbe sceso in campo (a favore di Lewis), per la rabbia ha dato un calcio a una panchina e s’è procurato una frattura ossea del primo metatarso del piede sinistro. Idillio spezzato, mesi di stop e la cessione (inevitabile) a gennaio.
Ma il dualismo Tozzo-Lewis ha procurato più grattacapi che altro, unitamente anche al cambio di preparatore avvenuto a dicembre con l’addio di Fulvio Flavoni e il ritorno di Cristiano Scalabrelli, quest’ultimo peraltro inviso alla Curva Mare per vecchie ruggini (il tutto sotto la direzione tecnica di Sebastiano Rossi).
Qualche punto di troppo lasciato per strada per errori evidenti e la poca tranquillità generata dalla staffetta hanno finito per travolgere anche Toscano, anche se sarebbe ingeneroso far ricadere la colpa della mancata promozione alle sole prestazioni dei portieri.
Anche l’attacco ad esempio è mancato: Alexis Ferrante, il botto estivo del reparto avanzato, ha segnato la miseria di 2 reti in 35 gare. Simone Corazza ha tirato la carretta, ma s’è infortunato nel momento clou. E i gemelli Stiven e Cristian Shpendi, il cui avvenire appare luminoso, si sono costruiti tante opportunità ma hanno difettato di cinismo.
Il Cesena stava per approdare in finale dopo aver segnato appena due reti in 390’, entrambe con due difensori (Mercadante e Prestia), di cui una su rigore. E se è vero che la dea bendata s’è voltata, di sicuro il Cavalluccio un po’ c’ha messo del suo. E dovrà aspettare ancora prima di tornare sui palcoscenici che merita di calcare.