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Che fine ha fatto Burgnich, la Roccia che scoprì Mancini

L’ex leggenda dell’Inter ha lasciato ottimi ricordi anche a Napoli

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“Sarti, Burgnich, Facchetti…”, un ritornello che ha fatto la storia del calcio e non solo della grande Inter di Herrera. Di questi tre che componevano la parte iniziale della formazione-filastrocca dei nerazzurri che dominavano in Italia e in Europa è rimasto in vita solo Tarcisio Burgnich. Oggi ha più di 80 anni, vive in Toscana tra Viareggio ed Altopascio con la moglie Rossana ed adora i figli Gualtiero e Gianmarco e i suoi cinque nipoti. Da giocatore è stata una leggenda ma anche da allenatore si è tolto le sue belle soddisfazioni.

LA CHICCA – Fu lui, sulla panchina del Bologna, a far esordire in serie A un sedicenne Roberto Mancini. Da giocatore lo chiamavano La Roccia, soprannome che gli coniò Armando Picchi. Il papà Ermenegildo lavorava alla Snia, a Torviscosa. Aveva fatto la guerra del ’15-18 con la divisa degli austriaci (“era in Marina, a Grado”) mentre il giovane Tarcisio era italiano che più italiano non si può.

I RECORD – Da bimbo tifava Torino, poi inizia a giocare sul serio. Dopo due stagioni all’Udinese gioca nella Juventus e nel Palermo, prima di approdare nell’estate del 1962, all’Inter; con la maglia nerazzurra, in 12 stagioni, totalizza 467 presenze in Serie A, vincendo 4 scudetti, 2 Coppe dei Campioni e 2 Coppe Intercontinentali e rendendosi protagonista di tutte le imprese della “Grande Inter” degli anni Sessanta.

IL RICORDO – Il ricordo più bello? Facile: “La Coppa Campioni vinta contro il Real: battere i nostri idoli, come Di Stefano e gli altri, fu la gioia più grande possibile. Eravamo fortissimi, Herrera fu un precursore, severo, innovatore: ha indicato al calcio una nuova via”. Al Corriere dello sport rivelò: “In definitiva sono stato di più in camera con Facchetti che con mia moglie. Si andava in ritiro il venerdì mattina quando c’erano le coppe, poi si dormiva insieme, sia all’Inter che in Nazionale. Ci volevamo bene». Anche in Nazionale fu un colosso: 66 partite, compresa quella più amara. Il ko per 4-1 nella finale Mondiale contro il Brasile. Appare in tutte le foto d’epoca perché provò a fermare Pelè che saltava più in alto del cielo (“Pelè è straordinario, il migliore di tutti. Ma quello che mi ha dato creato più problemi fu un suo compagno, l’ala sinistra del Santos”).

FINALE IN CRESCENDO – Chiude la carriera indossando la maglia del Napoli, offrendo ai tifosi partenopei tre stagioni nelle quali è sempre apprezzato sia per le sue doti di difensore che per le sue doti di umiltà e sobrietà. Burgnich disputa una stagione straordinaria: 36 anni 30 partite su 30 nel 1974-1975, e secondo posto con Vinicio in panchina. L’anno dopo vince l’ultimo trofeo vacante nella sua già ricca bacheca; la Coppa Italia. Gioca la sua ultima partita il 22 maggio 1977 contro la Fiorentina arrivando a sfiorare le 500 presenze in serie A (alla fine saranno 494).

IL TECNICO – Smette e inizia ad allenare: sulle panchine di Catanzaro, Bologna, Como, Livorno, Foggia, Lucchese, Cremonese, Genoa, Ternana, Salernitana e Vicenza. L’ultima squadra guidata fu il Pescara, nel 2001, poi “Mi sono goduto la vita. L’importante è la salute, per davvero, neanche ricordo più l’ultima esperienza in panchina, la memoria inizia a tradire”. Dopo aver lasciato il lavoro di allenatore per un certo periodo è stato anche osservatore dell’Inter.

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