“Tedesco vola, sotto la curva vola, la curva s’innamora, tedesco vola!”. Così cantava la curva sud dell’Olimpico di Roma. Il destinatario era Rudi Voeller. Il panzer tedesco ha da poco compiuto 60 anni. Di quelli in campo, tra le maglie del Monaco 1860, Werder Brema, Bayer Leverkusen e Marsiglia, 5 anni li ha passati con la maglia giallorossa cucita sulla pelle. Proprio nel mezzo della sua esperienza italiana poi è arrivata quella Coppa del Mondo con la Germania alzata proprio al cielo di Roma ai Mondiali di Italia ’90.
Chi era “Rudigen” Voeller
Rudolf detto Rudi Voeller, tedesco di Hanau, classe 1960. Romano e romanista d’adozione, come scrive Piero Torri su Il Romanista, capace di innamorarsi di Roma in un attimo, perché, come come disse una volta: «Alza gli occhi al cielo, guarda i colori di Roma, come fai a non innamorartene?». Quando il 7 giugno 1987 mise piede per la prima volta a Roma, il campione scelto dal presidente Dino Viola per rilanciare le ambizioni dei giallorossi ancora scottati dallo scudetto perso in volata con la Juve un paio d’anni prima (fatal Lecce…), fu accolto con grande entusiasmo. Pronto a ripercorrere i fasti dei grandi centravanti della Roma tricolore, da Amadei a Pruzzo.
Arriva Rudi, il caso Berggreen
Voeller viene strappato al Werder nell’estate del 1987 per 5,5 miliardi delle vecchie lire. Il suo arrivo a Roma è però condito da una querelle con un altro giocatore giallorosso, il danese Berggreen. La regola, all’epoca, consentiva l’utilizzo di soli due stranieri per squadra. La Roma aveva sotto contratto già Boniek e appunto Berggreen che non prese bene la notizia di dover fare le valigie. Ne nacque un braccio di ferro tra il giocatore, che disse di voler rispettare il contratto (scadenza ’89) e la società che con ben due comunicati bacchettò il danese per le sue dichiarazioni e il suo comportamento. Alla fine il vulcanico presidente giallorosso Dino Viola lo “convinse” ad accettare il Torino liberando a Voeller il posto in organico.
Le difficoltà, poi il tedesco cominciò a volare
Come per molti stranieri dell’epoca l’inizio non fu dei più facili. La prima stagione in Italia, con Nils Liedholm in panchina, non fu granché anche per via di qualche acciacco. Voeller era disposto anche a togliere il disturbo ma Viola lo tenne nella Capitale. Dall’anno successivo ci fu un crescendo rossiniano, con il gol vincente nel derby al Flaminio. Ancora meglio con l’arrivo di Ottavio Bianchi e le finali di Coppa Italia, vinta con la Samp tricolore, e Coppa Uefa persa con l’Inter del Trap.
La fascia, l’addio e la Roma nel cuore
Rudi era fedelissimo di Ottavio Bianchi che lo valorizzò appieno tanto che gli diede la fascia di capitano dopo le incomprensioni con Giannini. Il distacco dalla Roma era però dietro l’angolo e si consumò dopo l’arrivo di Boskov, nel 1992. Col suo ultimo gol, di testa contro il Bari, portò la Roma in Coppa Uefa. E se la portò nel cuore, in Francia, ceduto non senza rimpianti al Marsiglia con cui vinse la Coppa dei Campioni contro il Milan di Van Basten e Capello. In totale scese in campo per la Roma 198 volte, realizzando 68 reti; un bottino di assoluto rispetto che contribuì, nel 2014, all’ingresso nella hall of fame del club giallorosso.
Voeller uber alles
Come detto, nel bel mezzo della sua avventura a Roma, Voeller vincerà la Coppa del Mondo proprio in Italia, nel suo stadio, nella sua Roma. La Germania e Voeller si rifanno della delusione mondiale patita 4 anni prima in Messico arrivando in finale e prendendosi la rivincita sull’Argentina di Maradona, battuta da un rigore dell’interista Breheme. Rudi fu anche protagonista del famoso sputo ricevuto da Rijkaard nella partita Germania-Olanda. “Nel1986 – racconta Rudi al Corriere dello Sport – meritava di vincere l’Argentina, ma nel 1990, nonostante il successo sia arrivato solo per un rigore, eravamo totalmente superiori. Quando gli italiani, che avevano una squadra di spicco, persero la semifinale contro l’Albiceleste, andammo tutti al bar dell’hotel e bevemmo una birra. Per noi era chiaro che se avessimo vinto la nostra partita contro l’Inghilterra il giorno successivo, saremmo stati campioni del mondo. Non potevamo perdere con l’Argentina”.
In finale mondiale Rudi ci tornerà, qualche anno dopo, anche nelle vesti di ct della Germania. Ma stavolta gli andrà male contro il Brasile di Ronaldo il fenomeno, nel 2020 in Corea e Giappone. Voller è una delle tre persone – assieme a Mario Zagallo e a Franz Beckenbauer – ad aver raggiunto la finale di un Mondiale sia da giocatore (nel 1986 e nel 1990) che da allenatore.
Da allenatore il ritorno lampo a Roma
Il 31 agosto 2004, a due settimane dall’inizio della stagione, ritorna a Roma ingaggiato come allenatore in sostituzione di Cesare Prandelli. La sua avventura sulla panchina della Roma dura però soltanto un paio di mesi. La squadra non gira, i risultati non arrivano e dopo quattro giornate di campionato Voeller lascia l’incarico.
Simbolo del Bayer
Dopo il Marsiglia, Voeller gioca gli ultimi anni della sua carriera al Bayer Leverkusen. Società a cui resterà legato, tuttora. Terminata l’attività agonistica, nel 1996, diventa subito direttore sportivo delle “aspirine”. Così come per la Roma, si siederà sulla panchina del Bayer come reggente fino all’esperienza come ct della Germania.
Dopo la parentesi lampo in giallorosso come allenatore, il 18 gennaio 2005 torna al Leverkusen ancora come direttore sportivo, mentre nel 2018 viene nominato direttore esecutivo del club tedesco, ruolo che mantiene tuttora.
La curiosità
In Germania il soprannome di Voeller è Tante Kathe (“Zia Kathy”) affibbiatogli dal compagno di nazionale Thomas Berthold (ex Verone) che, come Rudi, proveniva dalla zona di Francoforte, dove le vecchie signore che erano solite portare i capelli grigi acconciati in una permanente venivano chiamate dai bambini “Zia Kathy”. Quando gli inconfondibili capelli di Voeller hanno cominciato a ingrigirsi, Berthold gli ha dato questo soprannome, che ha avuto subito moltissimo successo, soprattutto quando è arrivato alle orecchie dei giornalisti tedeschi. (dal sito asroma.com)
Vita privata, Italia e un’italiana nel cuore
Sposato con la moglie tedesca Angela e i figlioletti Marco e Laura, Voeller in Italia ha avuto anche una sorta di seconda vita sentimentale sposando poi l’italiana Sabrina Adduci da cui ha avuto altri tre figli