In un calcio come quello moderno dove a giorni alterni si parla di Superlega e dove la Champions League è sempre più un torneo d’élite, sembra difficile pensare che la primavera più rivoluzionaria del calcio italiano sia vecchia di poco meno di cinque lustri fa, quando una squadra espressione di una città di 100.000 abitanti riuscì a conquistare un trofeo, la Coppa Italia.
L’impresa fu realizzata dal Vicenza. Non che a quelle latitudini non sapessero già cosa significasse stupire, visto che nel 1977 l’allora Lanerossi conquistò il miglior risultato di sempre per una neopromossa, il secondo posto alle spalle della Juventus, trascinato dai gol del compianto Paolo Rossi. Ma alzare un trofeo non ha paragoni.
Il percorso del gruppo allenato dall’emergente Francesco Guidolin partì ovviamente in sordina: eliminata la Lucchese al primo turno e il Genoa al secondo, i veneti si trovarono di fronte ai quarti il Milan di Fabio Capello.
Il gol del grande ex vicentino Roby Baggio non bastò ai rossoneri perché Lele Ambrosetti fissò l’1-1 all’andata a San Siro e il Vicenza resistette al ritorno strappando lo 0-0. Eliminato il Bologna al termine di una tiratissima semifinale con gol di Giovanni Cornacchini allo scadere al “Dall’Ara” dopo l’1-0 del “Menti”, l’avversario della finale fu un Napoli in piena tempesta tecnica, visto l’esonero del tecnico Gigi Simoni, “reo” di avere già un accordo con l’Inter per la stagione successiva.
Il presidente Ferlaino promosse dalla Primavera la bandiera Vincenzo Montefusco, ma l’1-0 dell’andata firmato Fabio Pecchia non bastò agli azzurri perché il 29 maggio ’97 in un “Menti” strapieno il Vicenza pareggiò subito i conti con Jimmy Maini avendo poi la meglio per 3-0 ai supplementari grazie alle reti negli ultimi due minuti di Maurizio Rossi e Sandro Iannuzzi.
Guidolin fu portato in trionfo dai propri giocatori e da un’intera città. Nella stagione successiva il Vicenza seppe spingersi fino alle semifinali di Coppa delle Coppe, eliminato dal Chelsea.