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Ecco come il Decreto Crescita ha aiutato la Serie A

Il Decreto Crescita ha influenzato il calciomercato della Serie A, aprendo le porte del nostro campionato ai giocatori provenienti dall'estero.

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Marco Pino

Marco Pino

Sport Economy Specialist

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La sessione estiva di calciomercato si è conclusa con pochi colpi ad effetto delle squadre italiane e diverse cessioni che hanno (sicuramente sulla carta?) impoverito il campionato di Serie A. Pochi soldi ma in alcune situazioni molte idee, cui bisognerà concedere del tempo per determinarne un giudizio. Tra formule fantasiose, prestiti onerosi e pagamenti decennali si è spesso fatto riferimento al “Decreto Crescita”, due parole che, insieme, sono ormai entrate nel linguaggio di media e tifosi con riferimento al calciomercato nostrano. Ma cos’è il Decreto Crescita?

Alle origini della norma

Diventato presto uno dei temi più caldi del calciomercato, il cosiddetto “Decreto Crescita” viene approvato dal governo e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 30 aprile 2019. In riferimento agli effetti sul calciomercato è necessario analizzare l’articolo numero 5 del decreto, denominato “Rientro dei cervelli”, che contiene le modifiche all’articolo 16 del decreto legislativo del 14 settembre 2015.

La normativa prevede l’esenzione ai fini Irpef del 50% dei redditi di lavoro percepiti dai lavoratori italiani e stranieri che sono stati residenti due anni all’estero, che si trasferiscono in Italia e che si impegnano a rimanervi per almeno un biennio. Questa è la grande novità introdotta con la modifica della norma che, inoltre, amplia la platea dei beneficiari. Rispetto alla vecchia versione, infatti, viene meno la specifica che ne restringeva l’applicabilità ai “lavoratori che rivestono ruoli direttivi ovvero sono in possesso di requisiti di elevata qualificazione o specializzazione come definiti con il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze di cui al comma 3”.

Una platea di beneficiari all’interno della quale non erano classificabili calciatori e allenatori, e una norma che quindi non poteva avere impatti significativi sul sistema calcio. Il governo, tramite l’emanazione del Decreto ha reso applicabile al calcio la nuova regolamentazione venendo meno le condizioni secondo cui il soggetto dovesse essere in possesso di un titolo di laurea oltre ad assumere ruoli di tipo direttivo.

Le condizioni da rispettare per accedere ai benefici fiscali sono determinate come segue:

  • l’essere stati residenti all’estero nei due periodi d’imposta precedenti il trasferimento in Italia;
  • l’obbligo di permanenza in Italia per due anni a seguito del trasferimento di residenza;
  • lo svolgimento dell’attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano.

Una tematica che è stata affrontata ha riguardato una specifica parte della normativa che determinava un’esenzione addirittura del 90% del reddito da lavoro dipendente ai fini fiscali per le società che risiedevano nelle regioni del Sud (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna o Sicilia). Una distinzione che avrebbe potuto eccessivamente favorire in sede di calciomercato le società rientranti in questa categoria (vedi per esempio il Napoli), con la possibilità di avere un significativo risparmio di costi per quanto riguarda il lordo rispetto alla concorrenza domestica. Per tale ragione questa specifica non è stata applicata e viene meno l’incentivo maggiore per le regioni del Sud Italia.

In conclusione, un calciatore proveniente dall’estero che stabilisce in Italia la sua residenza fiscale e ci resta per almeno due successivi anni rientra tra i beneficiari della norma. Per fare un esempio numerico, Zlatan Ibrahimovic percepisce uno stipendio da 7 milioni di euro netti che al Milan, al lordo, costa “solo” 9,17 milioni invece di 12,25 milioni. Un notevole risparmio per i club e l’occasione di attrarre campioni dall’estero con la possibilità di garantire stipendi più elevati. Un po’ come successe in Spagna dal 2005 al 2010 con la cd. “Legge Beckham”, una norma spagnola che prevedeva un’aliquota di tassazione ridotta dal 43% al 24% per tutti i lavoratori stranieri in Spagna con introiti superiori ai 600.000 euro annuali e che permise ai club iberici di beneficiare di una tassazione notevolmente favorevole rispetto agli altri club europei.

Una delle criticità affrontate in sede di applicazione della normativa che determina l’incentivo fiscale per gli sportivi professionisti riguarda la sua applicabilità alternativa rispetto al sistema di agevolazioni fiscali destinato ai cd. HNWI (High net worth individual), e cioè soggetti titolari di grandi patrimoni che si trasferiscono in Italia. Il regime a loro destinato al fine di attrarre patrimoni e investimenti dall’estero prevede infatti il pagamento di un’imposta sostitutiva in misura forfetaria pari a 100.000 euro annui su tutti i redditi di fonte estera. Ciò significa che un calciatore proveniente dall’estero può opzionalmente e alternativamente decidere di accedere al beneficio fiscale riservato dal Decreto Crescita (e che permette un risparmio sul lordo anche alla società) o accedere all’agevolazione riservata sui redditi prodotti all’estero. Una scelta che non ha riguardato Cristiano Ronaldo, in quanto nel 2018 non vi era ancora la possibilità di scegliere la prima opzione, ma una normativa (la seconda) di cui il campione portoghese ha beneficiato nei tre anni trascorsi nel Belpaese.

Questa tematica può rappresentare una criticità in sede di negoziazione per gli effetti fiscali che questa scelta determina. Infatti, il regime per gli sportivi professionisti potrebbe consentire un notevole risparmio sul loro stipendio annuo italiano, mentre l’incentivo fiscale per i nuovi residenti titolari di grandi patrimoni garantisce un ingente risparmio sui redditi di fonti estera (ad esempio dividendi da società straniere, royalties, ecc.).

Il caso Antonio Conte

Nelle ultime due stagioni, quindi, le decisioni di calciomercato sono state spesso influenzate dall’applicazione della norma modificata dal Decreto Crescita che ne ha concesso l’applicabilità anche a calciatori e allenatori. Soprattutto nel maggio 2019, con l’arrivo di Conte all’Inter, si è avuta tangibilità di quanto effettivamente la normativa agevolasse la possibilità di garantire stipendi più elevati e di conseguenza permettere al nostro campionato di risultare maggiormente attrattivo e competitivo rispetto alle leghe estere.

Una tematica che non va sottovalutata riguarda la necessità di garantire i successivi due anni nel territorio italiano. Ciò vuol dire che se oggi si beneficia dell’agevolazione fiscale ma non viene rispettata la condizione secondo la quale bisogna risiedere per i successivi due esercizi fiscali in Italia, si dovrà retroattivamente versare quanto inizialmente dovuto.

Quando Antonio Conte, persa la finale di Europa League, si sfogò davanti ai microfoni contro la società bisognava considerare anche le possibili conseguenze fiscali di un allontanamento dall’Inter che in quel momento sembrava quasi scontato. Infatti, nel caso di esonero dell’allenatore salentino e successivo accordo con una società straniera sarebbe venuto meno il secondo pilastro tra le condizioni da rispettare e pertanto l’Agenzia delle Entrate avrebbe richiesto il rimborso dello sgravio di cui il contribuente ha beneficiato. Stesso discorso vale per scelte di mercato relative ad alcuni calciatori come Vidal per cui si è beneficiato dell’agevolazione che sarebbe venuta meno in caso di cessione all’estero nella sessione di mercato appena conclusa.

Gli effetti positivi, in termini di competitività e attrattività per il settore calcio (e per lo sport italiano in generale – si pensi ai ritorni in Italia di Belinelli e Melli per quanto riguarda il basket) sono tangibili ed evidenti: la significativa diminuzione della pressione fiscale sugli stipendi degli sportivi permette di corrispondere loro stipendi molto più alti rispetto al passato. Senza sottovalutare il circolo virtuoso che si genera con l’arrivo in Italia di nuovi campioni, con i club che dispongono di asset sempre più importanti per ottenere contratti di sponsorizzazione più vantaggiosi e garantendosi cifre più elevate dalla contrattazione dei diritti televisivi. La vera sfida adesso sarà dare seguito alle agevolazioni che la normativa contiene con investimenti che possano portare benefici a tutto il sistema anche nel medio periodo, oltre a capire come lo Stato sarà in grado di mantenere gli incentivi nel lungo periodo.

Articolo a cura di Marco Pino

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