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Gaetano Scirea, un campione nella sua semplicità

Esemplare sia in campo che fuori, Gianni Mura lo definì come un numero 6 deputato alla direzione dell’orchestra, sebbene giocasse da libero.

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Filippo Maggi

Filippo Maggi

Giornalista

Bergamasco classe ’97, ho sviluppato sin da bambino interesse per sport e calcio, per poi spenderlo in ambito giornalistico. Oltre a seguire le vicende dell’Atalanta, e più in generale del campionato di Serie A, mi cimento volentieri nel racconto di cadetteria e Serie C, ma soprattutto di quelle che sono le dinamiche di settori giovanili e Nazionali Under.

Gaetano Scirea, un campione nella sua semplicità Fonte: Imago Images

Gaetano Scirea è stato uno dei più grandi difensori della storia del nostro calcio, e forse non solo, nel solco di una tradizione sempre verde dalle nostre parti nel ruolo, anche se, ora come ora, a voler ben vedere, un po’ di preoccupazione, dopo il tramonto del trio Barzagli-Bonucci-Chiellini, potrebbe anche sorgere in tal senso.

Chi era Gaetano Scirea

In comune con la B-B-C, il libero di Cinisello Balsamo, grosso comune di oltre 70mila abitanti alle porte di Monza, aveva il fatto di essere una sorta di totem per tutti nell’ambiente bianconero: arrivato molto giovane a Torino dall’Atalanta, spesso terreno di caccia della Juventus negli anni, all’ombra della Mole ci è rimasto per 14 anni, vincendo lo Scudetto in ben metà delle occasioni possibili a disposizione.

Oltre ai trionfi in patria, fece incetta di trofei internazionali: in bacheca portò una Coppa dei Campioni, una Coppa delle Coppe, una Coppa Uefa, e un’Intercontinentale, che all’epoca riponeva un’importanza molto maggiore nell’immaginario collettivo rispetto al Mondiale per Club dei giorni nostri, complice una geografia del calcio sempre più sbilanciata verso i club europei, che oggi possono vantare tra le proprie fila praticamente tutti gli elementi sudamericani di livello, rispetto a quanto invece non accadeva prima dell’avvento del calcio in scala globalizzata.

Il ricordo più vivo negli occhi della maggioranza della gente, però, rischia di non essere con la Signora, perché Gai fu il libero dell’Italia di Madrid ’82, forse, senza nulla togliere al 2006, l’impresa più rimasta nel sentore collettivo del Paese a livello sportivo negli anni. Una luce azzurra dentro a un senso di indimenticabile, e, per come si erano messe le cose nel girone eliminatorio, inaspettata magia. Per racchiudere l’essenza del suo modus operandi in campo basta ripensare all’atto conclusivo di quel percorso, la finale contro la Germania.

Poco prima dell’urlo di Marco Tardelli, infatti, riguardando i frame precedenti al tiro che porta alla rete, si può notare il recupero palla dello stesso Scirea, favorito anche da un ripiegamento encomiabile di Rossi, davanti alla propria area, per poi proiettarsi in avanti con una gran fuga palla al piede e, in coabitazione con un giovanissimo Bergomi e Conti, di fatto apparecchiare la tavola per il liberatorio gol.

Il tutto, nonostante siano ormai passati quattro decenni, nel solco di un’interpretazione tremendamente moderna di quello che oggi è richiesto, in un contesto ovviamente caratterizzato da dinamiche tattiche totalmente diverse, agli interpreti di quella che una volta veniva chiamata “terza linea”.

Gaetano Scirea con la maglia della nazionale Fonte: Imago Images

Posizione, numero di maglia e skills di Scirea

D’altra parte, la sagacia nella lettura del gioco, assimilabile al concetto di intelligenza calcistica, è stata forse il suo denominatore principale, sebbene ai difensori dell’epoca non fosse richiesto un contributo così intenso in termini di costruzione dell’azione.

Ad aiutarlo, senza dubbio, era anche il fatto di aver appreso il calcio in zone del campo completamente diverse da ragazzino: prima addirittura da ala destra, poi nelle vesti di centrocampista. Il primo ad arretrarlo in difesa fu Ilario Castagner nella Primavera orobica, forse anche complice anche il vento olandese, che iniziava a diffondere la Cultura del Calcio totale.

Se prima poteva sembrare folle, soprattutto in un Paese che aveva di fatto dato i natali al catenaccio, che un uomo con mansioni prettamente arretrate diventasse il vero organizzatore delle dinamiche offensive, l’Ajax di Michels portò novità totalmente incidenti nella storia di questo sport, a partire dall’attuazione del pressing, oggi elemento sostanzialmente alla base di tutte le strategie difensive e di recupero palla.

Gaetano era comunque, nonostante iniziassero a farsi strada i primi cambiamenti, un unicum per un libero: elegante, spesso a testa alta nell’uscita per trovare con più efficienza possibile il compagno meglio posizionato. Poco dopo la sua tragica morte, di cui parleremo in seguito, Gianni Mura scelse di ricordarlo così su La Repubblica: “Da ragazzino sognava Suárez e Rivera, la maglia numero 10, la direzione d’orchestra. Ci è arrivato ugualmente, con la maglia numero 6: direzione della difesa e appoggio al centrocampo e all’attacco”.

Proprio quel numero di maglia di Scirea è rimasto nell’immaginario collettivo per tantissimi anni, anche nel ricordo di chi per motivi di età non ha potuto vivere le sue imprese sul campo. L’attuale vicecapitano della Juventus Danilo, ad esempio, un paio di stagioni fa annunciò il passaggio dalla casacca con il 13 sulle spalle alla stessa 6 con una precisa motivazione: “Una scelta non casuale: un omaggio a chi con questa ha sudato e faticato, con in testa sempre il lavoro e la correttezza”.

Gli inizi di Gaetano Scirea

Di modeste origini e terzo di quattro fratelli, da bambino nasce a Cernusco sul Naviglio, per poi trasferirsi poco prima delle scuole elementari a Cinisello Balsamo. Gioca a calcio all’oratorio con gli amici per divertirsi, poi a 10 anni inizia a cimentarsi più seriamente, nella Serenissima San Pio X. È attaccante, segna molto, anche perché si gioca in campetti a 7 spesso non molto grandi, e si distingue per una buona eleganza tecnica. Ha molto in più, a livello attitudinale, degli altri ragazzi.

Lo sanno bene anche dalle parti di via Botticelli, dove hanno sede i campi su cui Gaetano si allena. Gli allenatori e i dirigenti fanno di tutto per agevolare il suo passaggio alla Dea, che avviene in età preadolescenziale. A Bergamo compie quindi la seconda parte del percorso di formazione, arrivando poi a esordire in prima squadra una volta ultimate le tappe intermedie precedenti.

Sin dal debutto in Serie A, al cospetto del Cagliari e di Gigi Riva, dà l’impressione di avere potenzialità importanti, confermate nel corso di due stagioni in cui trova sempre continuità, guadagnandosi l’attenzione del club allora vicecampione d’Italia in carica, che nell’estate del 1974 lo acquista per 700 milioni di lire più i cartellini di Mastropasqua, Marchetti e la comproprietà di Musiello. Il tecnico ceco Cestmir Vycpálek e la dirigenza erano alla ricerca di un profilo che potesse pian piano dare ricambio a un Salvadore ormai prossimo al ritiro.

Gaetano Scirea durante Inter Torino Fonte: Imago Images

La carriera di Gaetano Scirea

L’investimento si rivelò immediatamente felice, con il campionato subito vinto da discreto protagonista, nell’ambito di una linea difensiva che, solo dodici mesi prima di Scirea, aveva visto guadagnare anche un nuovo apporto fresco di primissimo livello, quello di Claudio Gentile. Saranno assieme per tanti anni, sia alla Juve che nell’Italia, il primo come libero, pochi metri più avanti all’ultimo uomo, il secondo come esterno basso di destra, finendo per scrivere vere e proprie pagine di storia del calcio assieme.

Bastava uno sguardo, una parola, per capirsi, come ha avuto modo di raccontare qualche anno fa lo stesso ex Fiorentina: “Gaetano mi guidava, mi faceva spesso fare il lavoro sporco, con lui da dietro che mi comandava. Mi diceva “entra” ed io entravo, poi subentrava lui e faceva il resto. Oggi non c’è più questa collaborazione”. Scirea, invece non cambierà mai più lido, neanche nella parte conclusiva della carriera, come anche a tante bandiere è capitato di fare per svariati motivi. E dire che, da bambino, si era appassionato alla Grande Inter del Mago Herrera, capace di vincere due Coppe Campioni filate.

Probabilmente non avrebbe mai immaginato, se non nei suoi sogni più reconditi, di poter arrivare allo stesso traguardo in un futuro, sebbene quella notte rimarrà sempre macchiata dai tragici eventi legati alla morte di 39 tifosi italiani all’Heysel. A fine carriera vanterà 706 gettoni da professionista, di cui 78 in quota Coverciano, conditi da 26 gol. Ha partecipato a tre Coppe del Mondo, di cui una con la fascia al braccio, e all’Europeo giocato in casa nel 1980, che vide gli azzurri chiudere al quarto posto. A fine torneo verrà inserito nell’All Star team della competizione assieme ad altri 3 connazionali: Dino Zoff, lo stesso Gentile e Tardelli.

La morte di Gaetano Scirea

L’addio alla vita di Scirea fu, in una domenica di inizio settembre del 1989, tragico, peraltro a pochissimi mesi di distanza dal ritiro, avvenuto all’età di 35 anni. Si era appena tuffato in un nuovo ruolo, e forse, sotto certi aspetti, si sentiva ancora un po’ calciatore in attività. Come spesso raccontano gli ex del mestiere che hanno vissuto in prima persona questo passaggio, non è facile realizzare l’avvento di una nuova vita in maniera così repentina, soprattutto se si è abituati all’adrenalina che il prepartita regala tutte le domeniche e all’attenzione dei riflettori.

Gli stimoli e le nuove sfide, ad ogni modo, non mancavano: era diventato il vice di Zoff, per anni compagno di squadra e grande amico, nonostante fossero divisi quasi da una decade, a livello di carta d’identità. Scirea venne incaricato, dalla dirigenza del club e da Boniperti, di assistere a un incontro del Gornik Zazbre, futura avversaria di Coppa UEFA, sebbene sia lui che l’ex portiere friulano ritenessero quella visita quasi uno scrupolo superfluo, considerando il livello non certo eccelso della formazione polacca.

Durante il viaggio di ritorno verso l’aeroporto di Varsavia, dove avrebbe dovuto prendere il volo per fare ritorno a casa, l’auto su cui viaggiava assieme al conducente, un interprete e un dirigente dello stesso club slesiano fu tamponata da un furgone all’altezza di Babsk e prese fuoco a causa della presenza di alcune taniche di benzina presenti all’interno dell’abitacolo. Una precauzione presa dall’autista rivelatasi fatale, e pagata con la propria stessa vita, per evitare possibili code alle pompe di rifornimento.

Si salvò solo il dirigente del Gornik, in quando seduto sul sedile posteriore: essendosi aperto lo sportello subito dopo la collisione, riuscì ad uscire dal veicolo e salvarsi. Molto meno bene andò agli altri compagni di viaggio, considerando anche il fatto che, stando ai referti dell’autopsia, non avevano riportato conseguenze rilevanti nell’impatto. Fatale, quindi, si rivelò il divampare delle fiamme.

Scirea fu soccorso e trasportato presso il vicino ospedale di Rawa Mazowiecka ma, a causa delle gravi ustioni riportate, i medici non poterono fare altro che constatarne il decesso. Per la famiglia si verificò, nel mentre, un dramma nel dramma: il padre Stefano fu ricoverato all’ospedale di Cinisello Balsamo due giorni dopo la morte di Gai, che peraltro inizialmente gli era stata nascosta dai familiari per evitagli ulteriori patemi d’animo, essendo l’uomo reduce da una serie di problemi cardiaci. Una volta appresa la notizia, rimase muto.

Poche ore cominciò a sentirsi male, peraltro finendo per rifiutare il cibo per giorni interi, quasi come in protesta per quella che, legittimamente, riteneva fosse stata una terribile ingiustizia. Il 12 settembre, nove giorni dopo la dipartita del figlio, lo raggiungerà nuovamente in cielo. Aveva 76 anni, fatale fu un blocco renale.

Un signore anche fuori dal campo

L’eleganza e la sobrietà erano alla base del modo di essere di Scirea anche fuori dal campo, dove non amava le luci della ribalta e la vita mondana. Rispettoso di tutti, fossero compagni, avversari, dirigenti o allenatori, per via di questa sua peculiarità ancora oggi viene ricordato come persona esemplare da chi lo aveva conosciuto da vicino.

Era un altro calcio, forse, con i professionisti del pallone sottoposti a un’esposizione mediatica leggermente meno pressante, ma un gesto raccontato recentemente dalla vedova Mariella precisa con chiarezza lo spessore umano dell’ex difensore: “Allora non c’erano i telefonini. Lui prendeva i tifosi in via Filadelfia e chiedeva loro dove arrivassero: tanti venivano dalla Sicilia o da lontano. Chiedeva dove andavano a mangiare e diceva loro: “Seguitemi con la macchina”. Suonava il campanello e mi diceva: “Ciao amore” e io dicevo “Quanti siete?”. Ormai mi ero rassegnata: lo dovevo accettare così com’era. Era un uomo giovane con il senso del dovere”.

Per far sì che il suo ricordo resti vivo, nel 1992 è stato indetto dall’Amministrazione Comunale di Cinisello Balsamo, in collaborazione con l’Unione Stampa Sportiva Italiana, un premio che si contraddistingue per comportamenti virtuosi al di fuori del campo. Il riconoscimento ha come requisito il base il fatto di essere assegnato a calciatori che hanno superato i trent’anni, al fine di valutare meglio la totalità dei rispettivi cursus honorum dei vari protagonisti del mondo del pallone.

Il perché è presto detto: Gaetano era ed è, almeno per chi non è più giovanissimo, un simbolo per tutti gli amanti del calcio, e non solo per i tifosi 36 volte scudettati, che nel mentre, guardando le prestazioni attuali della propria squadra, possono continuare a vedere, seppur fuori dal campo, un contributo diretto della famiglia Scirea.

Riccardo, unico figlio dell’ex capitano bianconero, è infatti responsabile del reparto match analysis da dieci anni, periodo in cui sulla panchina dello Stadium si sono alternati ben quattro allenatori, cinque se si considera che è stato Allegri prima accompagnato alla porta e poi richiamato nell’estate del 2021, in luogo di Pirlo. A aiutarli nella preparazione delle gare, assieme ad un team di professionisti del video, però, è rimasto sempre lui, che peraltro il mondo Juventus lo aveva respirato sin da bambino, quando il padre era ancora in campo.

Al netto degli impegni sportivi, al piccolo dedicava ogni momento libero possibile o quasi. In occasione di ogni trasferta, tanto per fare un esempio, era solito inviare una letterina a casa per il piccolo Riccardo, che attendeva il suo ritorno. Dall’alto, ne siamo sicuri, sorriderà: una parte di lui è rimasta nella Juve, che era ormai diventata una seconda famiglia.

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