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Ginnastica: "Schiaffi e sangue dal naso", fioccano le testimonianze

Si allarga alle discipline di aerobica e artistica l'inquietante spettro delle testimonianze delle atlete sui metodi brutali utilizzati in allenamento

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Un vero e proprio vaso di Pandora scoperchiato. Dopo le testimonianze su abusi e violenze fisiche nell’ambito della ginnastica ritmica di Nina Corradini e Vanessa Ferrari, cominciano ad emergerne altre, una dietro l’altra sui metodi brutali utilizzati in fase di allenamento nei confronti di altre atlete in età giovanissima. E, a finire nell’occhio del ciclone, anche il mondo dell’artistica e dell’aerobica.

Abusi fisici nella ginnastica: “L’allenatrice ci tirava ceffoni con gli anelli”

Repubblica riporta altre testimonianze, da parte di tre ex atlete di primo piano: Laura Sirna, Virginia Scardanzan e una terza che compare però con un nome di fantasia, Chiara. Non solo le terribili restrizioni alimentari (che sfociavano in veri e propri disturbi), ma anche vere e proprie vessazioni ed episodi di violenza fisica:

“Ci allenavamo in Veneto, non in un centro tecnico federale ma in una palestra considerata il punto di riferimento della regione, con un’istruttrice molto violenta. Quando si metteva gli anelli i ceffoni facevano ancora più male”.

Violenza nel mondo della ginnastica italiana: “Schiaffi da far sanguinare il naso”

E ancora:

“Una volta stavo facendo un esercizio alla trave ma ero molto stanca e sono caduta. L’allenatrice mi ha detto: ‘Avvicinati’. Sapevo che mi voleva dare una sberla, così mi sono tirata indietro sperando che la trave alta mi potesse far da scudo ma il ceffone è arrivato lo stesso in volto”. E poi: “Una nostra compagna ha ricevuto uno schiaffo così forte da farle uscire il sangue dal naso. Altre venivano tirate per i capelli giù dalla trave”.

Violenza nel mondo della ginnastica: “Valutai di chiamare il Telefono Azzurro”

In uno dei tanti episodi, fu anche valutato di chiamare il Telefono Azzurro:

“Ero in pausa pranzo con una mia amica. Sapevo che queste persone aiutavano i bambini in difficoltà e volevo chiamarli. Io non ho ricevuto violenze fisiche, ma le mie compagne sì. L’allenatrice aveva costruito una barriera all’ingresso per non far vedere come venivamo trattate. A 7-8 anni ero ingenua e guardavo le mie compagne più grandi con ammirazione. Pensavo che avrei dovuto fare tutto come loro. Nella mia testa dovevo pesarmi tre volte al giorno, perché è quello che facevano le mie sorelle più grandi. Venivano insultate e picchiate? Anche io dovevo ricevere lo stesso trattamento. Così un mondo malato diventa la normalità”.

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