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Guidolin: vincente e snobbato come Nibali, dissi no a Napoli e Inter, come osservatore nessuno bravo come me a pescare talenti

L'ex tecnico ha lasciato le panchine ma vorrebbe intraprendere nuova carriera: i ricordi e rimpianti di un allenatore poco apprezzato

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Fabrizio Piccolo

Fabrizio Piccolo

Giornalista

Nella sua carriera ha seguito numerose manifestazioni sportive e collaborato con agenzie e testate. Esperienza, competenza, conoscenza e memoria storica. Si occupa prevalentemente di calcio

Il principe delle provinciali. Francesco Guidolin ha vinto tanto con le medio-piccole ma non ha mai avuto la possibilità di allenare una big. L’ex tecnico ha portato più volte in Europa l’Udinese e il Palermo, ma anche il Bologna e il Vicenza, dove ha conquistato la Coppa Italia. Ha vinto tre campionati di B su tre, si è seduto in panchina 555 volte prima di dire basta e ora si confessa a La Repubblica.

I motivi dell’addio di Guidolin

Per motivare i giocatori Guidolin regalava loro libri di poesie e film, a La Repubblica l’allenatore veneto confessa perché ha smesso: “Perché, dopo l’esperienza allo Swansea City nel 2016, ho sentito che l’energia stava un po’ evaporando. Mi sono preso una pausa, ho rifiutato offerte di club importanti, poi sono diventato opinionista televisivo e infine ho deciso che poteva bastare“.

Il Guidolin calciatore frenato dal carattere

Guidolin aveva iniziato infatti anche la carriera di seconda voce nelle telecronache o talent come si usa dire oggi ma ha smesso anche in tv: “Mi sono divertito a osservare il calcio da un altro punto di vista, ma con mia moglie abbiamo pensato che era tempo di dedicarci totalmente ai nostri nipotini che vivono a Londra, dove lavora uno dei miei figli. I bambini si chiamano Gabriel e Gia, lui ha 7 anni, lei uno e mezzo”. I suoi rimpianti iniziano dalla carriera di calciatore: “Poteva essere migliore se avessi avuto un altro carattere. Ero un centrocampista non male tecnicamente, ma pieno di fisime. Soffrivo lo sguardo dell’allenatore, pativo moltissimo le esclusioni e la fisicità degli avversari. Diciamo che, con me come tecnico, uno così avrebbe giocato poco ma forse quel ragazzo che ero io lo avrei aiutato a dare il meglio che aveva e a non temere troppo il peggio. Ero anche arrivato in Nazionale Under 21, però ho smesso presto, a 28 anni, colpa di un grave infortunio al ginocchio quando ero al Bologna”.

Il sogno di diventare osservatore

Un sogno, però, è rimasto: “diventare osservatore a caccia di centrocampisti e attaccanti, se possibile nel nord Europa. Modestamente, quando valuto atleti in quei ruoli sbaglio pochissimo, forse perché sono stato centrocampista anch’io. Mi piacciono i numeri 10, le mezzepunte, i trequartisti, gli esterni, i falsi nueve, gli attaccanti forti di sponda. Mi è sempre piaciuto costruire i giovani, farli andare in campo presto: non c’è altro modo per formarli. Quello che il calcio italiano non ha quasi più. Non è proprio così. Esistono ottimi centrocampisti e un po’ meno attaccanti, anche se è vero che i Baggio, i Totti e i Del Piero non sono più nati”

Guidolin ricorda come giocavano le sue squadre: “Mi ispirai a Sacchi e al suo 4-4-2, amo il calcio veloce, il pressing alto, l’aggressione, le ripartenze molto più del possesso palla. Ma non mi fossilizzo sugli schemi: a Udine, dopo Zaccheroni, non cambiai la sua difesa a 3. E sono stato tra i primi a usare la mezzapunta, anche nel 4-4-1-1. Gli allenatori integralisti superati? Per me, lo sono sempre stati. Bisogna partire dalle qualità dei giocatori a disposizione: lo schema viene dopo. Attenzione, lo schema, non le idee.

Il rimpianto di non aver allenato le big

Spazio infine ad altri rimpianti: “Penso di essere l’unico, tra gli allenatori che non hanno mai guidato una grande, ad essere arrivato otto volte nelle Coppe: quattro con l’Udinese, due col Palermo, una con Vicenza e Bologna. Con le attuali regole, dovremmo aggiungere il mio Parma che arrivò ottavo. Inoltre, per mia scelta ho allenato tre volte in B, e per tre volte ho vinto. Come Bernard Hinault, che venne tre volte al Giro d’Italia e tre volte se lo prese. Dopo i risultati al Vicenza ci speravo, ma non avevo nessuno ad assistermi e non accadde. In seguito, dissi no al Napoli nel 2013 e all’Inter nel 2016, dopo Swansea, per ragioni diverse. Sono orgoglioso di avere fatto comunque una buona carriera, mi hanno cercato in tanti anche se non sono mai stato, diciamo così, enfatizzato dai media. Non era il mio carattere. Forse, con immodestia, penso a Nibali che ha vinto Giro, Tour, Vuelta e molte classiche, eppure non è considerato tra i più forti di sempre in bicicletta. Non credo sia giusto”.

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