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Hamilton: quando il talento non basta per essere come Schumacher

In un'intervista sbalorditiva il pilota parla di etica del lavoro, difficoltà di concentrazione e della F1 che vorrebbe

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Elisabetta D'Onofrio

Elisabetta D'Onofrio

Giornalista e content creator

Giornalista professionista dal 2007, scrive per curiosità personale e necessità: soprattutto di calcio, di sport e dei suoi protagonisti, concedendosi innocenti evasioni nell'ambito della creazione di format. Un tempo ala destra, oggi si sente a suo agio nel ruolo di libero. Cura una classifica riservata dei migliori 5 calciatori di sempre.

Hamilton: quando il talento non basta per essere come Schumacher Fonte: ANSA

Lewis Hamilton è il pilota più acclamato della sua generazione. E non solo perché è lontano da ogni stereotipo, per stile di vita e origini. Intervistato dalla Gazzetta dello Sport alla vigilia del weekend di Silverstone, il britannico ha affrontato i temi caldi.

A partire da quelli che sono i suoi modelli di riferimento: “Si può fare la differenza con il talento. O almeno, alcuni possono. Se adatti la monoposto al tuo stile, puoi tirare fuori qualcosa in più. Per me il talento contiene l’intelligenza tattica. Poi se ne hai molto puoi decidere di lavorare poco o tanto – ha spiegato Hamilton – Senna e Schumacher avevano un grande etica del lavoro ed è il motivo per cui hanno conquistato tanto successo. Io punto a quel tipo di atteggiamento”.

“In F1 ho scoperto che anche vincendo dovevo lavorare molto. La gente pensa non serva. Anche mio fratello mi dice ‘Sei fortunato con quel talento’. Ma non basta”. Su Schumacher, l’inglese ha voluto ricordare anche un aneddoto particolare, che riporta alla sua infanzia: “Non dimenticherò mai quando sono andato con mio papà a Spa nel 1996 e ho visto Michael Schumacher uscire dalla prima curva. Era come al passaggio di un jet a bassa quota. Mi si è bloccato lo stomaco e mi è venuta la pelle d’oca, sono impazzito. Se esistesse un V12 che non inquina vorrei quel motore, il cambio manuale e la frizione: è la F1 che ho amato da bambino”.

A volte con i tecnici si è scontrato. E non in senso figurato, soprattutto quando poi ha dimostrato di avere ragione da vendere sulle scelte in pista. Con i suoi ha instaurato una dialettica ottimale, considerati i risultati ottenuti e il suo dominio in pista: “È una soddisfazione, perché tutti questi ingegneri hanno studiato un sacco e sono super intelligenti. Quando invece ha ragione il pilota e può buttar lì un “te l’avevo detto” è tanto divertente…”.

Non è comunque questa F1, secondo un pilota come Lewis, dotato e molto formato (è seguito anche da una performance coach), la migliore possibile. Almeno per la sua sensibilità: “Non mi piacciono i test, quelli di gomme in particolare. Come tutti i lavori del mondo, c’è una parte che col tempo diventa noiosa. Ai test non sono molto interessato. Non mi diverto e non mi migliora. Ci sono piloti felici di farlo. Alcuni amano girare in tondo tutto il giorno. Non li capisco”.

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