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I 47 anni di Toldo, dalla parrocchia ai rigori con l'Olanda

Il Triplete ultima tappa, il gol-non gol di testa alla Juve la gioia indimenticabile

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I 47 anni di Toldo, dalla parrocchia ai rigori con l'Olanda Fonte: Ansa

Il ragazzo di campagna è cresciuto: 47 candeline oggi per Francesco Toldo, uno che faceva (e bene) il portiere e che, curiosità, calzava proprio scarpe numero 47. L’ex interista lavora ancora con il club nerazzurro ma la sua storia è ricca di aneddoti e curiosità. Toldo non nasce portiere ma lo diventa, come raccontò lui stesso: “Quando iniziai a giocare mi misi in porta un bel giorno che nevicava e da lì mi divertii a buttarmi per terra, poi iniziai a fare sacrifici. Quando avevo 14anni avevo un ginocchio enorme perché la tecnica del tuffo non la conoscevo, in parrocchia ti tuffavi e ti facevi male, ma tenevi duro perché veniva l’osservatore a vederti e volevi a tuti i costi che ti notasse”. Poteva diventare tabaccaio ( “Quando ero nella primavera del Verona ho avuto nostalgia di casa, ho completato gli studi e mio papà diceva ‘vieni a lavorare in tabaccheria con me’. Io andavo ad aiutarlo al mattino, ma poi al pomeriggio andavo ad allenarmi. Guadagnavo già tanti soldi ma non mi interessava, non li volevo per me, li davo a mio papà perché era un aiuto alla famiglia. Vedevo che i miei faticavano a fare la spesa, si son comprati la Duna e vedevo mio papà andarla a pagare con le 10mila lire. Era la macchina di tutta la famiglia”) o anche lavorare negli alberghi.

LUI E ZOFF – Aveva 15 anni quando era alunno della scuola alberghiera e portiere nelle giovanili del Montebelluna, nell’estate del 1986 lavora nel nuovo Sharaton Hotel di Padova. La sera dell’inaugurazione, quando si avvicina al suo rango per servire i clienti, rimane incantato e incredulo. Fra gli ospiti c’è il portiere campione del Mondo Dino Zoff, suo idolo d’infanzia e modello. Imbarazzato ed emozionato, alla fine della cena Toldo si avvicina a Zoff e gli dice: «Scusi,potrei avere un suo autografo? Sa, anch’io gioco in porta». Zoff firma l’autografo su un foglietto, che ancora oggi Toldo custodisce gelosamente come cimelio. Passano 6 anni da quella cena e la Lazio guidata da Zoff affronta in amichevole il Ravenna, che festeggia la promozione dalla C alla B. Il n°1 del Ravenna è proprio Toldo, che spronato dalla presenza di Zoff gioca benissimo, capitolando solo su un tiro al’incrocio di Fuser. A fine partita Toldo si avvicina a Zoff e gli chiede: «Si ricorda di me? Ero il cameriere che le servì la cena allo Sheraton di Padova nel 1986…». Zoff annuisce: «Certo che mi ricordo, ma piuttosto oggi ho visto un gran portiere. Continua cosi che hai i numeri per divenire un bravo portiere di Serie A!». Ma la storia avrebbe avuto un altro happy end. Perchè la data che diventa leggendaria per Toldo è quella del 29 giugno del 2000. Semifinali degli Europei del 2000. Zoff è il ct della Nazionale, Toldo il portiere titolare. Quel pomeriggio ad Amsterdam il n.1 dell’Inter stregò tutti.

RIGORI BENEDETTI – Parò un rigore a De Boer durante i tempi regolamentari (un altro lo sbagliò Kluivert colpendo il palo) e altri due rigori dopo i supplementari, trascinando l’Italia in finale. I suoi ricordi sono nitidi: “La sera prima mi ero immaginato tutto quello che sarebbe potuto accadere il giorno dopo. Insieme ad una persona amica ne parlavamo per telefono e ci raccontavamo che tutto il mondo avrebbe parlato di me. Parlavamo del fatto che ci sarebbero stati i rigori e che ne avrei parati un botto. E così è stato. Potevano andare avanti quanto volevano, non ce n’era. Mi sono divertito a guardare fisso negli occhi, in una maniera che solo in quel momento riuscivo a fare, i giocatori che tiravano i calci di rigore. Avevo un’adrenalina elevatissima, ma il mio pensiero era quello di riuscire a condizionare chi avevo di fronte. Come? Rimanevo fermo fino all’ultimo, facevo loro la finta per farli sbagliare”. Tante gioie anche con l’Inter, fino alla fine: “Io ho deciso di smettere esattamente la sera in cui abbiamo vinto la Champions League a Madrid: da qualche mese pensavo che se avessimo vinto tutti i trofei in quella stagione avrei smesso la sera stessa. Ho smesso esattamente con la stessa felicità con la quale ho iniziato. La cosa più bella è stata terminare la carriera con un trofeo così importante in mano: anche se in quella stagione ho raccolto poche presenze, so per certo di aver contribuito a quella vittoria sostenendo il gruppo a mio modo”. Un altro ricordo indelebile è il gol di testa alla Juve (anche se alcuni lo assegnarono a Vieri per un tocchettino sotto porta): “Io quella volta me lo sentivo proprio che avrei segnato. Prima della partita, infatti, dissi a Cuper: ‘Scusi mister, guardi che se per caso perdiamo 1-0 e siamo alla fine, se capita l’occasione io vado’. Lui in genere mi diceva sempre di stare fermo, ma quella volta mi disse di andare tranquillo”.

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