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La solitudine di Maradona, Bruno Giordano: "Facevo fatica a sentirlo. Forse chi gli era accanto limitava le telefonate"

In una lunga intervista a I Lunatici, l'ex calciatore svela la sua grande amicizia con Diego e l'ultimo anno di chiamate rarefatte e crescente isolamento del Pibe de oro

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Elisabetta D'Onofrio

Elisabetta D'Onofrio

Giornalista e content creator

Giornalista professionista dal 2007, scrive per curiosità personale e necessità: soprattutto di calcio, di sport e dei suoi protagonisti, concedendosi innocenti evasioni nell'ambito della creazione di format. Un tempo ala destra, oggi si sente a suo agio nel ruolo di libero. Cura una classifica riservata dei migliori 5 calciatori di sempre.

Chi vanta un’età anagrafica tale da permettergli di annodare, nella memoria, Bruno Giordano a Diego Armando Maradona non può averne rimosso il carattere deciso, quasi aggressivo e qualche eccesso che fece notizia. Per tutti gli altri, ha deciso di affidarsi a una confessione, più che un’intervista, a I Lunatici, in una serata di inizio estate.

L’ex attaccante della Nazionale, che in carriera ha vestito le maglie di Lazio, Napoli, Ascoli e Bologna, è autore insieme all’ex compagno di squadra Salvatore Bagni, di un libro dal contenuto intenso, quasi evocativo dal tiolo ‘Che vi siete persi…’, a proposito del primo scudetto vinto dal Napoli di Maradona.

La motivazione per scrivere il suo libro: Napoli e Maradona

“E’ stato bello scrivere questo libro, è un ricordo che passa attraverso me e Salvatore – ha dichiarato – e che racconta ciò che è successo in quella annata straordinaria. Ci sono tanti aneddoti, si parla tanto di Diego Armando Maradona, la luce era lui, noi eravamo attorno alla sua luce. Credo sia un atto dovuto anche alla città, quello scudetto non fu soltanto un fatto sportivo, ma anche una rivalsa sociale per tutti i napoletani. A Napoli è più difficile vincere perché manca l’abitudine, ma siamo stati la dimostrazione che se costruisci una squadra forte puoi fare qualcosa di straordinario. Ci sono stati due scudetti, vittorie europee, Coppe Italia. Al Nord sanno come si vince, sono abituati, ma se tu ti organizzi bene prima o poi riesci a combatterci”.

Il rapporto con Diego

Con Maradona, il rapporto si è costruito nel gioco e al di là della maglia nella tela che i ricordi intrecciano nel racconto di Bruno Giordano:

“Io mi ricordo che in un Lazio-Napoli, giocavo nella Lazio, quando Diego mi capitava vicino mi diceva che l’anno dopo sarei dovuto andare a giocare con lui. Ci incrociammo già in una partita tra Italia e Argentina. Fu straordinario nel periodo in cui mi ruppi una gamba, mi mandò un telegramma. Fu straordinario quando arrivai a Napoli. Lui e Allodi mi volevano a Napoli. Prima di firmare il contratto Allodi mi passò Diego al telefono e lui mi disse che era felicissimo del mio arrivo a Napoli. Maradona in campo non ti faceva pesare il suo essere Maradona. Era generoso e disponibile con tutti, in campo e fuori. E’ un personaggio che sotto alcuni aspetti non è stato raccontato in tutto e per tutto”.

La generosità di Maradona e la verità sugli allenamenti

Questo essere Maradona riecheggiava della sua infanzia, di un passato felice ma estremamente severo, duro che aveva amplificato un sensibilità che non trova alcuna collocazione in un linguaggio semplice, perché inafferrabile, restia a qualunque schematizzazione. Diego era capace di gesti normalissimi, eppure eccezionali:

“A dicembre insieme alla moglie Claudia riempiva i pulmini di giocattoli e andava a regalarli ai bambini negli ospedali di Napoli. Era un leader assoluto. Uno dei pochi, se non l’unico, ad essere amato da tutti. Compagni e avversari. Ha preso tanto calci senza mai dire niente, si rialzava più forte di prima. Un qualcosa di straordinario. Sono felice e orgoglioso di averci giocato accanto. Maradona saltava gli allenamenti? Per quello che ho visto io, in tre avrà saltato una decina di allenamenti. Era sempre presente, quando aveva un obiettivo ci arrivava al massimo della condizione. Era sempre presente. Un Capitano vero. Non portava soltanto la fascia ereditata dal mitico Bruscolotti, ma era un Capitano sempre presente. Agli allenamenti, alle riunioni, ovunque. Se tu non ti alleni, anche se sei Maradona, a certi livelli duri tre mesi. Non anni, come è capitato a Diego”.

La tragica scomparsa di Maradona, avvenuta in circostanze di abbandono e mancata assistenza e che ha indotto la magistratura argentina ad avviare inchiesta e processo, ha segnato un’epoca, ha deciso un prima e un dopo al quale lo stesso Giordano non sa rassegnarsi e che lo ha reso inquieto, riflessivo sugli ultimi avvenimenti che narrano il loro legame a distanza di decenni da quella fase napoletana:

“Un mese prima gli avevo mandato un messaggio per il suo compleanno. Nell’ultimo anno e mezzo facevo fatica a sentirlo, forse chi gli era accanto limitava o escludeva le telefonate. Fino a un anno e mezzo prima c’eravamo sentiti. Fino al 2018 quando ci siamo visti, Maradona stava benissimo. Poi dopo quel periodo ci siamo sentiti sempre più di rado e nell’ultimo anno solo con qualche messaggio. Ero andato a fare un allenamento il giorno della sua morte, mi chiamò un mio amico, mi disse quello che era successo. Poi iniziarono ad arrivarmi decine di chiamate e capii che era vero”.

“Per noi andare al bar a Napoli a prendere un gelato con i nostri figli era possibile. Diego ci diceva che per lui non era così. Diceva che noi eravamo fortunati. Non poteva uscire, anche per questo usciva soltanto ed esclusivamente la notte. Il suo mondo era invivibile. Io gli sono stato molto affianco. Ricordo una volta una trasferta a Torino, uscimmo un pomeriggio perché doveva comprare una musicassetta, dopo cinque minuti si creò il caos e fummo costretti a tornare in albergo”.

Chinaglia il campione

Nella sua carriera, Giordano ha indossato anche la maglia della Lazio e vissuto il privilegio di giocare accanto a un altro campione:

“Nel mio immaginario non ero un attaccante. Quando giocavo accanto a Chinaglia giocavo più dietro, il mio idolo era Cruijff, quando poi Chinaglia andò in America Maestrelli mi diede la maglia numero 9 ed iniziai a prenderci gusto a far gol. Ma non sono nato da centravanti. Ho dovuto sostituire il mito di Chinaglia, forse la mia incoscienza da ragazzino mi ha portato a fare quello che ho fatto. Se avessi avuto qualche anno in più forse mi sarebbero tremate le gambe. Il gol più bello della mia carriera? Quello alla Juventus, con un doppio pallonetto. L’incoscienza del giovane, che a volte però serve”.

La corte della Roma e l’Ascoli

Le indiscrezioni dell’epoca lo volevano nel mirino della rivale, la Roma:

“Due volte la Roma provò a prendermi. Negli anni ’80 ho avuto un periodo di grande amicizia con il Presidente Viola. Nel 1985 Chinaglia mi convocò a casa sua per dirmi che aveva concluso il mio trasferimento alla Roma. Io rifiutai, non potevo indossare la maglia giallorossa. Se Viola stato in un’altra squadra ci sarei andato di corsa. Con la Roma, essendo io un qualcosa che rappresentava la Lazio, non l’ho mai presa in considerazione come ipotesi”.

Un ricordo lo riserva, infine, anche a Costantino Rozzi, presidente dell’Ascoli:

“E’ stato il mio testimone di notte, per portarmi ad Ascoli fece un pressing alla Gattuso. Ad Ascoli sono stato benissimo. Rozzi era un personaggio straordinario. Oggi con i soldi delle tv avrebbe portato l’Ascoli stabilmente nelle prime cinque o sei posizioni”.

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