Fanno discutere in rete e nel mondo del calcio alcune dichiarazioni sul razzismo rilasciate dal presidente del Coni Giovanni Malagò ai microfoni di Radio 24. In merito alle spinose questioni degli insulti e gli ululati ai danni di Lukaku, Kessié e Dalbert, il numero uno dello sport italiano si è così espresso: “E’ sbagliato se qualcuno fa buu a un giocatore di colore, ma è ancora più sbagliato quando uno che guadagna 3 milioni di euro si lascia cadere in area e magari è anche contento di prendere un calcio di rigore”, è la frase che è finita nel mirino sui social. Un’uscita considerata “infelice” anche da parte di molti addetti ai lavori.
In precedenza Malagò aveva puntato il dito sull’anomalia della situazione italiana: “Sul razzismo molte nazioni stavano messe peggio di noi, e anche sul tema anche della violenza negli stadi, invece sono intervenute in modo concreto. Parole pesanti come le pietre quelle di Infantino ai Fifa Awards e c’è una strepitosa intervista all’ex giocatore del Messina, Zoro”.
“Io ho partecipato a tantissimi incontri nel corso degli anni, tavoli tecnici presieduti dagli incaricati alla pubblica sicurezza, e ho sempre sostenuto una tesi: non può che esserci una certezza delle pena, con tolleranza zero, perché qualsiasi ragionamento fatto all’acqua di rose non è servito a debellare questo problema”.
“Ma in Italia in qualche modo c’è una forma permissiva di tolleranza verso chi fa ululati o buu o lancia una banana. In Inghilterra viene quasi premiato chi segnala questo fatto. Lì si è aggredito l’argomento”.
“Antonio Conte ha detto tante cose importanti. Vista l’esperienza che lui ha in altri campionati come quello inglese, dice di essere tornato in Italia dopo l’esperienza fortunata alla Juventus e aver trovato una situazione peggiorata. Questo fa molto riflettere perché il suo è un osservatorio estremamente autorevole”.
Sulla responsabilità oggettiva dei club: “E’ pilastro della giustizia sportiva e non solo del nostro Paese. Qualcuno deve essere responsabile, garante, altrimenti nessuno paga perché non c’è il colpevole. Ho sempre avuto il coraggio di sostenere che questa cosa non è giusta, questo assioma va rivisto, ma al tempo stesso ho sempre sostenuto che, se i club non vengono messi nelle condizioni di individuare i responsabili con strutture all’avanguardia, della tecnologia, del controllo e di sorveglianza, è tutto molto più complicato”.
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