A 31 anni di distanza dall’uccisione di James Jordan, papà di Michael, stella dei Chicago Bulls e icona del basket mondiale, un colpo di scena spariglia completamente la scena del crimine: Daniel Green, l’uomo accusato di aver sparato al papà della leggenda dello sport americano, condannato all’ergastolo nel processo che avrebbe dovuto far luce sull’intero caso, potrebbe essere scagionato dall’accusa di essere stato l’esecutore materiale del delitto, di fatto sconfessando totalmente la tesi dell’accusa in sede di dibattimento processuale.
- Una vicenda con tanti lati oscuri
- L'impatto che la morte del papà ebbe su MJ
- L'ipotesi dei giudici: Green ha "coperto" qualcuno?
- Entro un mese le prime "risposte"
Una vicenda con tanti lati oscuri
Già da alcuni anni si vociferava di inesattezze e incongruenze legate all’episodio nel quale perse la vita il papà di Michael. Che ufficialmente venne ucciso a seguito di una tentata rapita mentre si trovava nella Lexus rossa del figlio, intento a riposare in una stazione di servizio nella contea di Robeson, nella Carolina del Nord.
In realtà, sin dai giorni immediatamente successivi all’accaduto tanti furono i dubbi che si insinuarono in una ricostruzione che non ha mai davvero convinto gli agenti: il corpo di James Jordan venne ritrovato solo 11 giorni dopo quel maledetto 6 ottobre 1993 (giorno al quale viene fatto risalire il delitto) da un pescatore che si trovava nei pressi di un lago nella Carolina del Sud, a centinaia di chilometri da dove avvennero i fatti. E venne ritrovato impiccato a un albero, in evidente stato di decomposizione.
Solo una volta dopo essere stato cremato venne ufficializzato il riconoscimento del cadavere, poiché venne estratta la mascella proprio per effettuare gli esami del caso per dare un volto materiale alla vittima. Decisivo per l’identificazione fu anche il ritrovamento della Lexus, anch’essa a notevole distanza da dove venne rinvenuto il cadavere. Solo in quel momento gli agenti federali confermarono l’effettiva scomparsa di Jordan senior.
L’impatto che la morte del papà ebbe su MJ
Trattandosi del papà di Michael, che stava per cominciare a giocare la stagione successiva al primo threepeat dei Chicago Bulls, l’opinione pubblica restò molto impressionata e suggestionata dalla vicenda. Tra l’altro lo stesso giocatore poche settimane dopo arrivò ad annunciare il suo primo ritiro dal basket giocato, evidentemente ancora scosso dalla tragica morte del padre.
Il quale peraltro era grande appassionato di baseball, e proprio per tale ragione Jordan junior decise qualche mese dopo di tentare la carriera nel baseball professionistico, per onorarne al massimo la memoria. Solo nella primavera del 1995 Jordan deciderà di tornare al basket, riprendendo in mano la sua legacy e portando i Bulls a vincere altri tre titoli dal 1996 al 1998 (iconica la foto di Michael che piange sul parquet, stringendo il pallone a sé, dopo la gara decisiva delle Finals ’96 contro Seattle, nel giorno in cui negli USA ricorreva la festa del papà).
L’ipotesi dei giudici: Green ha “coperto” qualcuno?
A distanza di 31 anni dai fatti, il Giudice Gregory Weeks ha ammesso che nelle prossime settimana verrà fatta una revisione circostanziale del processo, con la possibilità che Daniel Green possa essere scarcerato. L’altro complice nel delitto, “l’amico” Larry Demery (che testimoniò contro Green, dichiarando di essere stato lui a premere il grilletto durante la rapina), ha terminato di scontare i 30 anni di carcere nell’estate del 2023.
La sua testimonianza è stata sempre oggetto di forte discussione: per molti è stata una “copertura” rivolta nei confronti dei veri mandanti ed esecutori del delitto. Si parlò già all’epoca di debiti di gioco contratti da Michael, al punto che la morte del padre servì come monito per la restituzione delle ingenti somme di denaro perse. Non a caso la famiglia Jordan non denunciò mai la scomparsa di James, quasi come se tutti i familiari del giocatore dei Bulls fossero a conoscenza dei problemi di Michael.
Entro un mese le prime “risposte”
Green non ha mai negato il suo coinvolgimento nella vicenda (a casa della bisnonna venne trovato l’anello dei Bulls campioni NBA 1991, che MJ aveva regalato al papà), ma solo successivo alle fasi che portarono alla morte di James. Quella sera disse di aver partecipato a una grigliata a casa di amici, e sebbene molti confermarono tale tesi, costoro non sono mai stati ascoltati come testimoni.
Da qui il dubbio che l’omicidio fosse appunto una sorta di “regolamento di conti” o avvertimento nei confronti di Michael, che come ogni crimine compiuto da gente malavitosa necessitava di un capro espiatorio. Che spiegherebbe anche molti altri fatti accaduti durante il processo: il ritrovamento di una pistola a casa di Green che pure non collima affatto con quella che avrebbe sparato, la mancata presenza di sangue all’interno dell’auto (magari pulita, ma certe tracce restano…), le telefonate fatte poche ore prima della morte dal padre di Jordan all’indirizzo di gente legata al traffico di droga.
Green, che sta scontando la pena all’ergastolo, potrebbe aver “coperto” tutto questo. Ora però potrebbe essere rilasciato dalla Commissione per la Libertà Vigilata della North Carolina.