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Mondiali: le 3 lezioni del Qatar all’Italia, aspettando i nuovi Totti e Del Piero

L’edizione che si è conclusa ieri ha fornito delle importanti indicazioni al calcio italiano e al c.t. Mancini per riportare la Nazionale azzurra a giocare la Coppa del Mondo

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Fabrizio Napoli

Fabrizio Napoli

Giornalista

Giornalista professionista, per Virgilio Sport segue anche il calcio ma è con la pallanuoto che esalta competenze e passioni. Cura la comunicazione di HaBaWaBa, il più grande festival di waterpolo per bambini al mondo

Guardare i Mondiali 2022 non è stato facile per l’Italia, dato che la propria Nazionale è stata costretta a fare da spettatrice per la seconda edizione consecutiva della Coppa del Mondo. Dall’edizione in Qatar, però, il calcio italiano e il c.t. Roberto Mancini possono trarre una serie di lezioni che potranno tornare utili nelle qualificazioni ai prossimi Mondiali, in programma nel 2026 in Canada, Messico e Stati Uniti.

Mondiali Qatar: la fine del possesso palla

La prima lezione che arriva dal Qatar è di natura tattica: i Mondiali 2022 hanno infatti sancito la morte del possesso palla. Dopo anni segnati dal tiki-taka della Spagna e dal possesso insistito della Germania, il calcio sta andando in una direzione ben chiara, segnata da intensità e ricerca immediata della verticalità.Nell’arco del torneo si sono registrati esempi clamorosi di efficacia del gioco in contropiede – il record appartiene al Giappone, che nel girone ha battuto la Spagna avendo appena il 18% di possesso palla – ma il dato più importante in questo senso arriva dai quarti di finale: le quattro vincitrici hanno tutte trionfato tenendo la palla meno del diretto avversario, con il Marocco che ha toccato appena il 27% contro il Portogallo.

Difendersi e ripartire, insomma, non è più una bestemmia: lo hanno fatto anche le big del torneo, come lo stesso Portogallo nel roboante 6-1 alla Svizzera (48% di possesso) o la Francia, che in semifinale ha ritorto contro il Marocco la sua stessa arma, fermandosi al 40%. Intensità e verticalità, dunque, sono gli elementi su cui dovrà lavorare Mancini per riportare l’Italia a livelli competitivi: non si tratta di riscoprire il catenaccio, ma di insistere su un gioco meno elaborato, con meno passaggi orizzontale e più corse in avanti, oltre che di maggiore iniziativa individuale.

Mondiali: il talento si annida ovunque

L’altra lezione che arriva dal Qatar è che il talento si annida ovunque. Tanti i giocatori semi-sconosciuti che si sono affermati ai Mondiali, creandosi probabilmente nuove opportunità per il prosieguo della carriera. Il caso più eclatante è rappresentato dai giocatori marocchini, in particolare da Azzedine Ounahi, centrocampista dell’Angers (Ligue 1) che ha incantato l’ormai ex c.t. spagnolo Luis Enrique (e non solo).

Ma le rivelazioni in Qatar sono state tante, dall’attaccante giapponese Doan al portiere saudita Mohammed Al-Owais fino all’attaccante della Germania Füllkrug, che fino a un paio di stagioni fa militava nella B tedesca.

Mancini fa bene, dunque, a insistere con gli stage della Nazionale per giocatori delle categorie minori, per quelli che giocano all’estero: chissà che tra loro non si nascondano i prossimi Totti e Del Piero.

Mondiali: per una grande Italia non serve una grande Serie A

Infine, i Mondiali in Qatar hanno ricordato all’Italia che non serve un grande campionato per avere una grande nazionale. Tra i campioni del mondo dell’Argentina, solo il 36enne terzo portiere Franco Armani gioca in patria. E tra le altre quattro semifinaliste la situazione non è molto differente: tra i francesi solo Mandanda, Disasi, Veretout e Guendonzi giocano in Ligue 1 e quattro sono anche i Leoni dell’Atlante che militano nel campionato marocchino; sei, invece, i croati che giocano in patria (4 dei quali nella Dinamo Zagabria).

Da qui si traggono due conclusioni: la prima è che la serie A, il cui livello è in calo da anni, non può rappresentare l’unico bacino in cui pescare giocatori per la Nazionale; la seconda è che, con un c.t. attento, i giovani talenti italiani non devono aver paura di andare a fare esperienza all’estero per migliorare e prepararsi al palcoscenico del calcio internazionale.

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