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NBA, la storia di Tony Snell: cerca un altro anno di contratto per assicurare assistenza medica a vita per sé e i suoi figli

La storia di Tony Snell, padre di due bambini autistici, che insegue la decima stagione NBA per ricevere i benefit legati all'assistenza medica

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Roberto Barbacci

Roberto Barbacci

Giornalista

Giornalista (pubblicista) sportivo a tutto campo, è il tuttologo di Virgilio Sport. Provate a chiedergli di boxe, di scherma, di volley o di curling: ve ne farà innamorare

Il collo della bottiglia è sempre più stretto: domani alle 21 italiane chiuderà il mercato di “riparazione” NBA, con la cosiddetta trade deadline che farà calare il sipario su tutte le operazioni legate agli atleti interessati a restare a giocare nella lega professionistica più famosa al mondo. Oltre quella linea, ci sarà modo di rientrare in gioco solo per coloro che attualmente sono free agent, cioè senza contratto, in pratica disoccupati in attesa di una chiamata. Che per qualcuno magari arriverà, proprio perché altre operazioni nel frattempo saranno andate in frantumi.

Una firma che sta appassionando l’America

Tony Snell un contratto ce l’ha, ma non in NBA. Attualmente milita nei Maine Celtics, la squadra affiliata ai Boston Celtics che partecipa alla G-League, la lega di sviluppo creata proprio dal board NBA per consentire a giovani talenti in rampa di lancio o semplici veterani che aspettano ancora il momento giusto per tornare nel palcoscenico principale di mettersi in mostra, disputando una competizione che rappresenta comunque una valida alternativa al trasferimento in Europa o in campionati più esotici.

Per Tony Snell, però, tornare in NBA avrebbe una valore e un significato davvero particolare, che certamente esula dal contesto cestistico. E per questo tutta l’America, seppur distratta dalla lunga marcia di avvicinamento al Super Bowl di domenica prossima, spera che nelle prossime 24 ore quella benedetta chiamata da una delle 30 franchigie possa arrivare.

La carriera di Snell, la moglie conosciuta grazie a Butler

Snell, 32 anni compiuti lo scorso 10 novembre, ha disputato 9 stagioni in NBA. Venne selezionato alla numero 20 del draft 2013 dai Chicago Bulls, squadra nella quale ha militato tre anni prima di essere spedito ai Milwaukee Bucks, dove è rimasto altre tre stagioni prima di iniziare un lungo peregrinare tra Detroit, Atlanta, Portland e New Orleans, concluso al termine della stagione 2021-22.

Rimasto senza squadra, nel gennaio 2023 s’è unito ai Maine Celtics, e in estate poi ha svolto un test con i Golden State Warrios, senza però trovare un contratto. Quel contratto che pure gli cambierebbe eccome la vita, soprattutto quella degli anni a venire.

Perché Snell è padre di due bambini avuti dalla moglie Ashley, conosciuta durante un barbecue organizzato dall’ex compagno di squadra Jimmy Butler ai tempi dei Chicago Bulls. Kenzo e Karter sono due ragazzi adorabili, ma a entrambi è stato diagnosticato un disturbo dello spettro autistico. E quando lo stesso Tony s’è sottoposto ad alcuni esami (è successo la scorsa primavera) ha scoperto a sua volta di essere affetto dallo stesso disturbo.

Cosa garantirebbe a Snell una decima stagione NBA

A prima vista, questa sembra una storia come tante. Ma in America c’è una parolina magica che in casa del genere assume una valenza davvero notevole: è “assicurazione medica garantita a vita”, quella di cui i giocatori NBA possono godere dopo 10 anni di attività nella lega. A Snell, ne manca uno: quel contratto potrebbe garantire per lui e la sua famiglia un’assistenza anche dopo la fine della carriera da atleta. E oltre all’assicurazione, anche la pensione percepita da Tony avrebbe molti più zeri a corredo.

“La mia intenzione è di tornare a giocare, perché mi sento ancora atleta e lo sto dimostrando anche in G-League. Chiaro però che in questo momento ho anche qualcosa di più importante per cui vale la pena lottare, e non ne faccio mistero”. A definire i termini del sistema di benefit ha contribuito un accordo tra l’NBA e la Nbpa, il sindacato dei giocatori.

La lunga attesa: per ora il telefono non squilla

Non dovesse arrivare una firma nelle prossime 24 ore, l’ex ala dei Bulls avrebbe comunque altre occasioni per provare a strappare un contratto e fare così il suo ingresso in NBA per la decima stagione complessiva, ma dovrà attendere il prossimo autunno.

Per ora però il suo “appello” sembra essere caduto nel vuoto: nessuna delle 30 franchigie avrebbe alzato il telefono per provare a imbastire una trattativa e chiedere a Snell di unirsi al proprio roster. Si era sparsa la voce che l’avessero fatto i Lakers, ma il rumors è stato smentito.

Di sicuro c’è che l’intera vicenda ha riacceso i riflettori su un problema particolarmente sentito nel mondo statunitense come quello legato all’autismo, tanto che l’NBA potrebbe anche rivedere i proprio parametri per consentire agli atleti di essere ammessi nel programma stabilito a suo tempo, concedendo anche un’eccezione nel caso di Snell. Che pure preferirebbe guadagnarsi quei benefit semplicemente giocando.

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