Il salto in alto è una delle più antiche discipline dell’atletica leggera, in cui l’atleta deve superare con un salto un’asticella posta a una determinata altezza dal suolo. Si suppone facesse già parte delle olimpiadi classiche e la prima gara documentata è avvenuta in Scozia nel 19esimo secolo, vinta con un’altezza finale di 1,67 m.
Le caratteristiche della disciplina
All’inizio della gara, l’asticella è posta a un’altezza relativamente bassa e alzata progressivamente di 2, 3 o 5 cm. In caso l’atleta stia tentando un record, a volte l’incremento può anche essere di un solo centimetro. Ogni atleta decide autonomamente a che altezza entrare in gara ma, una volta decisa una misura, nessun’altro partecipante può entrare a un’altezza inferiore. I partecipanti, dal momento in cui vengono chiamati a saltare, hanno 60 secondi di tempo. Quando in gara rimangono 2-3 saltatori, i secondi a disposizione per eseguire l’esercizio passano a 90. Quando rimane un solo partecipante, il tempo a disposizione si dilata fino a 3 minuti.
L’eliminazione scatta dopo 3 salti falliti consecutivamente. Vince, com’è prevedibile, chi salta più in alto. In caso due saltatori giungano a fine gara alla stessa altezza, vince chi ha commesso meno errori a quell’altezza. In caso di ulteriore parità, si tiene conto degli errori commessi in tutto l’arco della gara. Nell’eventualità estrema di gara perfettamente identica tra due o più atleti, si effettueranno salti ulteriori. C’è, in ogni caso, la possibilità per gli atleti ex aequo di accordarsi per un pari merito, com’è accaduto a Tokyo 2020 tra Gianmarco Tamberi e Mutaz Barshim, entrambi vincitori della medaglia d’oro.
L’asticella da saltare è in genere in vetroresina o comunque in materiale leggero (non metallo) ed è lunga 4 metri. Al di là dell’asticella c’è un materassino in gommapiuma atto ad ammorbidire l’atterraggio degli atleti. Un salto è da considerarsi errato se, col corpo, si fa cadere l’asticella. Una revisione del regolamento, avvenuta nel 2016, ha fatto sì che sia da considerarsi nullo anche quanto un atleta tocca l’asticella senza saltare.
George Horine e il primato grazie al western roll
A stabilire il primo record del mondo in assoluto nel salto in alto è stato l’americano George Horine. A Palo Alto, in California, il saltatore statunitense, vincitore del bronzo alle Olimpiadi di Stoccolma dello stesso anno, superò per la prima volta la barriera dei due metri, saltando 2,01.
Ad aiutarlo in tale impresa fu una tecnica di salto rivoluzionaria da lui stesso inventata. In precedenza, infatti, il salto in alto veniva eseguito mediante la tecnica definita a forbice: il saltatore approcciava l’asticella in diagonale, saltandola prima con la gamba interna e poi gettando dietro l’altra con un rapido movimento che ricordava delle forbici. In questo modo il saltatore poteva atterrare in piedi, condizione necessaria per l’assenza (o quasi) di materiale che riducesse l’impatto della caduta nella zona di atterraggio.
Horine, invece, adottò il salto definito western roll: la rincorsa avviene sempre diagonalmente rispetto all’asticella, ma lo stacco è eseguito con la gamba interna, portando quella esterna verso l’alto per proiettare il corpo oltre l’asticella.
Questa tecnica ebbe molto successo e fu adottata da molti altri saltatori, tra cui Cornelius Johnson, che vinse l’oro alle Olimpiadi di Berlino del 1936 saltando 2,03 m. Lo stesso Johnson migliorò quell’anno il record mondiale, saltando la ragguardevole altezza di 2,07 m.
Il dominio sovietico, il salto ventrale e Valerij Brumel
Il secondo step nell’evoluzione del salto in alto fu introdotto dagli atleti sovietici, che dominarono il panorama del salto in alto per quasi quarant’anni, fino alla metà degli anni ’70. Tale tecnica di salto era definita ventrale, con l’atleta che superava l’asticella a pancia in sotto, con il torso posto quasi parallelamente a essa.
Tra i più grandi saltatori ventrali, nonché detentori per un periodo del record mondiale, si annoverano: gli statunitensi Charles Dumas e John Thomas, col secondo ricordato per essere stato il primo uomo a superare i 2,23 m, e i sovietici Varlij Brumel e Volodymyr Jaščenko. Brumel, tra il 1961 e il 1963, non ebbe rivali, portando il record a 2,28 metri e vincendo la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Tokyo del 1964. Solo un incidente in moto pose fine alla sua carriera. Da lui andarono a migliorare la propria tecnica di salto ventrale numerosi atleti, negli anni successivi al ritiro.
Dick Fosbury, un rivoluzionario senza gloria
Il mondo del salto in alto cambiò per sempre in occasione delle Olimpiadi di Città del Messico del 1968. A quella kermesse iridata si presentò un semisconosciuto ragazzo dell’Oregon, Dick Fosbury. Fosbury, grazie all’innovativa tecnica da lui stesso inventata, aveva sbaragliato la concorrenza nel circuito NCAA americano e aveva vinto i Trials per la qualificazione alle Olimpiadi.
In Messico, il suo saltò fu finalmente conosciuto da tutto il mondo. La sua tecnica omonima prevede di aggiungere un’ulteriore rotazione al vecchio salto ventrale, passando l’asticella prima con testa e spalle e arcuando la schiena. Senza l’introduzione di materassini in gommapiuma nella zona di atterraggio, ciò gli avrebbe causato la rottura del collo. Nel ’68 vinse la medaglia d’oro e registrò il record olimpico saltando 2,24m, ma non riuscì a infrangere quello mondiale, ancora detenuto da Brumel.
La sua tecnica prese in breve tempo larghissimo piede tra tutti i saltatori, sebbene incontrò la resistenza di alcuni stoici utilizzatori del salto ventrale, soprattutto nel panorama sovietico. L’ultimo detentore di record del mondo a utilizzare la tecnica ventrale fu appunto Volodymyr Jascenko che, nel 1978, settò l’asticella a 2,34 e 2,35 metri indoor. L’ultima donna fu, invece, Rosemarie Ackermann, prima donna a superare la barriera dei 2 metri.
Javier Sotomayor, il migliore da 30 anni
Grazie alla rivoluzione introdotta da Fosbury, numerosi altri atleti hanno progressivamente incrementato il record del mondo. Tra di essi, è doveroso menzionare il cinese Zhu Jianhua che, tra il il 1983 e il 1984 ha alzato il record fino a 2,39 m. Il saltatore più forte di tutti i tempi, però, è da molti considerato Javier Sotomayor.
Cubano classe 1967, ad appena 17 anni saltò 2,33 m, altezza che gli sarebbe valsa come minimo il podio alle Olimpiadi di Los Angeles, edizione che i paesi del blocco sovietico (tra cui Cuba) disertarono quell’anno per via della Guerra Fredda. L’8 settembre 1988, a Salamanca, infranse il record del mondo appartenente a Patrick Sjoberg, saltando 2,43 poco tempo prima delle Olimpiadi di Seoul.
Anche quest’edizione, però, fu disertata da Cuba, questa volta per sostenere la Corea del Nord. La prima, e unica, edizione a cui riuscì a partecipare fu quella di Barcellona 1992, occasione in cui vinse la medaglia d’oro saltando 2,34 m. Stabilì l’attuale record del mondo ancora a Salamanca, il 27 luglio 1993: in quell’occasione, saltò l’incredibile altezza di 2,45 m, misura a cui nessun atleta si è mai più avvicinato. Suo è anche il record del mondo indoor, stabilito ai Mondiali di Budapest, saltando 2,43 m.
Da Sara Simeoni a Stefka Kostadinova
Ancora più longevo è il record del mondo femminile, attualmente detenuto da Stefka Kostadinova. La saltatrice bulgara, dominatrice nella specialità tra il 1985 e il 1997, probabilmente la più forte della storia, ha stabilito il primato ai Mondiali di Roma del 1987, quando saltò 2,09m. Nel suo palmares vanta, tra gli altri, 1 oro olimpico, 2 ori mondiali e 5 ori mondiali indoor. Per quattro anni, inoltre, il record fu in mano a un’italiana, Sara Simeoni. Nativa di Rivoli Veronese, nel 1978 ha stabilito il primato con l’atezza di 2,01m. In bacheca, tra i molti toenri vinti, ha anche 1 oro e 2 argenti olimpici, 1 oro europeo e 4 ori europei indoor.
Per quattro anni è stato in mano della Kostadinova anche il record indoor, stabilito inizialmente con 2,05 l’8 marzo 1987 e migliorato a 2,06 il 20 febbraio 1998. A strapparglielo, l’8 febbraio 1992, fu la tedesca Heike Henkel, in grado di saltare 2,07m a Karlsruhe. Attualmente, il primato è appannaggio della saltatrice svedese Kajsa Bergqvist che, l’8 febbraio 2006 ad Arnstadt, ha saltato 2,08m.