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Roberto Palpacelli, il campione mancato del tennis azzurro

L'incredibile storia del tennista che poteva essere il più forte di tutti.

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Roberto Palpacelli, il campione mancato del tennis azzurro Fonte: ANSA

La rivista “Il tennis Italiano” ha intervistato Roberto Palpacelli, fuoriclasse mancato del tennis azzurro ma talmente celebrato e raccontato da sconfinare nella leggenda metropolitana. Di lui è presente un solo dato ufficiale: il 1.355, cioè un punto nella classifica Atp, nel 1999.

Fu scoperto da Paolo Bertolucci e Adriano Panatta a 15 anni, durante un raduno a Riano nel 1985: “Era davvero speciale – racconta Bertolucci -: Eravamo rimasti colpiti dal suo talento, ma già al raduno si vedeva che era un ribelle: non gli stava bene niente, si lamentava in continuazione. Non ne volle proprio sapere: gli consigliammo di tornarsene a casa, pensarci bene e richiamarci. Naturalmente, quella telefonata non arrivò mai. Mi è dispiaciuto molto, perché era un pezzo raro; sembrava la accarezzasse, la palla, poi partivano fucilate. Stilisticamente era perfetto”.

A 48 anni, Palpacelli ha deciso di raccontarsi per la prima volta: “Riano? Certo che lo ricordo. Mi dissero che mi sarei allenato con Riccardo Piatti che aveva il gruppo di Furlan, Caratti, Mordegan, Nargiso e Brandi, tutti ragazzi del 1970 come me. D’istinto risposi di no: mi proponevano tennis, pranzo, atletica; la sera, autobus e stanzoni. Ma io avevo altre cose per la testa: a quindici anni fumavo già le canne. L’anno dopo feci il primo tiro, intendo di eroina, e il problema fu che mi piacque”.

La rottura fu definitiva due anni dopo: “La federazione ebbe la cattiva idea di convocarmi in Coppa Europa, a Sciacca. La prima sera facemmo la passatella, un giochetto alcolico tipico delle nostre parti. Finì che mi appartai con delle ragazzine svedesi che stavano nello stesso albergo e poi, preso dai fumi dell’alcol, spaccai un po’ di cose. Ovviamente mi cacciarono e non mi chiamarono mai più”.

Il classico talento bizzoso: “Proprio non riuscivo a vederlo come un lavoro, il tennis. Mi accontentavo di diventare B1, come quelli che vincevano il torneo di Pescara, che per me era il centro del mondo. Lo vedevo come un punto di arrivo”.

Dopo la mancata affermazione nel tennis mondiale, Palpacelli visse anni complicati per la sua dipendenza: “Furono i peggiori della mia vita: a 24 anni il militare, a 25 la scuola nazionale maestri da cui fui allontanato perché capirono presto in che stato ero; a 26 finii in mezzo alla strada, letteralmente, neanche i miei volevano vedermi ridotto così. A 27, entrai in comunità”.

“L’ultima occasione sportiva vera me la diede un’azienda che mi finanziò, nei primi anni Novanta, per farmi allenare. Solo che mi consegnarono quattro milioni di lire (2.000 euro, nda) per andare giocare dei futures in India. Uno come me, in India, con soldi in tasca. Più o meno è come lasciare un bambino nel paese dei balocchi. Al primo impatto, vidi una distesa di capanne di stracci, la gente che ti veniva incontro, i bambini, le fogne a cielo aperto. Stavo per risalire sull’aereo. Poi, a quel caos, mi abituai. Partii che pesavo 77 chili. Giocai la prima partita su un campo di sterco di bue, che da secco diventa una specie di gomma, contro un giocatore locale che ci era abituato, faceva sempre serve&volley. Poi, invece di ripartire per un altro torneo, mi fermai e in 16 giorni spesi tutti i soldi. Come, è facile immaginarlo. Persi 14 chili, non volevo più tornare in Italia”.

Nel 2012, il ritorno in campo. Palpacelli a 42 anni decide di aiutare il circolo CT Mosciano a salire dalla serie C alla serie A ed è travolgente. Giocando contro ragazzi di vent’anni più giovani, in due anni perde appena una partita.

L’ultimo aneddoto, prima di sparire per l’ultima volta dai campi da tennis, è relativo allo spareggio per la promozione in A2 contro il Piacenza: Palpacelli sfidava Adriano Albanesi. Dopo aver perso il primo set al tie-break, sotto un caldo bestiale, si sdraiò in panchina e si mise a fumare. Qualcuno dal pubblico gli gridò di non mollare. “Palpacelli si girò, offeso, verso i suoi e disse che non gli dovevano rompere le palle, che tanto avrebbe vinto lui 6-1 6-1”, racconta Marco Gualdi, ex numero 800 al mondo, testimone del fatto. Vinse il secondo e il terzo set 6-1 6-2.

 

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