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Sandro Pochesci: il predestinato del calcio italiano

Sandro Pochesci è stato un discreto calciatore. Da quando ha iniziato ad allenare è riuscito ad arrivare in Serie B partendo dalla Prima Categoria.

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Simone Biancofiore

Simone Biancofiore

Giornalista

Laureato in Scienze della Comunicazione all'Università di Bologna. Il calcio è da sempre una grande passione. Scrivere di calcio? Merito di mio nonno, gli devo tanto.

Sandro Pochesci: il predestinato del calcio italiano Fonte: Getty Images

Sandro Pochesci è uno di quei personaggi che, in un modo o nell’altro, fa rumore nel mondo del calcio. Non è uno dei tanti ma uno capace di essere definito unico. Forse unico a modo suo. Questa unicità la si riscontra nel suo modo di essere, fare, comunicare e anche nel mettere in pratica la sua professione: quella di allenatore.

Pochesci nasce a Roma il 9 ottobre 1963. Sandro ha il sangue romano. Forse non ha bisogno di nessuna precisazione di questo tipo, basta semplicemente ascoltarlo. La sua carriera da calciatore è stata molto discreta visto che ha indossato le seguenti maglie: Guidonia, Ostia Mare, Viterbese, Fondi, Sassuolo e Spes Montesacro. Esperienze che lo hanno comunque formato. Era un centrocampista, uno simile a Tardelli raccontano. Nel suo ultimo anno ricopre il duplice ruolo di allenatore-giocatore con la maglia de La Borghesiana: “Feci proprio io il gol vittoria che ci regalò la promozione, ma l’anno dopo accettai l’offerta del Tor Bella monaca in Eccellenza. Furono tre anni straordinari, giocavamo con tutti ragazzi del quartiere e la domenica mattina, quando c’era la partita, al campo veniva tutto il quartiere”.

Romano ma tifoso del Milan. Lo dice in un’intervista rilasciata a Gianluca Di Marzio, dopo una vittoria dell’Unicusano Fondi contro il Foggia allo Zaccheria: “Ieri ho realizzato un sogno da milanista. Ho stretto la mano a Stroppa che per me è stato un idolo da giocatore. L’ho anche battuto, non ce potevo credere”. Pochesci è un tipo molto caldo ma anche profondo visto che ha vissuto momenti molto duri. La sua è una storia molto toccante. Racconta che a 17 anni ad una festa a Borgata Finocchio conobbe una ragazzina di nome Patrizia. Lei era più piccola di tre anni. Scoppia subito l’amore, quell’amore a prima vista. Si sposa nel 1987, due anni dopo nasce Cristian. Una storia che spesso solo nei libri si legge ma poi succede qualcosa che cambia e non poco la sua vita.

Il racconto di quella maledetta notte: “Ero sposato da circa tre anni e ancora giocavo a pallone. Cristian aveva 15 mesi quando avvenne la disgrazia. Ero tornato da una trasferta dove avevo vinto con la mia squadra, con un mio gol. Lei, mi ricordo bene, mi preparò una grande cena per festeggiare, poi ce ne andammo a dormire tutti e tre insieme. Intorno all’una di notte lei si svegliò, si sentì male. Il tempo di stringerla e mi morì tra le braccia e il pianto dirotto di Cristian. Aveva solo 23 anni Patrizia. Mi dissero che la causa improvvisa del decesso fu il prolasso della valvola mitrale. Per anni l’ho vista dappertutto. Mi sembrava di vederla ad ogni angolo, in ogni negozio. Vedevo solo lei”.

Pochesci è uno che non ha mai mollato. Si è gettato, con la massima umiltà e a piccoli passi, nella nuova veste di allenatore. Ricorda ad esempio quando era alla guida della Viterbese: “Facevo il portantino nel reparto Dialisi di Ostia, ma era un lavoro part-time. Poi arrivò la chiamata della Viterbese e dopo il lavoro allenavo la squadra. Non ho mai saltato una giornata di lavoro. Riuscivo a fare entrambe le cose”. Un uomo umile e che ha sempre apprezzato Zdeněk Zeman, suo idolo. Il boemo è un tipo fuori dagli schemi, come piace allo stesso Sandro.

La carriera di Sandro Pochesci

A Sandro Pochesci nessuno ha regalato qualcosa. Uomo tutto di un pezzo che in sette anni è riuscito ad arrivare in Serie B. Un allenatore con dei valori, difficilmente si è piegato a terzi. Lavoro e spirito di sacrificio alla base di tutto.

Inizia dalla Prima Categoria. Guida la Polisportiva Borghesiana e vince subito il campionato. Poi ecco la parentesi al Torbellamonaca, squadra della sua città. Prima come direttore tecnico e poi come allenatore. Anche qui un trionfo con la promozione in Eccellenza. Segue la chiamata in Serie D sulla panchina del Guidonia dove in tre anni riesce a raggiungere i play-off. Ecco la Serie C1 con la Viterbese. Un’avventura che si conclude in modo particolare quando decide di lasciare dopo il cambio di società e con la squadra al 3°posto. Il ricordo: “Nel 2006 con una squadra giovane piena di ragazzi, la maggior parte dei quali arrivati dai Dilettanti, dovetti subire una dimissione forzata dal cambio di società, con una classifica ottima. Alla terza di ritorno eravamo terzi, dietro Foligno e Spal, e con l’ultima mia partita in notturna contro la Spal con 3.500 spettatori fini 2-2”.

Prima di approdare al Fondi nel 2016 guida il Flaminia Civitacastellana, il Monterotondo Lupa, la Cynthia e l’Ostiamare. Con il Fondi viene esonerato a febbraio del 2016 non per demeriti sportivi ma per motivi disciplinari. Ecco come spiegò il suo allontanamento: “Sono stato esonerato per motivi disciplinari. Ringrazio tutti e in particolare la società che mi ha permesso la totale gestione della squadra. Accetto con serenità quanto è stato deciso dal dottor Bandecchi. Auguro le migliori fortune alla squadra e alla società. Sono convinto che può centrare sia l’obiettivo di vincere il campionato e quello della Coppa Italia. Per me si apre un nuovo capitolo da oggi”. Sorridendo dice: “Bandecchi è riuscito a fare ciò che non tanti presidenti pensavano ma non hanno messo in pratica. Nemmeno Ciappici che è un mangia allenatori era riuscito ad esonerarmi. È la prima volta che mi capita”.

Sandro Pochesci sulla panchina del Carpi Fonte: Getty Images

Nel 2017 la prima chiamata in Serie B, a Terni. Una grande opportunità per Pochesci. Lui lo sa e lo sottolinea anche nella conferenza stampa di presentazione: “Se io fallisco a Terni non voglio più allenare, perché una piazza così non la ritrovo più”. Le cose non vanno benissimo. Vince 3 partite su 24, colleziona 13 pareggi e 8 sconfitte. Viene esonerato dopo un pareggio interno contro la Salernitana di Stefano Colantuono.

A fine marzo del 2019 viene nominato allenatore della Casertana. Raggiunge i play-off ma viene eliminato al 1° turno a discapito della Virtus Francavilla. Nel 2019, sempre in corsa, prende in mano il Bisceglie. Un’altra parentesi poco brillante: 3 punti in 9 partite. Uno score insufficiente che lo porta verso un nuovo esonero.

Nell’estate del 2020 inizia l’ avventura al Carpi. Un percorso molto particolare. Viene esonerato a gennaio del 2021 (12°posto) ma viene richiamato un mese più tardi riuscendo a salvare la squadra. Qui molti ricordano la squalifica inflitta per un mese, a causa di alcune dichiarazioni rilasciate nei confronti della terna arbitrale in occasione della gara contro la Triestina del 29 novembre 2020. La squalifica venne spiegata così: “Sandro Pochesci, allenatore responsabile della prima squadra del CARPI F.C. 1909 S.R.L., in violazione dell’art. 4, comma 1, anche in relazione all’art.37 del Regolamento del Settore Tecnico, per avere, nel corso di un’intervista resa al termine della gara Carpi – Triestina del 29 novembre 2020, mosso gratuite e infondate contestazioni all’operato della terna arbitrale della partita oggetto di segnalazione e, più in generale, a quello degli Arbitri del Campionato di Serie C”.

L’ultima esperienza è quella sulla panchina della Juve Stabia. La dinamica è più o meno la stessa: debutta il 1° febbraio 2023, viene esonerato a marzo dopo la sconfitta contro il Latina.

Il credo di Sandro Pochesci

Nel 2018 fece uscire un libro facendo riferimento alla sua esperienza sulla panchina della Ternana intitolato “3-3-1-3. Oltre i sistemi di gioco”.

Ecco che cosa sostiene Pochesci:

“Il punto fermo resta il trequartista, nucleo e faro attorno a cui il resto della squadra ruota. Se guardi la disposizione in campo, gli 11 giocatori costituiscono 4 rombi e 47 triangoli, motivo per cui ognuno ha sempre tre alternative di passaggio e può far cominciare la manovra senza saltare alla linea successiva. Non è un caso che secondo le statistiche Paolucci toccasse più palloni di tutti in categoria, più di Brugman e Castagnetti. Questo fa capire come tale dislocazione potesse esaltare le caratteristiche di palleggio di un calciatore che ora purtroppo non sta giocando la B. Davanti a lui c’era Tremolada e davanti ancora Montalto, ma è mancato il primo vertice alto”.

E aggiunge:

“Ci sono state gare in cui eseguivamo 700 passaggi contro i 130 altrui, perché le posizioni che tenevamo obbligavano tutti a dare del tu alla palla. Il mio 3-3-1-3 non è spregiudicato, ma propositivo: lo scopo è quello di controllare la sfera per tutta la durata dell’incontro. Credo che se nelle giovanili si imponesse questo schieramento, migliorerebbe di molto la cifra tecnica complessiva. Il difensore oggi non può pensare soltanto a marcare, perché la pressione a cui è sottoposto il play obbliga qualsiasi squadra a far partire la manovra da più dietro. Se ci si allenasse più sui concetti che sulle posizioni si vedrebbero calciatori più completi”.

Un allenatore con idee propositive e con un gioco offensivo.

Sandro Pochesci sulla panchina della Ternana Fonte: Getty Images

Le dichiarazioni iconiche di Pochesci

In termini di risultati Pochesci deve ancora dimostrare. Non sono di certo passate inosservate alcune conferenze. Tra queste sono diventate subito virali le dichiarazioni inerenti all’Italia di Gian Piero Ventura nel confronto contro la Svezia valevole per l’accesso, poi mancato, ai Mondiali.

Un attacco duro e diretto al calcio italiano e non solo: “Oltre che ad avere perso contro una squadra di profughi, ci siamo fatti pure menare. Ma che siamo diventati tutti ‘pariolini’? Il calcio italiano è finito. Ecco cosa accade a portare tutti questi stranieri in Italia: non c’è più un italiano che mena. Se andiamo fuori dal Mondiale perdiamo tutti: ci dobbiamo svegliare”. Aggiunge: “Non siamo più l’Italia di una volta, quella che vinceva e, se necessario menava pure. Gentile contro Maradona e Zico ve lo ricordate? Già, ma dove sono i difensori che marcano? Tutti pensano a impostare e nessuno a marcare l’avversario. L’ho detto anche a Coverciano, mi hanno risposto che si faceva 40 anni fa. Però ecco il risultato: ci siamo fatti pure menare e rischiamo di andare fuori dal Mondiale. Una volta l’Italia menava e vinceva, adesso ci menano e piangiamo”.

Forse strigliato, Pochesci ha poi cercato di correggere il tiro: “Capisco che sono diventato allenatore di questa meravigliosa piazza, io parlavo da tifoso questo è stato il mio errore. Una volta dicevo le cose e passavano, ora no. Forse il mio modo colorito da romano ha influito. La mia è stata una reazione da tifoso, non volevo attaccare la Nazionale e Ventura che è uno dei migliori. Se qualcuno si è offeso, anche Ventura o Tavecchio, mi dispiace molto. Non sono delle scuse, sono tifoso della Nazionale e voglio solo il suo bene. Le mie sono state espressioni troppo colorite. Mi dispiace per il mister Ventura che presto incontrerò a Coverciano perché siamo colleghi”.

Oppure c’è anche quella volta in cui affermò che Zlatan Ibrahimovic (sì, proprio lui) avrebbe fatto fatica a giocare nella sua Ternana: “Ibrahimovic potrebbe avere difficoltà nella nostra squadra. Lui prende palla e gioca da solo, noi giochiamo a due tocchi. Con l’unico allenatore che voleva giocare così (Guardiola, ndr) è andato via… Zlatan le partite le vince da solo, non ha bisogno della squadra. Lo metti davanti e tutti devono giocare per Ibrahimovic”.

Sandro Pochesci lo si può solo amare. O forse, alcuni diranno, solo odiare. Resta un allenatore molto caparbio, intelligente e capace di comunicare in maniera molto diretta. Spesso si lascia andare a cose poco piacevoli da sentire (forse per alcuni) ma lui rispetta se stesso e il suo pensiero. È un leone in gabbia, non si tira indietro, non ama i filtri o le mezze misure. Sandro Pochesci è così. È ovvio che adesso in tanti vorrebbero vedere la realizzazione, in maniera più concreta, della sua filosofia calcistica in termini di risultati. Concettualmente ciò che esprime è davvero interessante ma per ora ha dimostrato solo a sprazzi il suo potenziale e l’efficacia di quello che ha in testa. Non è riuscito a farlo completamente. Cosa servirebbe? Forse è in attesa del treno giusto, della piazza ideale e di quel progetto che gli possa davvero permettere di esprimersi come vuole. Arriveranno questi momenti. Il mondo del calcio prega e spera.

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