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Sara Gama, addio alla nazionale ma continua battaglia: Lotto per uguaglianza donne e come Sinner odio i social

La campionessa della Juve rivela di aver combattuto contro il retaggio del fascismo che non voleva le donne nel calcio e si confessa a La Repubblica

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Fabrizio Piccolo

Fabrizio Piccolo

Giornalista

Nella sua carriera ha seguito numerose manifestazioni sportive e collaborato con agenzie e testate. Esperienza, competenza, conoscenza e memoria storica. Si occupa prevalentemente di calcio

“Il tre nella simbologia non devo spiegare quante cose significa da tempi antichi, simbolo fondamentale. Mi piace come numero, mi piace vederlo, poi rientra moltiplicato in altri numeri a cui tengo”. Sara Gama spiegò così su twitch la scelta di quella maglia ma dietro c’è molto altro. Quando nel 2019 la nazionale femminile approdò ai quarti dei Mondiali, Gama fu la capitana in campo e fuori. Con il celebre discorso alla fine del mondiale davanti al Presidente Mattarella, dove ricordò a tutti e a tutte che il numero tre non era solo il suo numero di maglia, ma anche l’articolo più bello della nostra Costituzione, che sancisce che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. E nel nome di quella battaglia culturale e sociale che la giocatrice, che continuerà la sua carriera nella Juventus, continuerà a lottare come rivela in un’intervista a La Repubblica.

Sara Gama ha lasciato la Nazionale dopo 140 gare

Quatto giorni fa la Gama ha detto addio all’azzurro al Viola Park. Il 17 giugno 2006, a Mariupol, allora Ucraina, oggi territorio occupato dai russi, aveva 17 anni quando il Ct di allora Pietro Ghedin le disse di alzarsi dalla panchina al minuto 85’ per regalarle l’esordio (ko 1-2). Ora ne ha quasi 35, che compirà tra poco più di un mese, il 27 marzo e ha detto basta.

Le compagne l’hanno salutata indossando parrucche ricce come lei, e non è un caso: quei capelli sono diventati un simbolo riconosciuto anche all’estero. Sara Gama parla a La Repubblica: “Lo sketch delle mie compagne con la parrucca lo racconterò per anni. Ci abbiamo scherzato tutta la sera”. Scherzi a parte però le parole della Gama diventano affilate, la sua è una lotta continua: “Contro chi? Sono tanti. Parlo di chi pensa che il calcio non si possa declinare al femminile”

Gama e una battaglia che inizia dal fascismo

Come quegli allenatori che, per criticare i propri giocatori, dicono che hanno giocato da femminucce: «Se ne sono sentite. Ma sono il retaggio di idee che vengono da molto molto lontano. Il calcio femminile è nato con quello maschile in Inghilterra a fine ’800 ma poi è andato a singhiozzo. In Italia è nato solo nel 1933 a Milano, poi il fascismo lo ha bandito per l’idea che facesse male alle donne. Certe frasi arrivano da questa cultura, da questa ignoranza. Ma per cambiare questo retaggio ci vuole tempo».

Nelle battaglie sociali è sempre stata in prima linea: “Ho visto compagne lasciare la Nazionale per accettare offerte di lavoro vere: l’idea era che una ragazza non potesse vivere giocando a calcio. O se sì, per quanto? Volevo far sì che non succedesse più. Simbolo però ti ci fanno diventare gli altri, riconoscendoti un ruolo. Io ho solo cercato di espormi per ciò in cui credevo e se lo fai capita di scontrarti contro qualcuno o contro qualcosa: uomini e donne ancora non hanno le stesse opportunità e in questo le quote rosa forse servono per entrare in un mondo. Ma non basta: bisogna incentivare la formazione di dirigenti donne. Poi sta a noi andarci a prendere ciò che meritiamo”.

Sara Gama contro i social come Sinner

Dopo un passaggio sulla vicenda del bacio di Rubiales a Jenni Hermoso dopo la finale dei Mondiali («Chi non ha capito come bisogna rapportarsi con una atleta di alto livello è figlio dello stesso retaggio») Gama rivela che come Sinner odia i social e li usa solo per lavoro: «Qualcosa di simile. Oggi dietro uno schermo ci si permette di dire cose che di persona nessuno avrebbe il coraggio di dire. Questo ha un impatto sulla vita dei calciatori, delle calciatrici: si propagano opinioni a macchia d’olio, questo incide sulla qualità di vita di atlete e atleti. Sono cose che possono fare molto male, anche gli eccessi positivi».

L’ultima battuta è l’ennesimo mattone sulla parità di genere: «Se le calciatrici si truccano prima di giocare? Alcune calciatrici si truccano prima di andare in campo, sì, ma perché fa notizia? I calciatori si pettinano, fanno la skin care e vanno dal parrucchiere, mica si curano solo le donne: il calcio ormai è anche molto immagine. È cambiato il mondo, prima che lo sport».

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