Non può essere facile abituarsi a stare senza una cosa che è stata la propria vita per 25 anni. A Francesco Totti il calcio manca, anche se si occupa a tempo pieno dell’agenzia di scouting fondata un anno fa, la CT10 Management, ma è innegabile come il richiamo dell’odore dell’erba si faccia prepotentemente sentire, anche a 44 anni.
L’ex capitano della Roma ha concesso un’intervista a Walter Veltroni per ‘Sette’, il settimanale del ‘Corriere della Sera’ in uscita domani: ecco qualche estratto della chiacchierata tra i due, a partire dalla battaglia vinta col Covid-19. “Ho avuto una polmonite bilaterale, febbre a quaranta, tosse continua ed ero stanco, non avevo fame. Sono stati 24 giorni molto duri. I ragazzi si sono spaventati, anche loro tutti positivi, per fortuna asintomatici. Tutti quelli che mi circondavano l’hanno preso”.
Il ritiro obbligato è ancora una ferita aperta che, ogni tanto, torna a causare dolore. “Sapevo che prima o poi avrei dovuto smettere. Bisogna essere realisti. A 40 anni è pure difficile arrivare e continuare a giocare al livello giusto. Però nel mio caso sono stato costretto. Una soluzione si poteva trovare, insieme. Avrei voluto smettere in un altro momento. Avrei voluto essere io a prendere la decisione”.
Della sua lunga e importante carriera, Totti cancellerebbe in particolare due momenti in cui non riesce proprio a riconoscersi. “Il calcio a Balotelli e lo sputo a Poulsen. Sono state le cose più brutte che potessi fare, cose non da me. Tuttora non riesco a capire come possa aver compiuto gesti simili”.