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Tour de France 2023 pagelle finali: da Vingegaard a Pogacar, da Van der Poel ai sette italiani in gara

Pagellone definitivo di fine Tour con promossi e bocciati, anche se chiunque è arrivato a Parigi ha di che essere contento per essere “scampato” a una corsa folle e senza freni.

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Roberto Barbacci

Roberto Barbacci

Giornalista

Giornalista (pubblicista) sportivo a tutto campo, è il tuttologo di Virgilio Sport. Provate a chiedergli di boxe, di scherma, di volley o di curling: ve ne farà innamorare

Tre settimane a tutta, vissute senza un giorno di tregua. Tre settimane che hanno ribadito al mondo intero che il Tour de France sa rigenerarsi di anno in anno senza che nessuno possa far nulla per tenergli le ruote.

Una corsa che profuma di storia, lanciata però già nel futuro grazie a un disegno pressoché perfetto, come dimostrano i numeri di ascolto di un evento che ha ormai varcato abbondantemente i confini dello sport.

L’omaggio all’Italia nel 2024

Un evento che tra un anno omaggerà l’Italia, essendo proprio il Bel Paese quello deputato a ospitare le prime tre tappe: la Grand Depart toccherà Firenze, sede di presentazione e partenza della prima frazione (chiaro omaggio a Gino Bartali), con arrivo a Rimini. Poi la Cesenatico-Bologna, tappa dedicata alle gesta di Marco Pantani. Infine la Piacenza-Torino, che passerà nelle strade tanto care a Fausto Coppi.

Le pagelle ai protagonisti del Tour

Ma prima di pensare al domani, un salto all’indietro per rivivere quanto detto dalle ultime tre settimane è doveroso. Un pagellone di fine Tour con promossi e bocciati, anche se chiunque è arrivato a Parigi ha di che essere contento per essere “scampato” a una corsa folle e senza freni.

  • JONAS VINGEGAARD 10. Il Re Pescatore ha concesso il bis, e classifica finale alla mano lo ha fatto da dominatore assoluto. Vingegaard è entrato nell’Olimpo dei grandi corridori capaci di “ammazzare” letteralmente la concorrenza: nessuno l’avrebbe detto fino alla vigilia della cronometro che ha sconvolto gli equilibri della corsa, altrimenti equilibratissima. Il danese è partito forte, guadagnando un minuto su Pogacar nel primo vero arrivo sui Pirenei, poi lentamente si è visto rosicchiare secondi fino ad averli appena 10 di vantaggio, ma il Tour l’ha vinto nella crono, essendo andato a velocità doppia rispetto ai rivali (quasi 5 secondi a km dati a Pogacar, almeno 8 agli altri). Così facendo ha ucciso psicologicamente lo sloveno, che il giorno dopo è crollato anche fisicamente pagando quasi 5’. Vingegaard aveva preparato meglio il Tour e l’ha vinto nell’ultima settimana, da campione. Ora però speriamo di vederlo più spesso durante tutta la stagione: quella maglia meriterebbe più corse.
  • TADEJ POGACAR 9. È arrivato a Bilbao con due soli giorni di gare nei due mesi e mezzo precedenti. L’infortunio patito alla Liegi spiega il crollo nell’ultima settimana, perché è lì che si è vista la mancanza di preparazione. Fino a 6 tappe dalla fine, Pogi aveva dato spettacolo: la mini crisi di Laruns non l’aveva colto di sorpresa e quando ha potuto ha cercato in tutti i modi di staccare Vingegaard. La crono però l’ha fatto crollare nella testa, oltre che nelle gambe, e il giorno dopo ha pagato gli sforzi non riuscendo più a reagire. Poi si è preso la penultima tappa, dimostrando di essere un campione. La rivalità con Vingegaard è stimolante: corridori diversi, anche con obiettivi differenti. Pogi però ha solo 25 anni e continuerà a divertirsi e a far divertire.
  • ADAM YATES 8,5. Ha vinto a Bilbao la prima tappa, ha indossato la maglia gialla e ha aiutato Pogacar ricoprendo il ruolo di gregario. Nonostante tutto, ha chiuso comunque sul podio. È una bella soddisfazione per Adam, che ha condiviso un gran Tour assieme al gemello Simon (voto 8) che ha chiuso appena dietro di lui, cioè in quarta posizione. Entrambi hanno dimostrato di poter meritare credito e fiducia, come si conviene a veri capitani.
  • FELIX GALL 8. Se cercate una rivelazione, allora questo baldo austriaco farà al caso vostro. Pochi lo conoscevano, pochi lo accreditavano come possibile outsider, ma lui ha stupito il mondo vincendo una tappa, rischiando di farlo altre due volte e chiudendo in top ten, quasi da intruso ad alta quota. E se si fosse svegliato prima, probabilmente avrebbe strappato anche la maglia a pois a Ciccone.
  • JASPER PHILIPSEN 8. Per più di due terzi di corsa è stato il vero dominatore delle volate. In pratica ha vinto tutti gli arrivi di gruppo, anche se ha volte è sembrato anche un po’ troppo esuberante e poco rispetto dei rivali. La maglia verde l’ha messa in cascina in fretta, poi però nell’ultima settimana ha pasticciato, lui come l’Alpecin Deuceninck che ha sbagliato spesso i calcoli e non ha ripreso la fuga di giornata. La beffa subita sugli Champs Elysees da Meeus è un altro cazzato preso fuori tempo massimo. Però torna a casa con 4 vittorie di tappe (potevano essere 7): non male…
  • WOUT VAN AERT 5,5. Zero tappe vinte, un paio di tentativi di fuga andati male, un po’ di strada aperta a Vingegaard (da gregario in salita ha dimostrato di saper funzionare) prima di salutare tutti e tornare a casa per assistere alla nascita del figlio, ipotesi già ventilata prima del via della corsa (comunque ha salutato il Tour a risultato già acquisito). Van Aert fa più notizia quando non vince piuttosto di quando riesce a farlo: questo Tour gli è rimasto indigesto, e il prossimo anno c’è da credere che avrà voglia di rifarsi con gli interessi.
  • MATHIEU VAN DER POEL 4,5. Non basta aver pilotato a inizio Tour in più di un’occasione Philipsen negli arrivo in volata per meritarsi un barlume di sufficienza. MVDP è arrivato un po’ scarico e non ha trovato mai la condizione, senza riuscire neppure a lottare concretamente per qualche vittoria di tappa (nemmeno in quella che è passata davanti casa del nonno Poulidor, alla quale teneva tanto). Bocciatura senza appello.
  • JULIAN ALAPHILIPPE 4. Dispiace relegarlo dietro la lavagna, ma purtroppo da un anno a questa parte il Moschettiere non riesce proprio ad azzeccarne una. I tentativi di provare a lasciare il segno vincendo almeno una tappa sono stati infruttuosi, e più in generale non è stato mai in grado di battagliare per nulla. Va ritrovato, perché di uno come Alaphilippe il ciclismo avrà sempre bisogno, specie ora che anche Peter Sagan (voto 5, ma non c’erano aspettative al riguardo) ha deciso di chiudere per davvero con il pedale da strada.
  • CARAPAZ E MAS SENZA VOTO. Il loro Tour non è neppure arrivato in Francia. Carapaz più di Mas avrebbe potuto dare filo da torcere a chi ambiva al podio, ma entrambi sono caduti ed entrambi si sono ritirati immediatamente. Peccato, perché ne avrebbe beneficiato lo spettacolo (specie in salita).

Le pagelle degl iitaliani

Debita è la premessa: non vinciamo una tappa da 85 frazioni, da quando Nibali nel 2019 si impose nel penultimo arrivo del Tour vinto da Egan Bernal. Sembra passato un secolo, e forse lo è per davvero: in mezzo c’è stato il Covid, Pogacar all’epoca nemmeno si sapeva chi fosse e Vingegaard a malapena si era messo in luce come gregario di Roglic, appena passato alla Jumbo Visma.

Da allora Nibali ha appeso la bici al chiodo e non c’è nessuno in grado di raccogliere l’eredità nei grandi giri. Al Tour poi partivamo con soli 7 uomini, roba che non si vedeva da decenni. Siamo riusciti a lasciare un segno con Giulio Ciccone, ma la luce in fondo al tunnel ancora non si intravede.

  • GIULIO CICCONE 8. Riportare la maglia a pois in Italia dopo 31 anni dall’ultima volta (Chiappucci 1992) non è cosa da poco. Giulio a un certo punto ha pensato anche di fare classifica, essendosi ritrovato al terzo posto dopo le prime tappe pirenaiche, poi ha preferito puntare alla classifica degli scalatori e con perseveranza, attenzione e strategia è arrivato a conquistare l’obiettivo che si era prefissato. Ha gestito bene le forze e ha resistito agli assalti dello scatenato Gall, dimostrando di avere la tempra dell’Abruzzese che quando si intestardisce non lascia la presa finché non ha raggiunto il suo scopo.
  • LUCA MOZZATO 7. Al Tour c’erano fior fuori di velocisti, ma lui si è fatto comunque notare. Diversi i piazzamenti in top ten (incluso un quarto posto) e tanta voglia di imparare dai migliori. Ha un futuro importante davanti e pure margini di miglioramento consistenti: torna a casa con sensazione decisamente positive.
  • MATTEO TRENTIN 6. La sufficienza è stiracchiata, e forse la su lega più al lavoro fatto per Pogacar durante le tre settimane che non per ciò che a livello personale avrebbe potuto provare a riaccogliere. Vero è che non ha mai avuto grossa libertà, non certo quella che potrebbe avere tra Europei e Mondiali: la condizione sembra buona è quello lascia ben sperare per le due corse che possono valere una stagione.
  • DANIEL OSS 6. Ha rischiato anche di vincere, ripreso dal gruppo a una manciata di chilometri dal traguardo di Moulins (purtroppo quel giorno Philipsen aveva fatto i conti bene…). Una bella azione a riprova di un talento che, se lasciato libero di osare, non si fa pregare. Poi tanga legna per i compagni, come da abitudine
  • GIANNI MOSCON 5,5. Ha lavorato più per i compagni che per se stesso, anche se in fondo l’Asta a aveva poco per cui valesse la pena fare classifica. Un paio di fiammate in tappe a lui favorevoli, ma poco più. Deve ancora ritrovarsi, e anche se qualche segnale l’ha mandato la strada rimane impervia.
  • JACOPO GUARNIERI 5. Era l’ultimo uomo di Caleb Ewan per le volate, ma l’australiano prima di uscire di scena non ne aveva azzeccata una. Un po’ come la Lotto Dsnty, che ha corso spesso in modo confusionario, salvata dal solo Campenaerts. Guarnieri è rimasto impantanato nei tanti errori di squadra.
  • ALBERTO BETTIOL 5. A Glasgow potrebbe giocare da prima punta, ma i segnali arrivato dal Tour sono poco incoraggianti. Una volta ha provato a infilarsi nella fuga giusta, ma è rimasto a guardare gli altri darsi battaglia. Nel 2022 rischiò di vincere una tappa, stavolta non c’è andato neppure vicino.

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