Tornano le bandiere in UFC: Dana White, il gran capo della federazione che raccoglie i lottatori della Ultimate Fighting Championsip, lo ha annunciato durante la conferenza stampa a margine dell’UFC Vegas 80, che ha visto salire sul ring alcuni tra i migliori atleti della categoria. E questi, a differenza di quanto accaduto nei mesi scorsi, si sono presentati sul ring con le bandiere dei propri paesi, di fatto aggirando il ban che era stato esteso dopo lo scoppio del conflitto tra Russia e Ucraina.
Un divieto non più tollerabile
White, interpellato al riguardo, ha spiegato il motivo di questa “marcia indietro” della federazione: “Mi trovavo in vacanza in Messico durante la settimana dei festeggiamenti dell’indipendenza dello stato, e mi sono reso conto che questo divieto che avevamo posto lo scorso anno non era più tollerabile. Mi sono detto che dovevano andare a quel paese (il termine usato è stato più colorito, ma rende l’idea, Ndr) tutti quanti, perché era giunta l’ora di riportare le bandiere in UFC”. Semplice, schietto, diretto. Fin troppo colorito, ma conta la sostanza.
Il ripensamento
L’UFC aveva vietato ai propri atleti di mostrare i vessilli delle loro nazioni d’origine per evitare una facile strumentalizzazione politica, tenuto conto delle crescenti tensioni a livello internazionale dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina. Chiaro che adesso, con un nuovo sanguinoso fronte di guerra in Medio Oriente, il rischio è che atleti di quell’area o di quelle limitrofe (si pensi a Iran, Siria e Arabia Saudita) possano in qualche modo sfruttare questa ritrovata vetrina per mandare messaggi alla propria gente.
Ma White ha fatto capire di voler tirare dritto: festeggiare le vittorie con la bandiera del proprio paese è un fatto abbastanza naturale nel mondo dello sport, figurarsi in quello della lotta e delle arti marziali, dove il concetto di “superiorità” è oltremodo ingigantito dalla necessità di mostrare la propria superiorità agli occhi degli avversari. La fierezze delle proprie origini ha spinto tanti atleti a sfilare anche prima dei match con la bandiera avvolta sulle spalle, e il fatto che ne fosse stato vietato l’utilizzo nei mesi scorsi aveva sollevato diversi pareri negativi e critiche. White, vulcanico presidente dell’UFC, ancora una volta ha spiazzato tutti, tra l’altro comunicando di aver rimosso il ban dopo che la cosa è già successa durante UFC Vegas 80.
Una vita come nessun’altra
Che il numero uno della federazione sia un tipo controverso e molto istrionico, beh, non serviva quest’ennesima perla dialettica a dimostrarlo. Dana White è un leader che ama sorprendere e provocare: quando nel 1995, mentre gestiva una palestra a Boston, un paio di malavitosi gli andarono a chiedere il “pizzo”; lui capì che forse era meglio emigrare altrove. A Las Vegas, grazie anche all’aiuto di un ex compagno di scuola (Lorenzo Fertitta), decise di allargare i propri interessi dal campo della semplice cura del corpo con la pratica sportiva al varo di una vera e propria nuova disciplina, che contemplava la lotta e le arti marziali alla base di tutto.
Forse memore dei suoi trascorsi da ragazzo non propriamente tranquillo (il papà alcolista e la mamma che faceva solo lavori saltuari in qualche modo debbono averlo influenzato), White intuì la necessità di creare un nuovo modo di intendere lo sport e di guadagnarci sopra. E non volle fermarsi di fronte a niente, nemmeno quando la neonata MMA, sotto l’egida di UFC, perdeva 40 milioni di dollari ed era a un passo dal collasso: decise di tentare un ultimo azzardo, lui che è appassionato di giochi d’azzardo (li ha definiti “l’unica cosa che mi rilassa”), lanciando un reality su Spike TV e ottenendo un successo senza precedenti.
Quando i Fertitta stavano per convincerlo a vendere, ecco che in poche settimane il valore di UFC salì alle stelle, creando un nuovo filone destinato a riscrivere la storia del mondo dei combattimenti. Da allora (sono passati quasi 20 anni), Dana White è una delle personalità più influenti nel mondo dello showbiz applicato allo sport. Con un patrimonio personale stimato in oltre 600 milioni di dollari e una federazione che miete e batte in ogni angolo del mondo, capace di superare brillantemente anche la pandemia (quando lui fu il primo a comprendere la necessità di dar vita agli show in vere e proprie “bolle”, e ci riuscì a partire già dal 9 maggio 2020).
Personaggio divisivo, odiato dai democratici (è stato fedele sostenitore di Trump, e lo è ancora) ma amato dalle folle e dagli appassionati. Uno che s’è fatto da solo, e ha conosciuto vette difficili solo da immaginare. Un visionario, ma con la lingua lunga. Di sicuro, mai banale e scontato.