“Noi andavamo a letto con il pigiama della Sampdoria, ma per davvero. Era una seconda pelle”. Quando Luca Vialli, morto oggi a seguito delle complicazioni del tumore al pancreas che lo aveva colpito nel 2018, era bomber e bandiera dei blucerchiati amava raccontare questa storia che non era una leggenda, perchè nella banda di Boskov con papà Mantovani funzionava così. E oggi chissà che i tecnico slavo e il presidente non siano i primi – assieme a Mihajlovic – ad accogliere Vialli dovunque sia.
- Vialli per Brera era come Stradivari
- Vialli e Mancini gemelli del gol e fratelli nella vita
- Vialli tra vittorie storiche e sconfitte cocenti
- Vialli viveva a Londra, ecco perché
- Vialli e la famiglia, un rapporto strettissimo
- Vialli e il no a Milan e Napoli
- Vialli rinacque con la cura Lippi
- Vialli e la malattia, una battaglia affrontata con coraggio
Vialli per Brera era come Stradivari
Il soprannome glielo diede Gianni Brera, che nel suo tempo era celebre per ribattezzare i campioni (dall’abatino Rivera a Rombo di Tuono Riva). Lo chiamò “StradiVialli”, in onore di Antonio Stradivari, il liutaio costruttore dei violini più bella storia dell’umanità ma lui si sentiva soprattutto Pisolo. Sì, perché all’interno dello spogliatoio doriano c’era un club, quello dei Sette Nani in cui Mancini è Cucciolo e Vialli è Pisolo per la sua proverbiale pigrizia.
Vialli e Mancini gemelli del gol e fratelli nella vita
Un rapporto nato a Genova tra i due e rimasto solido per sempre. Rimarranno insieme alla Samp otto anni, poi il bomber andrà alla Juventus e, dopo altri sette anni, il Mancio sceglierà la Lazio. Le strade dei due sono rimaste separate fino al 2019, quando Mancini – fresco di nomina da commissario tecnico – sceglie Vialli nel ruolo di capo delegazione dell’Italia, tornando a lavorare fianco a fianco con un fratello. E l’immagine dei due gemelli del gol che si abbracciano in lacrime a Wembley dopo l’Europeo vinto nel 2021 resta l’ultimo sorriso per Luca.
Vialli tra vittorie storiche e sconfitte cocenti
Vialli è stato l’ultimo capitano della Juventus ad alzare in cielo una Champions, nel ’96 a Roma dopo la finale con l’Ajax. Ma non fu protagonista sui rigori decisivi. Fu lui stesso a spiegare perché: “Al termine dei 120 minuti, Lippi ci ha guardato negli occhi per capire chi se la sentisse di calciare i rigori. Io sono stato il primo a cui si rivolse: ‘Luca, vuoi tirarlo?‘. Risposi: ‘Marcello, se trovi cinque pazzi che vogliono andare sul dischetto, li guardo volentieri da fuori. Altrimenti, sono a disposizione’.
“Se avessi sbagliato quel rigore, alla luce della finale persa con la Sampdoria, avrei avuto un forte contraccolpo psicologico. Per fortuna, i cinque rigoristi designati furono (Gianluca) Pessotto, (Ciro) Ferrara, (Vladimir) Jugovic, (Michele) Padovano e (Alessandro) Del Piero, il quale non dovette neppure calciarlo perché avevamo già vinto. Ricordo che ero aggrappato a Ciro Ferrara, e non ce la facevo a guardare“. La delusione forte invece con la Samp: la Champions persa in finale nel ’92 ai supplementari col Barcellona.
Vialli viveva a Londra, ecco perché
Aveva scelto di vivere a Londra Vialli da parecchi anni: “Sì. Adoro il senso di libertà che si respira, e la civiltà. Qui faccio la coda senza che nessuno mi passi avanti, ho politici che si dimettono, un sistema scolastico eccezionale per le mie due figlie, e tanto sport da fare e vedere”.
Vialli e la famiglia, un rapporto strettissimo
La villa dei Vialli, a Cremona, tutti la chiamano ancora Castello. Perché sono ricchi, i Vialli. Vecchia storia: «Quello è il figlio di un miliardario», dicevano. Allora, Gianluca si infastidiva e la madre Maria Teresa smentiva: «Borghesi, ecco che cosa siamo. Diciamo che stiamo bene, non ci lamentiamo di certo. Mio marito lavora ed ha 5 figli grandi: come potrebbe essere ricco? Gianluca ha un modo di fare elegante che non dipende dai soldi, ma dalla tradizione di una famiglia della quale fanno parte ingegneri, professionisti ed anche un rettore universitario». Da ragazzo Vialli aveva abbandonato gli studi al penultimo anno da geometra, a Cremona. Si presentò all’esame nel 1993; 42-60 il voto. Per la mamma che ci teneva,
Vialli e il no a Milan e Napoli
In tanti lo avrebbero voluto in squadra: Ferlaino voleva regalarlo a Maradona, ma quando uscì la foto del presidente del Napoli in barca con Mantovani a Capri saltò tutto per paura delle conseguenze della notizia. Fu Vialli invece a dire no al Milan: «Ringrazio il presidente Berlusconi, ma voglio restare a Genova. A Milano non c’è il mare».
E non c’è neanche a Torino dove all’inizio, con la maglia della Juve, soffre un po’. Il mare di Nervi è tutta un’altra cosa rispetto al Po e la Juventus è molto lontana dal Pianeta Samp, dove Boskov lasciava vivere tranquillamente i giocatori. «Nei primi due anni di Juventus ero “Brancaleone alle crociate” e non capivo. Ma come? Investi miliardi e poi mi fai allenare su un campo di patate, con poca assistenza e mi lasci da solo a preoccuparmi di tutto. Io ho bisogno di un profeta: se penso troppo mi faccio male, sono ossessivo, troppo perfezionista. E mi disperdo, mi deprimo. Io ho bisogno di pensare a giocare e basta. Ora lo faccio, ho attorno uno staff competente che decide per me. Il mio profeta è la Juventus e Lippi è l’uomo chiave».
Vialli rinacque con la cura Lippi
Lippi e la cura Ventrone lo rimettono in sesto. A 31 anni vola prima sullo scudetto e poi sulla tanto agognata Coppa dei Campioni. «Fare il capitano della Juventus è una grandissima soddisfazione, ma anche una grande responsabilità; ci sono molti oneri, ma anche molti onori. Credo che questo ruolo dia una carica psicologica notevole, perché ti senti in dovere di dare tutto quello che hai dentro; la fascia di capitano ti impone di cercare di non essere criticabile, negli atteggiamenti e nel rendimento. Poi, siccome nessuno è perfetto, è difficile poter svolgere questo ruolo nel migliore dei modi, però l’importante è cercare sempre di farcela».
Vialli e la malattia, una battaglia affrontata con coraggio
Quando rivelò al mondo la sua lotta al tumore, in un’intervista al corriere della Sera, Vialli commosse tutti. Ma mai in questi anni di battaglia ha chinato il capo, ha sempre mandato messaggi di speranza, anche quando ha confessato le sue umane paure. L’ultimo comunicato era sospetto: mi fermo per curarmi meglio. Che motivo c’era di dirlo a tutti? Era un messaggio in codice. Sapeva di essere all’ultima curva. E l’ha affrontata ancora una voltà con coraggio e dignità.