Al Corriere dello Sport, il coach dell’Olimpia Milano Ettore Messina ha spiegato il suo punto di vista sul numero di italiani minimo da utilizzare in Serie A: “Gli azzurri bravi giocherebbero lo stesso diminuendo la quota minima? Ovviamente sì. I club chiedono un mercato “libero” perché, essendoci una regola protettiva, gli stipendi degli italiani diventano più alti. L’italiano valido è stato ritenuto una risorsa scarsa e di conseguenza ha aumentato il suo valore di mercato. A fronte di uno straniero di qualsiasi provenienza”.
Messina ha affrontato questa questione già in passato: “In Russia ho già vissuto in prima persona l’obbligo non solo di avere un certo numero di giocatori locali, ma pure di un minutaggio obbligatorio. Nei primi anni al CSKA Mosca c’era la regola che due russi dovevano sempre stare in campo. E questo, anziché andare a beneficio dei giovani, ha finito per favorite i veterani, perché tutti volevano avere degli atleti esperti per vincere. Insomma, tornando al nostro Paese, se uno che si chiama Spagnolo, Mannion, Datome o Belinelli, se è meglio degli altri giocherà. Certo, tutti sanno perfettamente che gli stranieri che si integrano e rimangono più anni nello stesso club, faccio l’esempio di Danilovic alla Virtus o di Rodriguez a Milano, sono quelli ai quali il pubblico si affezione di più. Ma Poeta (36 anni, ndr) continua a giocare molto bene non a causa di questa regola, piuttosto perché rimane un buon playmaker”.
Messina chiude ricollegando il tema italiani in rosa alla riforma campionati: “Il numero dei nostri ragazzi validi o competitivi in A sarebbe meno un problema se avessimo 14 squadre invece che 16. E così via… Se ci fosse un campionato dove effettivamente i 1822enni potessero andare in campo lì, apposta, allora tutto questo discorso non avrebbe ragione di esistere. La questione non è solo sul numero di italiani che devono giocare in A, è un tema legato alla riorganizzazione dei campionati professionistici e non”.