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Boxe, il re dei supermedi è sempre Canelo Alvarez: perché il regno è destinato a durare ancora

A Las Vegas il fuoriclasse messicano, battendo ai punti il più giovane connazionale Munguia, ha ribadito di non essere ancora pronto a scendere dal trono

Pubblicato:

Roberto Barbacci

Roberto Barbacci

Giornalista

Giornalista (pubblicista) sportivo a tutto campo, è il tuttologo di Virgilio Sport. Provate a chiedergli di boxe, di scherma, di volley o di curling: ve ne farà innamorare

Di Saul “Canelo” Alvarez ce n’è uno solo, e forse è proprio questo il problema. Perché avercene di personaggi così: il messicano a 33 anni riesce ancora a dare la paga a tanti, e quel che è successo sabato scorso sul ring di Las Vegas nella sfida contro l’erede designato Jamie Munguia (di 6 anni più giovane) ha ricordato a tutti quanto sia sbagliato pensare che l’epopea del campione indiscusso dei supermedi sia destinata a concludersi a stretto giro di posta. Perché Canelo ha ancora tanto da dire e da dare, al netto di un’esuberanza che lo ha portato spesso e volentieri fuori dal seminato, da dove però è sempre riuscito a tornare vincitore.

Munguia battuto e mazziato: il re è sempre Canelo

Munguia è arrivato al match imbattuto, ma ne è uscito con la consapevolezza di non essere ancora all’altezza del dominatore della scena dei supermedi. Con tutte le corone ben allacciate alla vita (WBA, WBC, WBO e IBF, più il titolo The Ring) e la sensazione che la strada da percorrere sia ancora lunga, nonostante 65 match da professionista non siano affatto pochi (tanto per dire: Usyk, più vecchio di tre anni, ne ha disputati appena 21 in carriera).

Il ruolino racconta di 61 vittorie (39 prima del limite), due no contest e due sconfitte, l’ultima delle quali vecchia ormai due anni contro Dmitrij Bivol (ma in quel caso nella categoria dei mediomassimi), mentre la precedente appartiene all’epoca dei superwelter, quando fu costretto a cedere a Floyd Mayweather jr. (era il 2013).

Munguia alla fine c’è rimasto male: unanime il verdetto dei tre giudici, tale da ribadire una superiorità che nel corso del match è parsa comunque lampante a chi ha assistito all’incontro (c’è stato anche un atterramento nel corso della quarta ripresa), trasmesso da Dazn un po’ in tutti gli angoli del pianeta.

La svolta nell’età della maturità: Crawford sullo sfondo?

Alvarez è più che mai l’uomo del destino della boxe messicana, che ha scelto una data non banale (il 5 maggio, quella della festa nazionale) per mettere sullo stesso ring il presente (che per qualcuno è il passato) e il futuro del movimento della Tricolor.

Il fatto che Munguia abbia incassato la prima sconfitta dopo 43 incontri non ha rappresentato del tutto una sorpresa: dal ko. con Bivol (quando volle tentare di salire nella categoria dei mediomassimi, alzando troppo l’asticella) ad oggi, Canelo ha imparato tante lezioni, preparandosi in modo più meticoloso e sezionando i suoi impegni sul quadrato.

Meno foga, più testa e più efficacia, la stessa con la quale ha messo alla berlina uno sfidante che pure si presentava con tutte le carte in regola per rovinargli la festa, forte anche di uno stile improntato costantemente all’attacco. Ed è in difesa che Alvarez ha costruito l’ennesimo capolavoro di una carriera che continua a mostrare lampi di classe assoluta, tanto che adesso ci si interroga su quanto potrà durare ancora il suo regno, pensando a un clamoroso match con Terence Crawford da combattere entro fine anno.

Un nuovo modo di combattere e le emozioni che sa suscitare

La combinazione schivata-gancio-montante con la quale Canelo ha mandato al tappeto Munguia nella quarta ripresa (dopo che quest’ultimo che era partito meglio nelle prime tre riprese) ha ricordato al mondo intero che contro certi calibri è bene non spendere troppe parole, e tantomeno pronostici dall’esito imprevedibile.

Alvarez negli ultimi tempi ha saputo adattarsi a un nuovo modo di boxare: più attento ai dettagli, meno irruente, sempre pronto a mandare a referto i colpi giusti al momento giusto. Così facendo, in tanti sostengono con convinzione che possa essersi allungato la carriera. Del resto di campioni over 30 è piena la scena: Canelo rimane un’icona del pugilato messicano e non solo, capace di suscitare emozioni forti e anche di offrire alla boxe palcoscenici televisivi altrimenti inavvicinabili.

Una vita sempre fuori dagli schemi: cosa c’è dietro Canelo

È però Saul, quello che c’è ancora prima di Canelo (soprannome che deve al colore rossiccio dei capelli, che ricorda uno stecco di cannella: tutta “colpa” di un lontano parente arrivato dall’Irlanda al tempo della Guerra tra Messico e USA della metà dell’800), ad aver conquistato il mondo.

Ultimo di 8 fratelli, quasi tutti dediti al pugilato (e uno di essi una volta venne rapito poco prima di un suo match: dovette trattare tre giorni per liberarlo, senza far sapere nulla ai giornalisti), nato e cresciuto a Guadalajara, diventato grande appunto grazie alla boxe. Che lo ha reso celebre, ma pure ricco: non mancano nella sua vita di tutti i giorni ville di lusso, uno yacht da 60 milioni, un ranch con soli cavalli bianchi, un campo da gol personale e una marea di macchine in garage, tutte modelli superlusso.

Dazn l’ha ricoperto d’oro negli ultimi anni, lui però non s’è cullato sugli allori, continuando a vincere e a rendere i suoi connazionali orgogliosi del percorso fatto. Anche se molti tifavano per Munguia, salvo poi dover ammettere che di Canelo ce n’è uno solo, e se non arriva qualche scienziato a clonarlo sarà dura averne un altro.

Boxe, il re dei supermedi è sempre Canelo Alvarez: perché il regno è destinato a durare ancora Fonte: Imago

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