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Massimo Tarantino eroe di Assago: dalla serie A agli scaffali del Carrefour, la difesa è il suo mestiere

Chi è Massimo Tarantino, ex difensore di serie A che ieri ad Assago ha disarmato l’uomo che aveva cominciato a colpire alla cieca all’interno di un Carrefour. Il gesto dell’ex Inter e Napoli ha contribuito a mettere in salvo la vita di altre persone. Lui dice di non voler essere chiamato eroe ma il coraggio del gesto è sicuramente quello di un campione.

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Roberto Barbacci

Roberto Barbacci

Giornalista

Giornalista (pubblicista) sportivo a tutto campo, è il tuttologo di Virgilio Sport. Provate a chiedergli di boxe, di scherma, di volley o di curling: ve ne farà innamorare

Pablo Marì e Massimo Tarantino: nell’aggressione mortale al centro commerciale Carrefour di Assago avvenuta giovedì 27 ottobre e che ha causato un morto e 5 feriti accoltellati, entra a piedi pari (suo malgrado) anche il mondo del calcio. Marì – calciatore del Monza, arrivato in estate in prestito dall’Arsenal – è uno dei feriti.

Tarantino – ex calciatore che ha vestito anche le maglie di Napoli e nell’Inter, oggi dirigente sportivo – è il protagonista del gesto di coraggio grazie al quale ha fermato e disarmato l’aggressore.

Sono stati attimi di paura vera al centro commerciale di Assago quando un 46enne, armato di un coltello recuperato tra gli scaffali e già sottoposto a Tso, ha iniziato a colpire all’impazzata ferendo 5 persone e uccidendone una, un commesso di 47 anni di origini boliviane.

Tra i feriti il calciatore del Monza, Pablo Marì, accoltellato alla schiena e immediatamente ricoverato al Niguarda di Milano: non è in pericolo di vita, oggi è stato sottoposto a intervento chirurgico e lo attende una convalescenza di due mesi. “Ho avuto suerte”, le sue prime parole.

Massimo Tarantino: “Non chiamatemi eroe”

Massimo Tarantino, invece, è l’eroe di giornata: è stato lui a disarmare l’assalitore e mettere in sicurezza gli altri clienti che, nel tardo pomeriggio di ieri, erano presenti nel centro commerciale. “Urlava, urlava e basta – le prime parole di Tarantino – “ma io non ho fatto niente, non chiamatemi eroe”.

Invece no: sono anche i tempi che viviamo a dettare il lessico: un gesto simile, fuori dal comune, diventa atto eroico quando travalica il senso del dovere e ne sposta l’asticella un po’ più in là. Non tutti l’avrebbero fatto, lui sì: solo applausi per un ex calciatore di serie A che alle emozioni forti, per altro, è sicuramente avvezzo. Con gli applausi – e coi fischi – Tarantino ha convissuto per buona parte della sua carriera da calciatore professionista. Stavolta, è standing ovation: forse una delle più importanti della sua vita.

Il Tarantino calciatore: figlio d’arte nella scia dei campioni

Una sensazione che ha provato certamente anche durante la lunga carriera da calciatore, cominciata nelle giovanili della Cosmos Palermo. O forse sarebbe meglio dire prima ancora di venire al mondo: papà Bartolomeo è stato un terzino vecchia maniera tra gli anni ’50 e gli anni ’60, protagonista nei campi polverosi della Sicilia prima di essere acquistato dalla Roma (ma senza mai esordire in prima squadra) e poi dal Venezia.

E anche i suoi fratelli Giovanni e Giacomo sono diventati calciatori, pur senza arrivare a eguagliare le gesta paterne e del fratello più piccolo. Il punto di svolta per Massimo è arrivato quando aveva appena 16 anni, cioè nel momento in cui è arrivata la chiamata del Catania: laterale mancino, ma in grado anche di giocare al centro della difesa, Tarantino s’è fatto ben presto largo in mezzo a uno stuolo di ragazzini, promosso titolare in prima squadra in Serie C1 nella stagione 1988-89.

Tarantino e il calcio che conta: il Napoli di Maradona, poi l’Inter

Ma è nell’estate successiva che l’orizzonte cambia colore: il Napoli decide di portarlo all’ombra del Vesuvio e Tarantino, che ha solo 18 anni, si ritrova a condividere lo stesso campo d’allenamento con Maradona, Careca e compagnia cantante. Un paio di prestiti in B al Monza e al Barletta gli servono per capire meglio come funziona il calcio dei grandi e nel 1991 il Napoli lo riporta all’ovile: è la stagione della ripartenza dopo la fine dell’era Maradona, ma saranno 5 le annate in cui il difensore siciliano vestirà la maglia azzurra, arrivando a collezionare 100 presenze totali in Serie A.

Nell’estate del 1996 arriva una chiamata alla quale non si può rinunciare: l’Inter è la squadra per cui Tarantino tifava sin da bambino e quando Roy Hodgson dice di volerlo alla Pinetina i suoi occhi s’illuminano all’istante. Ma la sfortuna decide di mettersi di traverso: Massimo salta per infortunio tutta la stagione e nella seconda viene spedito al Bologna per cercare di ritrovare il ritmo partita.

Solo che in Emilia le cose vanno talmente bene che alla fine la società rossoblù decide di non lasciarlo più scappare: gli fa firmare un contratto di altri 4 anni e ne fa uno dei senatori del gruppo, seppure i problemi fisici finiscono per mettersi spesso di mezzo. Il finale di carriera è più soft: due anni a Como, uno a Trieste e uno a Pavia, l’ultimo, stagione 2005-06.

La seconda vita di Tarantino: dirigente con un occhio ai giovani

Ad attenderlo, appesi gli scarpini al chiodo, c’è una scrivania da dirigente: nel 2007 supera l’esame per diventare direttore sportivo e comincia a collaborare proprio con il Pavia. Ha una predilezione per scovare i giovani talenti: nel 2010 il Bologna lo chiamava a guidare il settore giovanile, nel 2013 anche la Roma farà lo stesso, facendolo entrare nella squadra di Bruno Conti, dove rimane fino al 2017.

Nel 2021 una breve avventura alla Spal lo riporta sulla piazza, terminata con il cambio di proprietà pochi mesi più tardi. Ieri però Massimo nella storia c’è entrato una volta di più, e da una porta privilegiata: non vuol essere definito alla stregua di un eroe, ma viene difficile trovare un aggettivo differente.

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