Dall’11 al 21 agosto si terranno a Monaco gli Europei multidisciplina: dall’atletica all’arrampicata, ci sarà spazio anche per il ciclismo nelle varie declinazioni della mountain bike, BMX, pista e strada.
In quest’ultimo contesto le speranze dell’Italia maschile sembrano abbastanza ridotte per la prova in linea di domenica 14 agosto, nonostante siamo il Paese che negli ultimi quattro anni ha portato a casa la maglia con i colori europei (l’ultimo a vincerla è stato Sonny Colbrelli, ma il trionfatore della Parigi-Roubaix 2021 è fermo per motivi di salute da un po’ di mesi). La nostra punta sarà Alberto Dainese, scelto dal ct Bennati assieme al resto di una formazione giudicata la più adatta ad un percorso, quello di Monaco di Baviera, che potrebbe culminare con un arrivo in volata (salvo sorprese, attacchi da lontano a buon fine, finisseur, fagianate e via dicendo).
- Gli scarsi risultati del ciclismo italiano nelle ultime stagioni
- Manca un vero ricambio generazionale
- L'analisi di Beppe Saronni
- Il ciclismo italiano è morto, secondo i social
Gli scarsi risultati del ciclismo italiano nelle ultime stagioni
C’è una questione però che tormenta nelle ultime stagioni il ciclismo italiano, ovvero il sospetto che sia finito in una spirale negativa in cui non riusciamo più ad esprimere non solo vittorie, ma piazzamenti che ci tengano al passo di altre nazioni (alcune addirittura emergenti) in rapida ascesa. Certo, abbiamo citato Colbrelli, e poi si tira fuori spesso il jolly Filippo Ganna, campione mondiale a cronometro che però non affronterà questa specialità a Monaco, venendo dirottato sulla prova in linea dove rivestirà il ruolo di gregario di lusso (un po’ come nel suo team, Ineos Grenadiers, con il quale ha di recente firmato una estensione del contratto sino al 2027), sempre che le gerarchie in gara non vengano cambiate con il campione olimpico su pista che decida di gettarsi in un attacco da lontano.
Ma colui che viene ritenuto, forse con una certa disinvoltura mediatica, la punta d’attacco del nostro ciclismo, non ha brillato più di tanto in questa stagione, al di là di qualche primo posto in cronometro o prologo di corse come l’Etoile de Bessèges, la Tirreno Adriatico o il Giro del Delfinato. Fallito l’obiettivo inoltre di vincere una tappa e di indossare subito la maglia gialla al Tour De France, dove ha più che altro lavorato per Geraint Thomas e dove il nostro miglior italiano è stato Simone Velasco, fuori dai primi 30 della generale con oltre due ore di ritardo. Nessuna tappa conquistata dai nostri connazionali, con un risultato finale che è il peggiore dal 2013 (l’anno dopo il trionfo di Vincenzo Nibali).
Parlando di grandi giri, anche il Giro d’Italia è stato a tinte fosche per i nostri colori, perché al di là del quarto posto di Vincenzo Nibali e l’ottavo di Domenico Pozzovivo, due colonne del nostro ciclismo che vanno per i quarant’anni (con il primo alla sua ultima stagione competitiva), l’Italia ha raccolto ben poco.
Manca un vero ricambio generazionale
Preoccupa infatti il ricambio generazionale, che fino ad ora non si realizzato completamente. Qualche sparuto exploit, ma nulla di clamoroso (al Giro il giovane Lorenzo Fortunato, primo dopo i mostri sacri Nibali e Pozzovivo, si è piazzato 15esimo, a più di mezz’ora dalla vetta…), e neppure al Giro d’Italia Under 23 le nuove leve italiane hanno brillato più di tanto: il migliore è stato Davide Piganzoli, decimo con una decina di minuti di ritardo dal primo posto. Se poi dobbiamo celebrare come acqua nel deserto i successi di Lorenzo Rota al Sazka Tour o il secondo posto di Luca Mozzato alla Tro-Bro Léon, con tutto il rispetto, non siamo proprio messi benissimo.
Stiamo vivendo insomma una fase di declino, come dimostrano anche i freddi numeri. Dai 113 successi da noi raccolti nelle varie corse nel 2015, attuale record dell’ultimo decennio, siamo costantemente scesi sino ai 58 trionfi del 2021. Quasi un dimezzamento (escludiamo i 38 del 2020, anno condizionato dalla pandemia). In questo 2022 siamo a quota 43, quindi la tendenza rimane quella. E non abbiamo approfondito il discorso sui risultati delle classiche (spoiler: al di là del citato Colbrelli, stiamo andando male anche lì, anche in termini di meri piazzamenti). Il discorso è molto lungo e articolato, come potete immaginare.
L’analisi di Beppe Saronni
E non basta più dire che non vinciamo perché non abbiamo da alcune stagioni una squadra italiana nel WorldTour, il massimo livello ciclistico professionale. Tempo fa alla Gazzetta dello Sport Beppe Saronni, che da ciclista vestì la maglia iridata, vinse due Giri, classiche come la Milano-Sanremo o il Lombardia, e da dirigente alla UAE Team Emirates lanciò Tadej Pogačar, sentenziò: “Facciamo finta di niente da troppo tempo, e ci nascondiamo dietro alla Roubaix di Colbrelli. Il ciclismo italiano lo vedo malissimo. Guardi le corse e ti chiedi: dove sono gli italiani? Non siamo più protagonisti e soprattutto non ci sono italiani che corrono. Non ci sono più le strutture giovanili di base – ha quindi proseguito Saronni -, abituate ad avere un mare di ragazzini che, prima di correre, giocavano. Ogni paese aveva la propria società e le proprie corse. C’era una base molto larga: non tutti diventavano campioni, però uscivano dei buoni corridori. Invece adesso non solo non ci sono i campioni, ma nemmeno il secondo, il terzo e il quarto corridore. Non ci sono più i numeri. Non c’è più niente alla base, e sarà sempre peggio. […] La prima cosa da fare? Un’Academy nazionale per raggruppare i migliori giovani, farli correre, crescere e studiare: non dobbiamo perdere i pochi che ci sono”.
Il ciclismo italiano è morto, secondo i social
Il web da tempo ha capito l’antifona, captando la mala parata del nostro movimento. Ed è da lì che è nato un acronimo, ICIEM, ovvero Il Ciclismo Italiano È Morto, lanciato inizialmente con fini satirici e poi diventato un triste e puntuale presagio di quello che sarebbe successo (almeno per ora). Una provocazione nata dal basso nei gruppi di ciclismo di Facebook e che piano piano si sta facendo strada, citato in maniera indiretta di recente anche dai commentatori e telecronisti di Eurosport e di Rai Sport.
Andando a vedere un po’ di commenti dai social, partendo da Twitter, Luca Saugo scrive: “Quando un paio di mesi fa avevo fatto i soliti discorsi sulla crisi del ciclismo italiano, qualcuno mi faceva notare che l’Italia era 4a nel ranking UCI (come se fosse un vanto). Mo’ siamo scesi addirittura all’8° posto. Ma mi raccomando, continuate a fare i tuttapposter”. Rocco Bonechi, su Facebook, sostiene: “Fino a qualche giorno fa, mentre qui ci lamentavamo da anni, sui media andava tutto bene e si lodava il ciclismo italiano attuale come se fosse quello di sempre. La presa di coscienza generale che esiste il problema, non ce lo risolve certo, ma almeno forse farà cercare di trovare qualche soluzione. Speriamo”. Il tenore dei commenti è improntato all’amarezza, con la speranza la tendenza possa invertirsi. Ma se non si agisce alla base, con i risultati che quindi necessiteranno di tempo per vedere la luce, non si può certo credere che un improvviso salvatore della patria (ciclistica) possa risollevare da solo il movimento.