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Ciclismo, Filippo Ganna 6 nella Storia del Mondiale: sembrava un giorno maledetto...

Il ciclista ha rinunciato alla prova elite in linea per preservarsi in vista della gara dell’inseguimento a squadre. Poi ha deciso anche di tentare l'individuale: col senno di poi, meno male che il destino ha messo lo zampino

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Auden Bavaro

Auden Bavaro

Giornalista

Lo sporco lavoro del coordinamento: qualcuno lo deve pur fare. Eppure, quando ha modo di pigiare le dita sulla tastiera, restituisce storie e racconti di sport che valgono il biglietto

Il sesto oro mondiale nella specialità dell’inseguimento lo consacra definitivamente a monumento del ciclismo su pista: Filippo Ganna fa centro anche a Glasgow dopo una prestazione in rimonta, e scrive un epilogo che ha fatto sobbalzare.

Un finale che è un capolavoro: ruota dopo ruota, pedalata su pedalata, l’azzurro è riuscito a recuperare un ritardo rimasto pressoché continuativo e a mettersi davanti al britannico Bigham per 54 millesimi. Sei nella storia, Filippo, anzi: 6 nella Storia di un ciclismo che ha necessariamente bisogno di tutelare, valorizzare e rendere merito ai suoi grandi campioni. A quelli che non tradiscono mai i valori dello sport e la ricerca della prestazione.

Ultimo giro di quelli che non sai come è successo: sono quelle situazioni che lo sport ti mette lì ma le devi metabolizzare piano.

Soddisfatto, orgoglioso, emozionato

Perché a caldo non ci capisci nulla: un secondo recuperato in un solo giro. Quello decisivo: Ganna chiude in 4’01”976. Parla che è un piacere sentirlo, Filippo, appena dopo l’oro:

Soddisfatto, orgoglioso: non volevo fare l’inseguimento individuale per concentrarmi sulla cronometro su strada, poi ho cambiato idea perché mi sono detto che ero già in ballo e tanto valeva ballare. So che le emozioni di stasera sono state condivise da tanti: è stata una bellissima lotta.

Il paradosso è che – a vederla qualche settimana fa – sembrava, il 6 agosto, giorno destinato alla maledizione. All’imprecazione. Alla rabbia.

Il Mondiale senza Filippo

Ti giochi un mondiale di ciclismo, ma senza la punta di diamante del movimento nazionale. È certamente un paradosso, ma forse lo è ancor di più la scelta della federazione internazionale di ammucchiare tutte le discipline in una sorta di “festival di dieci giorni”, giusto per far vedere quanto è bello l’universo del ciclismo con le sue tante sfumature.

Si, ma ai corridori nessuno pensa: passi lo spettacolo, ma se metti a stretto giro di posta le rassegne iridate di tutte le discipline, inevitabilmente qualche torto finisci per farlo. Filippo Ganna è la prima “vittima” di questo sistema.

Ganna ha saltato la prova in linea

Il ciclista della Ineos Granadiers rinuncia alla prova elite in linea di domenica 6 agosto, per preservare le forze in vista della gara dell’inseguimento a squadre in pista (ieri, sabato 5 agosto), dove col il quartetto puntava a una medaglia d’oro e alla qualificazione diretta per Parigi 2024. Alla fine è arrivato l’argento: danesi più forti.

Avrebbe forse fatto un lunghissimo applauso a un altro monumento del ciclismo, Mathieu Van der Poel, che a Glasgow ha scritto uno dei paragrafi più intensi delle recenti pagine di questo sport. O forse sarebbe cambiato qualcosa: non lo sapremo mai. Ma a conti fatti è stato bellissimo così.

Non solo: la defezione della prova su strada è stata dettata anche dalla volontà di puntare sulla cronometro elite, dove l’obiettivo dichiarato è riconquistare la maglia iridata già vinta nel 2020 a Imola e l’anno successivo nelle Fiandre (la gara è in programma venerdì 11).

Un calendario “obbligato” che ha fatto storcere il naso al commissario tecnico Daniele Bennati, che di Ganna non si sarebbe voluto privare per la gara in linea del programma su strada.

Disappunto evidente: non c’è spazio

Il disappunto era stato evidente, anche perché Ganna ha mostrato al Giro di Vallonia di essere davvero in grande condizione.

La corsa a tappe belga è stata la prima vinta in carriera dall’atleta di Verbania: dopo il successo nella breve crono del prologo, Filippo si è ripetuto nella quarta tappa (sempre a cronometro) e poi ha mantenuto la maglia di leader nella frazione conclusiva, vinta da Andrea Bagioli (una delle punte della nazionale a Glasgow).

La prima volta in una corsa a tappe

A 27 anni per Ganna s’è trattato del primo successo in una corsa a tappe, a riprova di una maturazione che qualcuno vorrebbe addirittura ampliata ad altre corse un po’ più toste (c’è chi sogna di vederlo lottare un giorno per la vittoria finale in un grande giro: forse è troppo, ma nelle corse di una settimana c’è materiale per pensare in grande).

Bennati sapeva bene che un Ganna così in forma avrebbe fatto comodo alla nazionale, specie pensando al percorso abbastanza mosso della gara di Glasgow, che strizzava l’occhio a gente col pedigree per vincere una classica.

E l’Italia, a secco di maglie iridate nella prova su strada da 15 anni, avrebbe avuto un disperato bisogno di un capitano tanto rilevante.

Qualche segnale in un’epoca sbagliata

La maglia a pois conquistata da Ciccone al Tour ha alleviato il ciclismo italiano dai dolori delle ultime stagioni (in Francia non vinciamo una tappa da 85 frazioni). Un bel segnale, ma ancora troppo poco per pensare di essere usciti da una crisi generazionale che continua ad attanagliare quella che, fino a un decennio fa, era considerata (giustamente) la culla del ciclismo internazionale.

Fatichiamo a sfornare talenti in grado di reggere il confronto con i migliori e non aiuta il fatto di non avere una squadra World Tour italiana tra le 18 presenti nel circuito. Per questo non poter disporre al mondiale di Ganna, indiscutibilmente il corridore più completo, iconico e competitivo di questa epoca poco fortunata del pedale tricolore, era sembrato un dazio salatissimo da pagare.

Una soluzione che non c’era

Bennati ha provato a trovare una soluzione, ma una soluzione semplicemente non s’è trovata, dando un’occhiata al calendario ingolfato che l’UCI ha varato per questa edizione dei “super mondiali”.

L’Italia ha provato ad andare a caccia di quella maglia iridata puntando tutto sull’esperienza di Matteo Trentin e Alberto Bettiol, che su un circuito come quello scozzese qualcosa di buono avrebbero potuto fare. Ed è andata proprio così: il gran cuore di Bettiol ci ha tenuto aggrappati a una medaglia fino ai -20 km dall’arrivo.

Com’è andata lo sappiamo benissimo….

Poi un quartetto che solo a nominarlo fa paura – Van der Poel, Van Aert, Pogacar e Pedersen – è andato a riprenderlo e se l’è lasciato alle spalle. Trentin, invece, ha maledetto la sfortuna: stava andando forte, Matteo, prima di urtare una transenna, cadere rovinosamente e ritirarsi.

A un mondiale si va per vincere, i piazzamenti contano relativamente: è evidente che avrebbe fatto comodo avere un capitano come Ganna, utile soprattutto a mettere pressione agli avversari ma l’auspicio era che almeno il sacrificio potesse valere il prezzo, servire per riportare metalli pesanti nelle due gare che il verbanese avrebbe corso nella rassegna iridata.

Il dubbio di come sarebbe potuta andare nella prova su strada, beh, quello nessuno potrà mai dissolverlo. Ma come s’è messa bene anche così, lo possiamo dire benissimo: grazie al cielo, a volte la fine è veramente il migliore degli inizi.

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