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Ciclismo, il lungo addio di Peter Sagan: l'uomo che ha fatto la rivoluzione in sella

Se il ciclismo corre veloce, un po’ del merito è di Peter. Che l’ha stravolto con una filosofia nuova e sconvolgente per l’epoca. Ribelle e vincente: ricetta perfetta per chi vuol cambiare il mondo

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Roberto Barbacci

Roberto Barbacci

Giornalista

Giornalista (pubblicista) sportivo a tutto campo, è il tuttologo di Virgilio Sport. Provate a chiedergli di boxe, di scherma, di volley o di curling: ve ne farà innamorare

L’ultima volta sugli Champs Elysees non si scorda mai. Soprattutto se ti chiami Peter Sagan e quel traguardo lo conosci a menadito, perché per ben 7 volte hai salito gli scalini che portano al podio di verde vestito.

Perché c’è stato un tempo non troppo lontano nel quale la maglia della classifica a punti aveva praticamente un unico e solo padrone: il secondo decennio è stato il palcoscenico di un ciclista rock che ha riscritto le regole e le ha consegnate a un manipolo di adepti che pure, in tempi altrettanto rapidi e indolore, hanno già provveduto a scriverne di nuove.

Perché il ciclismo corre veloce, è un po’ del merito è certamente di Sagan. Che l’ha stravolto mettendo in campo una filosofia nuova e sconvolgente per l’epoca, uscendo dagli schemi ma riuscendo a conquistare e tante vittorie e innumerevoli piazzamenti. Insomma, ribelle e vincente: la ricetta perfetta per chi vuol cambiare il mondo.

Peter Sagan, Sunset Boulevard

Sagan in verde a Parigi è stata un’immagine di routine, e quasi viene da chiedersi perché abbia voluto correre quest’anno, pur sapendo che le ruote dei migliori sarebbero stati lontano dalle sue.

Da quando ha detto basta col ciclismo professionistico, annunciando di voler abbandonare le corse su strada alla fine del 2023 per poi concedersi un ultimo e fugace ballo in mountain bike (il primo amore non si scorda mai: l’obiettivo è partecipare alla gara olimpica 2024), i conti quasi mai sono tornati.

Questo perché la stella di Sagan si è ormai dissolta da un po’, almeno da un paio d’anni a questa parte: la perla mandata a referto al Giro d’Italia 2021 nel tappa dei muri in terra marchigiana, vinta alla sua maniera con un’azione personale e una fuga che ha lasciato il gruppo senza mezzi per replicare, è stata la cartolina d’addio di un campione inimitabile, che proprio sulle strade di Francia ha conosciuto i giorni più belli e al tempo stesso faticosi.

L’amore che Sagan ha dato al ciclismo

Perché il Tour prosciuga le energie e a volte fa pure arrabbiare, come quando lo slovacco venne squalificato per una presunta spallata a un rivale in volata (decisione controversa e che gli costò il record di vittorie consecutive nella classifica a punti).

Ma l’amore che Sagan ha dato al ciclismo ha fatto sì che i francesi lo amassero fino all’ultimo, cioè anche nell’anonimo Tour di commiato, dove alcuni piazzamenti a ridosso della top ten hanno certificato la poca competitività di un campione che ha fatto capire di aver già staccato la spina.

Perché ha segnato un’epoca

Sagan ha cambiato il ciclismo, e lo ha fatto all’insegna del genio e della sregolatezza. Lo si era intuito già nella prima vittoria di tappa al Tour, storia vecchia ormai 15 anni, festeggiata facendo il verso del pollo.

Un personaggio fuori dagli schemi, non propriamente innamorato della fatica, ma capace negli anni d’oro (appunto dal 2012 al 2019) di incutere talmente tanto timore tra i rivali che tutti, ma proprio tutto ne battezzavano la ruota ad ogni volata.

Non sempre però la mossa pagava: tre mondiali vinti di fila, praticamente correndo da solo (il solo fidato fratello Jurai poteva dargli una “mano” a inizio corsa), stanno lì a dimostrare che quando era in giornata non ce n’era per nessuno.

Ed è incredibile pensare che un fuoriclasse così abbia avuto di fatto una sola corsa indigesta in vita sua, quella Milano-Sanremo che aveva nelle corde, ma che per un motivo o per un altro gli è sempre sfuggita di mano (due secondi posti gridano vendetta).

L’invidia perché vinceva

La Francia della bicicletta, quella che ogni estate si veste di giallo, lo ha ammirato con invidia e un po’ di fastidio, perché Sagan con le sue vittorie toglieva visibilità alla corsa. Forse per questo non l’ha celebrato troppo a dovere, accontentandosi di un vederlo transitare in mezzo al gruppo senza particolari omaggi.

Lui al solito non ha fatto un frizzo: ha tirato per la sua strada, ha ribadito che né ha le tasche piene di questo ciclismo già così lontano dal suo e ha ringraziato per la stima e l’affetto ricevuti.

Per il Tour sarà come sempre uno dei tanti, ma Sagan sa bene che non è stato uno dei tanti: è stato Peter, l’istrione, il funambolo che non usciva mai dai primi tre posti, il personaggio di cui il ciclismo aveva bisogno. E di cui avvertirà forte la mancanza una volta che tutto sarà finito. Un rocker prestato alla bicicletta, pronto a riprendere possesso della sua esistenza.

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