Sacrilegio sulle strade della Roubaix. Che domenica prossima conterà qualche metro in più, complice l’installazione di una chicane (si, avete letto bene: proprio una chicane) appena prima dell’ingresso nella foresta di Arenberg, il tratto più suggestivo, complesso e (spesso) decisivo della corsa. Una decisione che ha sconvolto la quiete che solitamente precede l’appuntamento con la seconda classica monumento del Nord, tale però da alimentare polemiche e pure pareri (quasi tutti) contrari alla decisione degli organizzatori.
- L'ASO si difende: "Richiesta arrivata dagli stessi ciclisti"
- Il timore di van der Poel: rischi maggiori, anziché limitati
- Il fronte dei favorevoli: Matteo Jorgenson il più illustre
- "Serve un freno a quelle volate folli", dice Declerq
L’ASO si difende: “Richiesta arrivata dagli stessi ciclisti”
I quali si sono difesi spiegando che la richiesta di inserire la chicane non è arrivata dall’alto (quindi dall’organizzazione), quanto piuttosto dall’Associazione Ciclisti Professionisti. “Per motivi di sicurezza, e su richiesta dell’ACP, abbiamo modificato l’ingresso del tratto in pavé della foresta di Arenberg. I ciclisti affronteranno una chicane prima dell’ingresso nel settore, allo scopo di rallentare la velocità e limitando così il rischio di cadute sull’acciottolato”.
Una comunicazione che ha fatto storcere il naso a molti, a cominciare da Mathieu van der Poel, vincitore della passata edizione della Roubaix nonché grande favorito di quella alle porte, che con un post inserito sui propri canali social s’è limitato a chiedere se tutto questo fosse uno scherzo, o se corrispondesse a verità.
Il timore di van der Poel: rischi maggiori, anziché limitati
Molti ciclisti, così come moltissimi appassionati, hanno avuto da ridire sulla misura “di sicurezza” adottata dall’organizzazione (affidata ai francesi di ASO, gli stessi che organizzano Tour de France e Vuelta).
Il pericolo, a detta dei più, è che se da un lato l’intenzione è quella di evitare che si arrivi a prendere la testa del gruppo in quel tratto di pavé sfidando ogni tipo di rischio (si può davvero arrivare anche oltre i 70 km/h per anticipare i rivali e non rischiare quindi di restare attardati, perdendo secondi preziosi, ma spesso e volentieri a costo di incidenti e cadute), dall’altro ai più è parso evidente che inserire uno sbarramento così netto (di fatto una curva a 90 gradi verso destra e poi un’inversione di 180 gradi a dir poco strettissima) potrebbe rivelarsi ancora
“Tutti i corridori anticiperanno il momento nel quale “lanciare la volata” per prendere la testa del gruppo sulla foresta di Arenberg, però col rischio di andarsi a schiantare contro la barriera”, ha evidenziato più di qualche addetto ai lavori. Sostanzialmente è il pensiero stesso espresso da van der Poel: inserire una chicane in quel tratto non ridurrà i rischi, ma potrebbe addirittura crearne di ulteriori. Tanto che più d’uno s’è detto sicuro che alla fine questo esperimento avrà vita brevissima (un anno e via).
Il fronte dei favorevoli: Matteo Jorgenson il più illustre
Quanto accaduto nelle ultime corse, soprattutto all’Itzulia (la terribile caduta che ha coinvolto tra gli altri Vingegaard, Roglic, Evenepoel e Vine), ripropone drammaticamente il problema della sicurezza. Anche se qualche voce favorevole a sostegno della tesi della chicane è arrivata, vedi quella di Matteo Jorgenson, compagno di squadra di Vingegaard e Van Aert (le ultime due vittime eccellenti di cadute in corsa).
Lo statunitense della Visma, rivelazione di inizio stagione, ha postato un’immagine di un conducente di una moto col volto insanguinato dopo un incidente verificatosi proprio sul pavé della Roubaix nel 2016, domandandosi se quella fosse la strada da seguire. “È questo ciò che vogliono i fan? Vedere motociclistici completamente coperti di sangue dopo essere scivolati a 80 km/h sulle rocce taglienti in una foresta?”, si è domandato Jorgenson, evidentemente preoccupato delle velocità raggiunte dal plotone per prendere il tratto di Arenberg nelle primissime posizioni.
“Serve un freno a quelle volate folli”, dice Declerq
Tim Declerq è andato oltre: “In passato su quel tratto molti ciclisti hanno visto interrotta la propria carriera. Non si può pensare di prenderlo in eterno a 70 km/h, un freno va messo, ma se tutti ci lamentiamo appena uno propone qualcosa non ha molto senso. Vediamo come va quest’anno entrando alla metà della velocità e poi ne riparliamo”.
Amund Grondahl Jansen (Jayco-AIUIa), non proprio un corridore di prima fascia, ha trovato un’altra chiave a favore della chicane: “Non è tanto per i 20 che la prendono davanti, ma per quelli nella pancia del gruppo, che viaggiano fortissimo e non hanno tempo di frenare quando i primi inevitabilmente rallentano a contatto col pavé. E quando vai a toccare i freni è sempre una lotteria”.