Rabbia e sconforto per la scomparsa di Raphael Dwamena, calciatore ghanese che ha perso la vita in campo in Albania, a causa del terzo malore accusato sul terreno di gioco. Infatti, il giocatore non era nuovo a problemi di questo tipo, tanto da essere stato costretto al defibrillatore permanente per non interrompere la carriera agonistica. I media albanesi, però, sostengono che tale apparecchio si è stato rimosso, su richiesta dello stesso Dwamena.
- Come è morto Dwamena, il calciatore ghanese dell'Egnatia
- Perché il calciatore aveva rimosso il defibrillatore permanente
- La lettera aperta del cardiologo di Dwamena
Come è morto Dwamena, il calciatore ghanese dell’Egnatia
Raphael Dwamena, 28enne ghanese, è morto nel corso della sfida tra il suo Egnatia e il Partizani di Tirana, valevole per la 13a giornata del massimo campionato albanese. La tragedia si è consumata sabato 11 novembre, quando il ragazzo ha accusato un malore sul punteggio di 1-1, richiamando l’attenzione del direttore di gara, di tutti i calciatori presenti e dello staff medico delle due squadre.
L’ennesimo attacco cardiaco su un campo di calcio, fatale per l’attaccante della capolista della Serie A albanese, nonché capocannoniere in questa stagione 2023-24. Partite rinviate dalla Federcalcio e mondo del football sotto shock. È stata proprio la Federazione a comunicare il decesso del giocatore, registrato in ospedale dopo disperati tentativi di rianimazione, che stavolta non hanno avuto successo.
Purtroppo, è solo l’ultima di una serie di tragedie su un terreno di gioco. Nel recente passato, oltre alla dipartita del centrocampista del Livorno Piermario Morosini, sono stati registrati nuovi casi in Spagna e persino nella Seconda Categoria nostrana.
Perché il calciatore aveva rimosso il defibrillatore permanente
Stando a quanto riportato dai media albanesi nelle ore successive alla morte di Raphael Dwamena, il talento africano aveva deciso di rimuovere il defibrillatore permanente che era stato installato all’interno del suo corpo nel 2018. Il ghanese, alle prese con evidenti problemi cardiaci, aveva già accusato un malore in Austria, con il Linz, e in Spagna, ai tempi della sua esperienza con la maglia del Real Saragozza.
Dopo i primi sfortunati episodi, Dwamena avrebbe scelto di eliminare l’apparecchio, tornando a giocare “liberamente”. Il motivo? Era arrivato a ritenerlo la vera causa del suo malessere. Di fatto, si tratta di un defibrillatore permanente molto simile a quello applicato a Christian Eriksen, all’indomani del malore accusato in Danimarca-Finlandia ad Euro 2020. Ciò, per esempio, consente all’ex Inter di giocare regolarmente in Premier League con i colori del Manchester United.
La lettera aperta del cardiologo di Dwamena
Una notizia fatale che Antonio Asso, che è stato il suo cardiologo durante la sua permanenza a La Romareda, ha sempre temuto potesse accadere. Asso, medico del Servizio di Cardiologia dell’Ospedale Miguel Servet e dell’Istituto di Aritmia Quirónsalud, entrambi con sede a Saragozza, ha condiviso una lettera aperta per l’Heraldo de Aragón riferendosi alla morte di Dwamena. È stato proprio il medico a consigliare all’attaccante africano di porre fine alla carriera sportiva e, venuto a conoscenza del suo rifiuto di ritirarsi, lo ha costretto all’utilizzo di un defibrillatore per preservargli la vita.
“Siamo riusciti a convincerlo dell’urgente necessità di impiantare un defibrillatore per garantire almeno la sua vita, allo stesso tempo gli abbiamo sconsigliato di praticare sport professionistici”. Il cardiologo è rimasto in contatto con il giocatore anche dopo aver lasciato Saragozza, cercando di dargli consigli che cadevano costantemente nel vuoto. “Era determinato a perseguire la sua carriera professionale sopra ogni altra cosa e ho finito per perdere la speranza di influenzarlo ed abbiamo finito per perdere i contatti”.
Così Asso ha appreso dalla stampa che Dwamena ha deciso di fare a meno del defibrillatore nel 2022: “Un paio di anni fa mi dissero che il defibrillatore gli aveva salvato la vita quando aveva un’aritmia maligna che era stata curata correttamente in modo automatico dal dispositivo. Successivamente avevamo perso i contatti. Un anno fa appresi dalla stampa che aveva chiesto la rimozione del defibrillatore da noi impiantato. Era già tardi, la sua decisione era irrevocabile e riponeva tutta la sua responsabilità su se stesso e sulla volontà del Dio in cui credeva. Da quel momento ho avuto la consapevolezza che un giorno sarebbe accaduta la tragedia accaduta sabato su un campo di calcio in Albania. È morto per una rispettabile decisione personale, ma se il defibrillatore non fosse stato espiantato, Raffaello sarebbe ancora vivo”