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Addio Radice, cuore Toro e Milan che non odiava la Juve

Era malato di Alzheimer da tempo, in carriera è stato un rivoluzionario

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Addio Radice, cuore Toro e Milan che non odiava la Juve Fonte: 123RF

La notizia è diventata pubblica da poco ma già tutto il mondo del calcio è in lutto per la scomparsa di Gigi Radice, morto a 83 anni dopo una vita dedicata al calcio. Sui social già ci sono fiumi di tweet dedicati a lui, da parte di addetti ai lavori, sportivi e addetti ai lavori. Da circa 13 anni combatteva contro l’Alzheimer che nell’ultimo lustro lo aveva divorato: a stento riconosceva i familiari. La sua mente era andata in tilt ma l’amarezza più grande era stata quella di essere stato troppo precocemente dimenticato dal mondo del calcio. Lo rivelò il figlio Ruggero quando 3 anni fa rese pubblica la malattia del padre: “Il mondo del calcio ci aveva lasciato nell’indifferenza totale. Sino al 2010 avremmo gradito le visite, ora papà riconosce a fatica solo i familiari. In fondo era uscito di scena nel ’98… Eravamo abbastanza delusi per il comportamento di chi ci stava intorno. Gli sono rimasti solo alcuni amici intimi, per il resto sono pochi: qualche ex giocatore granata si fa sempre vivo, assieme ad amici di Torino. Purtroppo papà non è più quel che era, anche per questo era dimenticato”. Una vita prima col Milan e poi col Torino: 375 partite di campionato, più della metà vinte e solo 80 perse: 10 stagioni, dal ’75 all’80 (scudetto subito, l’unico dopo la tragedia di Superga, poi secondo posto a un punto dalla Juve) e dall’84 (secondo, dietro al Verona) all’89.

IL CALCIO TOTALE – Fu un rivoluzionario del calcio, Radice. Pressing e fuorigioco li portò lui in Italia (assieme a Vinicio col Napoli). Il suo calcio totale era assimilabile a quello della grande Olanda. Un uomo da campo, tutto d’un pezzo, con gli occhi di ghiaccio. Lo chiamavano il tedesco per i suoi modi burberi ma sapeva come farsi amare e non solo rispettare dai suoi ragazzi. La Brianza era la terra di cui era imbevuta ogni cellula di Gigi Radice: figlio di operai, cresciuto al Villaggio Snia di Cesano Maderno prima di metter su casa a Monza con la sua Nerina, conosciuta all’asilo. Brianza nel sangue, come il suo bomber Paolino “Pupi” Pulici, pure lui da Roncello, 172 reti solo in con la maglia granata: “Fra noi c’era un rapporto da brianzoli – ebbe a dire Pulici in una delle feste organizzate per il Mister – prima delle partite ci davamo una testata, diceva che così quello che pensava mi sarebbe entrato in testa più facilmente. Tante volte con Gigi si discuteva in allenamento, ma poi mi diceva: ‘Fa’ quello che ti pare, basta che poi la butti dentro'”.

I RICORDI – Da giocatore, Radice era una promessa: corretto, combattivo, leale, al Milan vinse scudetto e Coppa dei Campioni, ma un infortunio gli spezzò menisco e carriera. Filippo Galli da Villasanta, grande difensore del Milan di Sacchi, lo incrociò quando era ancora un ragazzino della Primavera: “Radice allenava il Milan e con lui feci il primo ritiro della mia vita con la prima squadra. E mi fece esordire in Germania in un’amichevole. Mi ha trasmesso la meritocrazia… e poi mio papà era tifoso del Toro”. Quel Toro che è stata la sua vita. Eppure non odiava la Juve, nonostante la grande rivalità nei derby. Dei cugini diceva: „”La Juve vince tutto e qualcuno non capisce perché. Vada a prendere un caffé insieme con Scirea o Cabrini e parli loro cinque minuti. Bastano per scoprire che sono uomini veri, cos’hanno dentro. Con questi campioni si vince, con i campioni del mondo, d’Europa, di tutto, che non si stancano di migliorare, che sono fuoriclasse e guadagnano meno di tanti altri loro colleghi inferiori come bravura, però restano dove sono perché vivono bene e trasmettono a chiunque questi valori. E la Juve vince. Capito?“ Radice si era ritirato a 63 anni, dopo avere autografato l’ultima promozione del Monza in B, ai playoff contro il Carpi.

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