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Edoardo Bove tornerà a giocare a calcio? "Lo sapremo tra un anno" secondo il dottor Marzullo ESCLUSIVA

Dal malore in Fiorentina-Inter al defibrillatore sottocutaneo: il centrocampista potrà riprendere la carriera? Cosa ha detto il dottor Marzullo

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Pietro De Conciliis

Pietro De Conciliis

Giornalista

Giornalista pubblicista e speaker radiofonico, per Virgilio Sport si occupa di calcio con uno sguardo attento e competente sui campionati di Serie B e Serie C

Il caso Bove e il malore accusato dal centrocampista della Fiorentina continuano a sollevare interrogativi e a cercare risposte, attraverso precedenti ed esperti della materia. Uno di questi è sicuramente il Dott. Michele Marzullo, Medico dello Sport di lungo corso ed ex consulente del Napoli di Aurelio De Laurentiis, protagonista di una chiacchierata esclusiva con la redazione di Virgilio Sport.

Dalla paura per l’episodio registrato al “Franchi” di Firenze lo scorso primo dicembre, al 17′ di Fiorentina-Inter, all’implementazione del defibrillatore sottocutaneo, necessario per ottenere le dimissioni dall’ospedale Careggi di Firenze. Il caso Bove a 360°, seguendo un riferimento della Medicina dello Sport come il Prof. Michele Marzullo, fondamentale per entrare nel dettaglio di ciò che ha vissuto il centrocampista cresciuto nella Roma e comprendere i reali tempi di recupero del classe 2002, in vista di un eventuale ritorno all’attività agonistica.

Dottore, partiamo dall’inizio. Cos’ha avuto Edoardo Bove e quali possono essere le radici di tale episodio?
“Premesso che sono fermo a quanto riportato dagli organi di stampa, per quanto riguarda i report medici, è chiaro che quando succedono queste cose ci si pongono mille interrogativi, mille domande. Quando succede ad un giovane professionista, ci si chiede se fanno le visite, come fanno le visite, se fanno bene i controlli, eccetera. Io credo che siano fatte bene e in modo corretto. Il problema è un altro: è cambiata la patologia della morte improvvisa. È cambiata perché c’è un avvento delle malattie virali che la fanno da padrone. Il ragazzo sembra aver avuto una miocardite da Covid qualche anno fa (nel 2020, quando non esistevano ancora i vaccini), quindi un’infiammazione del miocardio di natura virale. Non è il solo Covid a dare questa infiammazione di natura virale, ma anche una semplice influenza, che può dare qualche strascico o problematica di questo tipo. Sulle patologie organiche, che non sono state rilevate alle visite, non ci credo più, perché parliamo di una società professionistica”.

Dal defibrillatore sottocutaneo alle origini di una miocardite: necessario fare chiarezza.
“Il fatto che gli abbiano impiantato un defibrillatore sottocutaneo, e non quello definitivo, è un buon segno: significa che potrebbe anche rimuoverlo fra qualche tempo. Il problema è che in Italia non può giocare, all’estero sì, perché ci può essere una lesione da contatto del defibrillatore. Ora, aspettiamo di capire gli esami nei prossimi mesi cosa ci diranno.

La miocardite, al di là del Covid, c’è sempre stata. Può esserci anche con una banale influenza. Il problema è che spesso è misconosciuta, ovvero non presenta sintomi evidenti, ma è latente. Qualche palpitazione, un po’ di affanno, che tende a passare, quindi si tende a tralasciare, soprattutto se si è giovani. Ci vuole anche fortuna. Ho avuto diversi esempi in atleti di pallanuoto, per esempio, che hanno avuto una tachicardia ventricolare durante una prova di sforzo, ad alcuni mesi da una sindrome influenzale. È quella cicatrice che lascia la miocardite, che può in determinate condizioni, come lo sforzo fisico o la disidratazione (come nel caso di Bove), innescare delle aritmie nella zona in cui ha inciso questa infezione miocardica”.

Ma c’è un dettaglio non trascurabile, che dovrebbe valere per tutti gli atleti professionisti.
“C’è una leggerezza rispetto al passato: dal punto di vista tecnico, se un atleta ha avuto un’influenza, viene curato con il paracetamolo, che fa scendere la febbre, e si pensa che sia guarito. Ma non è così: un atleta, una persona, ha bisogno di 5-6 giorni di riposo assoluti dopo i sintomi influenzali, mentre nel professionismo c’è esigenza di riaverli subito a disposizione”.

In molti, pensando anche al caso Eriksen, si sono chiesti cos’è un defibrillatore sottocutaneo, con un occhio ai tempi di recupero e a quando potrà (eventualmente) tornare alla normalità Edoardo Bove.
“Il defibrillatore sottocutaneo, rispetto a quello definitivo, non viene posto nella cavità cardiaca, non si arriva all’interno del torace. È come applicare delle placche sulla cute, appena sotto pelle, vengono impiantati degli elettrodi in questo caso. Non è preciso come quello impiantato definitivamente, questo può fallire, anche se raramente. Viene preferito in prospettiva di una rimozione futura.

I reali tempi di recupero? Parliamo di un anno, il periodo è compreso tra i 6 e i 12 mesi, durante i quali Bove sarà sottoposto a continui controlli e risonanze magnetiche a mezzo contrasto, prima e dopo prove da sforzo. Per Bove, credo che fra un anno saremo al dentro o fuori: o torna a giocare o non gioca più. Capiremo, attraverso gli esami, se la lesione è regredita completamente oppure no. Da un minimo di sei mesi ad un anno, poi si capirà cosa potrà fare il ragazzo, in base ad esami e controlli”.

Indubbio che il movimento sportivo italiano sia cresciuto dal punto di vista della prevenzione, dal caso Morosini ad oggi.
“Fortunatamente non abbiamo registrato tanti casi nel mondo sportivo. In un anno al Policlinico di Napoli, nonostante un’epidemia influenzale abbastanza tosta, ho beccato appena 6 casi di ragazzini attraverso gli esami di controllo per il rinnovo dell’idoneità sportiva. Tanti scoperti per caso, ma sempre figli di un’influenza insomma. Chiaro che il caso Bove fa rumore per la giovane età e per il valore della competizione.

Nel concreto, è cambiato che c’è la presenza di un defibrillatore praticamente ovunque, in ogni luogo in cui si pratica attività sportiva. Dal campo di calcio alla semplice palestra. C’è una maggiore presenza dei sanitari e una grande preparazione da parte di tutti gli operatori, ma per quanto riguarda la Medicina dello Sport siamo all’avanguardia in Italia. Prevenzione e competenza. Poi è chiaro che se non fermi i ragazzi, puoi andare incontro a dei rischi, come nel caso di Bove, ma fortunatamente registriamo pochi casi. Ribadisco, non è dipeso solo dal Covid e dalle varie malattie virali del recente periodo, ma dipende anche da una banale influenza”.

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