Quando si è appresa la notizia è stata subito creata una petizione per fargli cambiare idea: Franco Bragagna, la voce dell’atletica della Rai da lustri, andrà in pensione a breve. Quelle di Parigi saranno le sue ultime Olimpiadi estive, dopo quelle invernali dirà addio tra lo sconforto dei fan, che sono davvero tanti. Esiste anche un fanclub sui social a suo nome e non si fa fatica a capirne il perché. Da 50 anni racconta lo sport e da 30 è l’insostituibile commentatore dell’atletica sulla Rai.
- L'eredità di Paolo Rosi
- Gli esordi con l'hockey
- L'incidente che fece perdere la memoria a Bragagna
- Il futuro dopo la pensione
L’eredità di Paolo Rosi
Bragagna prese in Rai il posto di Paolo Rosi, quello che tutti ricordano per l’immortale “Cova, Cova, Coooovaaaa!” urlato per l’impresa dell’azzurro a Helsinki ’83, prima medaglia d’oro azzurra nella storia dei Mondiali al culmine di una rimonta epocale nei 10.000 metri, ma di Rosi Bragagna non ha mai avuto particolare stima. In un’intervista rivelò che i suoi maestri erano altri: «Bruno Pizzul è un gigante. La sua attualità è ancora pazzesca: tempi perfetti sulla partita, enfasi corretta, espressioni rivoluzionarie come “folleggia in area”. Aggiungo Aldo Giordani, mito della pallacanestro: ero anche suo collaboratore a Superbasket, aspetto sempre il primo pagamento…Paolo Rosi? Non è stato un riferimento, conosceva poco l’atletica anche se pause e voce erano un proclama. Il fenomeno era piuttosto Sandro Vidrih di Telecapodistria, numero 1 pure negli altri sport».
65 anni, nato di venerdì 17 alle 12.50 (“ma l’orario è stato arrotondato alle 13. Peggio di così…”) madre veronese, padovano di nascita perché il padre, infermiere, lavorava lì in quegli anni, quello stesso padre poi venuto a mancare a soli 42 anni. Da lì un trasferimento da bambino a Bolzano. Per l’emittente di Stato ha seguito quindici Olimpiadi (sette invernali, a partire da Albertville 1992, e otto edizioni estive, a partire da Barcellona 1992), quindici campionati mondiali di atletica leggera a partire da Stoccarda 1993 (ad esclusione di Daegu 2011) e tredici Campionati mondiali di sci nordico (il primo a Falun 1993) ed anche lui ha le sue frasi cult. La sua voce ha accompagnato i trionfi dell’Italia alle Olimpiadi di Tokyo 2021, con i successi di Jacobs nei 100 metri (con il suo urlo “Marcelloo” al traguardo, “come fossi Anita Ekberg che si rivolgeva a Mastroianni dalla Fontana di Trevi” ha ricordato lui), di Tamberi nel salto in alto e dell’Italia nella 4×100 maschile.
Gli esordi con l’hockey
L’esordio con Radio Quarta Dimensione a metà degli anni ’70, a soli 16 anni, commentando con successo una partita di hockey ghiaccio. Parliamo degli anni Settanta quando non si sapeva neppure cosa fossero i cellulari. Ad Avvenire Bragagna ricorda: “Si partiva con un grosso sacchetto di gettoni in tasca e ci si infilava in qualche cabina telefonica. La mia prima radiocronaca fu per Gardena-Bolzano al palaghiaccio di Ortisei. Era il 1975 e il Gardena vietava la radiocronaca integrale. Ma noi siamo riusciti a farla comunque. Mi avevano munito di trasmettitore e mi ero infilato in mezzo alla tifoseria degli ultrà del Bolzano. Sono riuscito a fare tutta la radiocronaca senza essere visto“.
L’incidente che fece perdere la memoria a Bragagna
Dopo l’hockey la scalata in carriera passando per un momento di terrore: “Ero nella sede Rai di piazza Mazzini e un attimo dopo mi sono ritrovato al Pronto soccorso. Davanti a me l’infermiera – che conoscevo ma che per me in quel momento era diventata una perfetta sconosciuta – mi spiegava che avevo una moglie e anche un figlio. Ascoltavo, ma facevo fatica a capire. Quella brutta caduta dalle scale, tra il quarto e il terzo piano del palazzo, aveva all’improvviso cancellato gran parte della mia memoria. Avevo 31 anni ma era come se fossi tornato indietro nel tempo. Mi sentivo un ragazzo e pensavo che da grande volevo fare il giornalista. Quella notte arrivò in ospedale Ezio Zermiani, mio collega, che era in saletta di montaggio quando ho avuto l’incidente. Lo avevo riconosciuto solo in quanto inviato della Rai che, da ragazzo, vedevo come punto di riferimento. Non come mio collega con il quale avevo scambiato quattro battute solo qualche ora prima. Gli davo del lei; parlavo in italiano, mentre tra di noi usavamo sempre il dialetto veneto. Ed Ezio che non capiva, ad un certo punto mi disse: “Franco, mi stai prendendo in giro?” L’infermiera gli spiegò – usando un eufemismo – che ero un po’ confuso.
Un amico nell’atletica (“Alex Schwazer. L’ho visto iniziare, da ragazzino. Poi però, mi sono sentito tradito da lui. Non ho mai creduto alla teoria del complotto”) e un mito su tutti: «Usain Bolt, l’essere umano e l’atleta in assoluto più forte della storia, il prototipo di un uomo perfetto non rincontrabile in futuro. Anche Michael Phelps è stato eccezionale e ha vinto più medaglie, ma il nuoto è molto meno usurante fisicamente». Ad Avvenire Bragagna spiega quale deve essere per lui il vero ruolo del telecronista: «Accompagnare e aggiungere. Con la squadra italiana di atletica più forte di tutti i tempi è più facile, chi segue da casa è più attento perché si vince, è ben predisposto ad ascoltare. Prima era più difficile raccontare di atleti che magari perdevano e far capire che comunque erano persone, con la loro identità, con la loro storia personale di uomini e donne».
«Nella storia il telecronista ci entra con le grandi vittorie, il Marcello, pensando a Mastroianni, da me gridato a Marcell Jacobs dopo l’oro di Tokyo sui 100 metri o ancora il “bravo bravo bravo” a Stefano Baldini nel trionfo olimpico 2004. Deve venire naturale, un’enfasi portata dall’emozione del momento. Sono assolutamente della scuola del “non scriversele prima” come altri colleghi.
Il futuro dopo la pensione
Infine capitolo futuro. Cosa farà una volta in pensione? «Non ci ho ancora pensato, mi piace insegnare e ho fatto anche delle supplenze insegnante di lettere. Potrei fare delle consulenze, impartire lezioni di giornalismo o comunicazione… vedremo».