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Gianni Comandini, l’uomo derby dello 0-6 uscito presto di scena

Campione d’Europa U21 e pagato circa 20 miliardi di lire dal Milan, a parte un derby indimenticabile incise poco. Scopri la sua storia.

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Gianni Comandini, l’uomo derby dello 0-6 uscito presto di scena Fonte: Imago Images

Quando si vanno ad esaminare le difficoltà, più o meno grosse a seconda dei punti di vista, che attanagliano il nostro calcio, ci si dimentica spesso di analizzare un fatto facilmente verificabile: a livello giovanile le nostre Nazionali non vincono un titolo Europeo da 20 anni precisi, con la vittoria in Liechtenstein dell’Under 19 di Chiellini e Aquilani. Può voler dire tutto come niente, anche perché i meri risultati sono scopo assolutamente secondario rispetto alla formazione di calciatori e più volte, le varie selezioni hanno sfiorato titoli mondiali ed europei nell’ultimo periodo.

Ma il fatto che l’Under 21 azzurra abbia vissuto il proprio El dorado negli anni ’90 e 2000 dimostra come la salute del movimento fosse ottima anche dal punto di vista della produzione dei vivai, oltre al fatto di avere probabilmente il miglior campionato al mondo all’interno dei propri confini. In 12 anni (dal ’92 al 2004) furono alzati al cielo, dalla massima selezione giovanile, ben 5 titoli europei; che, ancora oggi, permettono all’Italia di vantare il primato assoluto nell’albo d’oro della manifestazione in coabitazione con la Spagna.

Nella penultima delle vittorie, ottenuta in Slovacchia ad Euro 2000, il ct Tardelli si presenta all’appuntamento con un centrocampo a rombo e un maestoso Pirlo ad innescare il tandem d’attacco formato da Nicola Ventola, a cui in finale fu preferito il più in forma Spinesi, e Gianni Comandini.

Il secondo è reduce da mesi di altissimo livello in Serie B a Vicenza, con ben 20 reti segnate e un ruolo decisivo per la promozione, peraltro rubando in quei mesi vari trucchi del mestiere ad attaccanti molto esperti come Pasquale Luiso e Christian Bucchi, entrambi in doppia cifra nella stagione in questione. A fregarsi le mani, nel mentre, è il Milan, che un anno prima aveva scommesso sul ragazzo acquistando per circa 20 miliardi di lire il suo cartellino proprio dal club berico, che pure curiosamente non aveva mai potuto usufruire “in prima persona” delle prestazioni del calciatore.

Tutto questo perché, pur essendo proprietario del cartellino del giovane attaccante, non aveva potuto beneficiare delle sue prestazioni al Menti per via di un meccanismo più o meno simile a quello poi successivamente adottato in accordo con il Diavolo: nell’estate del ’98 era infatti stato acquistato in comproprietà dal Cesena, che lo aveva cresciuto sin da quando era piccolo e poi pian piano avvicinato al mondo della prima squadra. Dalla Romagna danno il benestare per la chiusura della trattativa a patto che si potesse avere ancora per un anno il giovane attaccante a disposizione.

Nel giugno successivo si sarebbe poi andati a definire gli scenari futuri, o trovando un accordo o ricorrendo alle buste, meccanismo all’epoca in voga per definire le situazioni in cui non c’era accordo tra le società co-proprietarie del cartellino sulla destinazione finale del calciatore. A presentare l’offerta più alta, e ad aggiudicarsi la speciale asta, sarà quindi il Vicenza. Per ben 18 mesi, quindi, di fatto, viene tenuto in prestito dalle sue ormai ex squadre, che pure sapevano di poter essere destinate a salutarlo dopo il rompete le righe di maggio.

Gianni Comandini con la maglia del Milan Fonte: Imago Images

L’occasione della vita di Comandini

A 23 anni, forte di un titolo di Campione continentale da protagonista e un paio di gol segnati alle Olimpiadi ad agosto, il vento è in poppa, la voglia di dimostrare di valere la ribalta di San Siro tanta. Il Napoli lo vorrebbe in prestito, ma la risposta del club, allora avente sede in via Turati, è picche. Viene giudicato, insomma, come un elemento in grado di misurarsi con i palcoscenici più importanti sin da subito. Lo stesso Galliani lo giudica, senza giri di parole: “Un grande attaccante”.

La nuova avventura, però, si rivela da subito parecchio complicata, nonostante un gol all’esordio in Champions, nel preliminare contro la Dinamo Zagabria, sembrasse poter essere il classico buongiorno che si vede dal mattino. Di ritorno da Sydney 2000, una fastidiosissima lombalgia mette Comandini fuori combattimento fino praticamente al gennaio successivo, rendendolo peraltro per parecchi mesi una sorta di carta della speranza in vista di un futuro più roseo per i tifosi del Milan, preoccupati da un inizio di stagione che mette subito in evidenza le difficoltà della squadra.

Uno scenario poi precipitato a marzo, dopo l’eliminazione dalla Champions League, con annesso esonero di mister Zaccheroni e posizione, per alcune settimane, parecchio traballante anche per lo stesso Galliani, giudicato responsabile di alcuni acquisti non mostratisi all’altezza della situazione. Un contesto sicuramente non ideale per un ragazzo venuto dalla provincia e catapultato alla Scala del Calcio. Eppure, Gianni riesce ad entrare per sempre nel cuore del tifo di uno dei club più titolati al mondo grazie alla sola serata dell’11 maggio del 2001, ubicazione nel calendario del derby della Madonnina di ritorno e data rimasta iconica tra gli appassionati di calcio anche per via di un famoso coro-sfottò cantato dalla Curva Sud di San Siro per anni.

Il quadro della vigilia descrive una stagione molto poco ricca di soddisfazioni per il mondo pallonaro del capoluogo lombardo in generale. Nessun titolo o discorsi legati al primato in ballo, ma forse proprio per questo la gara finisce per assumere contorni altrettanto importanti: resta solo, o quasi, la supremazia cittadina per salvare il salvabile, visto che i traguardi relativi all’altissima classifica sono svaniti per entrambe le squadre. Il Milan, in trasferta e quindi con meno supporto, almeno a livello numerico, del pubblico dalla sua, seppellisce di gol i cugini nerazzurri, rifilando addirittura un clamoroso 0-6, maturato nell’ambito di un vero e proprio dominio.

Il protagonista a sorpresa è Comandini, che nell’occasione Carlo Pellegatti, mai scevro di creatività, battezza addirittura come Sentenza. Il perché è presto spiegato: è lui ad aprire le porte alla trionfale serata dei ragazzi di Cesare Maldini, soluzione interna subentrata in coppia con Tassotti, ex tecnico della Primavera, circa tre mesi prima. Una doppietta da vero bomber, sempre su assist di uno scatenato Serginho: prima una girata di mancino, poi un colpo di testa da rapace dell’area sul primo palo dopo aver bruciato sul tempo Matteo Ferrari.

Sulla panchina avversaria siede Marco Tardelli, con cui aveva giocato l’Europeo U21 un anno prima e che addirittura lo aveva fatto debuttare in prima squadra da ragazzino ai tempi del Cesena. Una persona a cui doveva forse una buona parte della carriera sepolta di gol anche per via del suo inaspettato exploit: il calcio, si sa, spesso non dispensa alcuna pietà.

Dai nerazzurri puniti ai nerazzurri di Bergamo: Comandini all’Atalanta

Resta l’unico acuto di una parentesi chiusa abbastanza in fretta. Nell’estate successiva, l’area sportiva rossonera porta a Milano Pippo Inzaghi dalla Juventus e lo spagnolo Javi Moreno, che si rivela una grossa delusione al netto dei ben 32 miliardi di lire andati a rimpolpare le casse dell’Alaves. A parole, la fiducia del club non sembra mancare, ma le scelte effettuate in entrata non possono escludere una cessione, complice anche il fatto che in chiave mercato erano arrivate proposte da estimatori importanti, pronti a valutare il giocatore tanti soldi.

Mezza Serie A, Torino e Fiorentina in primis, sono pronte a fare carte false per rilanciarlo, ma alla fine il colpo decisivo lo sferra Beppe Marotta, all’epoca amministratore delegato dell’Atalanta, che staccherà un assegno da addirittura 30 miliardi di lire, a vidimare quello che per tanti anni, fino all’epopea della Dea in versione europea del ciclo-Gasperini, sarà l’acquisto più oneroso della storia del club. Una scelta che pagherà dividendi solo in parte, nonostante la presenza di un tecnico come Vavassori, specialista nella valorizzazione dei giovani, e un ambiente che, ad eccezione di un avvio stentato, fa trasparire serenità nell’arco di tutta la stagione.

Il bottino personale di Comandini parla di 4 gol in 30 gare per l’attaccante romagnolo, che purtroppo, ad aprile, troverà anche un enorme carico di sfortuna sulla propria strada: rimedia la rottura del crociato anteriore del ginocchio destro a Parma, peraltro poco dopo essere andato in gol su rigore. È fine aprile. Lo aspettano un lungo stop e la rinuncia alla preparazione precampionato con il resto del gruppo.

Il ritorno in campo è, ironia della sorta, proprio contro il Milan, il 20 ottobre successivo. L’Atalanta perde, ma Comandini si consolerà ritrovando il gol in Coppa Italia nell’impegno immediatamente successivo e poi infilando tre reti nel giro di un mese, mettendo la firma in calce anche sul derby contro il Brescia, partita che peraltro lo aveva già visto andare in rete nell’annata precedente, nel famoso 3-3 al Rigamonti che fece registrare la famosa corsa di Carletto Mazzone verso il settore ospiti rimasta negli annali.

A fine anno, però, sarà retrocessione, e il nuovo ciclo, con in panchina un giovane Andrea Mandorlini, non lo vede più come al centro del progetto, anche alla luce della scelta di valorizzare un ragazzo della Primavera, Giampaolo Pazzini, autore di 9 reti già al primo giro di giostra da professionista. Farà strada, peraltro passando anche lui dal trampolino dell’U21 azzurra, con annessa tripletta nella gara di inaugurazione del nuovo Wembley.

Gianni Comandini gioca con il Milan Fonte: Imago Images

La parabola discendente della carriera di Comandini

Il percorso calcistico di Gianni, invece, innesca malinconicamente una parabola discendente nonostante abbia solo 26 anni. Prova a rilanciarsi in prestito nella Genova rossoblù, piazza caldissima del nostro calcio ma particolarmente in difficoltà in quel periodo a livello di risultati sportivi, più impegnata a evitare di essere risucchiata dal baratro della Serie C che a sognare i fasti di una decina di anni prima. Segnerà un solo gol nei sei mesi trascorsi sotto la Lanterna, all’ombra di Bjelanovic e addirittura del Principe Milito.

A Bergamo, forte di un ritiro che lascia ben sperare, prova a giocarsi nuove fiches nei mesi successivi, con la Città dei Mille che nel mentre aveva festeggiato il ritorno nel massimo campionato, ma nei fatti lo spazio è praticamente nullo, con l’unica gioia di un rigore segnato in Coppa Italia contro il Vicenza. Quasi naturale la scelta di fare nuovamente le valigie a gennaio, anche a costo di scendere addirittura di due categorie. L’Atalanta lo gira in via temporale alla Ternana, piazza peraltro legata da uno storico gemellaggio con la Curva Nord nerazzurra. Proprio nel momento in cui sembra aver ritrovato una condizione all’altezza della situazione, con tanto di prestazione dominante al Penzo di Venezia (gol e due assist), nuovi problemi alla schiena lo costringono a chiudere anticipatamente la propria stagione addirittura a febbraio.

Si chiuderà così, abbastanza mestamente ma con la soddisfazione di aver segnato nell’ultimo match giocato in carriera, l’ultima parentesi di un percorso da calciatore che ormai non sembra interessargli più, come avrà modo di raccontare qualche tempo dopo: “Ero stufo, perché per me il calcio era diventato un peso”.

Una scelta dimostratasi definitiva nel tempo, nonostante nei mesi successivi alla sua rescissione con la Dea fossero giunte tante proposte per tornare di nuovo in pista. Anche oggi, ad eccezione di qualche calcio tra amici nel Csi, è distante dal pallone, nonostante non si neghi quasi mai ai giornalisti per fare due chiacchiere su quello che è stato il passato. Il tutto con il sorriso e senza accampare scuse o rancore nei confronti di chicchessia.

Nel mentre ha girato il mondo, dedicandosi a viaggi lunghi, che lo hanno portato a scoprire luoghi esotici e la semplicità della gente meno abbiente. Da un paio di anni si dedica ancora all’ambito sportivo, in Romagna, ma il calcio non c’entra più nulla: è diventato istruttore di surf e sup (variante che prevede l’ausilio del remo tra le mani) a Cesenatico. Per i rimpianti non c’è più tempo, e probabilmente a fermarlo con grande piacere saranno spesso i tifosi del Milan che giungono in Riviera.

Gli amanti delle statistiche, nel mentre, lo ricordano come l’unico calciatore del campionato di Serie A a segnare una doppietta in un derby alla prima presenza in una qualsiasi stracittadina. Un primato condiviso con un Pallone d’Oro come Pablito Rossi e Olivier Giroud, il miglior marcatore della storia della Nazionale francese. Non proprio due qualunque.

Resta il bilancio complessivo di una decina scarsa di reti in 55 gare di Serie A e di 37 segnature nell’ambito di 94 gettoni collezionati in Serie B. Una media non malvagia, numeri alla mano, ma certamente, anche alla luce delle importantissime cifre sborsate per averlo in squadra, resta l’impressione di una carriera che avrebbe potuto esprimere pagine ben più importanti e colorate di successo.

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