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Giro d'Italia, il pronostico di Ivan Basso

Il due volte vincitore della 'Corsa Rosa' parla anche del caso Evenepoel e dello stato dell'arte del nostro movimento: "Remco ha l'alibi della gioventù, con i talenti serve pazienza".

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Giro d'Italia, il pronostico di Ivan Basso Fonte: Getty Images

Ivan Basso racconta in una lunga intervista al ‘Corriere della Sera’ il percorso della sua squadra, la Eolo Kometa, che ha messo la ‘bandierina’ sulla tappa del Gran Sasso, una vittoria che ha posto il gruppo del due volte vincitore del Giro d’Italia (2006 e 2010) nella condizione di ricevere le attenzioni dei media: “Il Giro amplifica tutto, nel bene e nel male: la vittoria di Davide Bais, trentino talentuoso e testardo, per la Eolo Kometa è vita. E’ importante che un italiano vinca in Italia, la nostra squadra ha centrato vari piazzamenti tra i primi dieci e sta crescendo; io stesso man mano prendo le misure al ruolo di direttore sportivo. Io e Contador abbiamo preso il meglio dei nostri anni da professionisti, facciamo due ritiri da due settimane in inverno, andiamo in altura e ognuno ha quattro bici”.

E ha causato un polverone l’abbandono di Remco Evenepoel, quanto meno per la tempistica: “Evenepoel è uno dei 5-6 migliori ciclisti al mondo e non ha ancora la saggezza di Roglic o la gestione di Thomas, è stato sfortunato tra cadute e Covid – 19; essendo un 23enne, qualche alibi ce l’ha. Ha doti indiscutibili. Nel complesso la Ineos è una squadra migliore della Jumbo, nessuno vince una corsa di tre settimane da solo, neppure Pogacar. Tadej è impressionante: avesse praticato altri sport, sarebbe eccelso in quelli. Il mio pronostico per Roma? Joao Almeida, Roglic, Thomas: non so in quale ordine, però. Ganna? Non è una delusione, al Giro ci possono essere svolte imprevedibili, magari non ha problemi fisici e scivoli in curva come è capitato a Geoghegan Hart. La stagione di Filippo finora è stata eccezionale, il ritiro non la ridimensiona: ci controlliamo ogni giorno, la salute viene prima di tutto, da noi si è ritirato Fetter, aveva la febbre, ma non era contagiato” spiega il campione di Cassago Magnago, salito anche sul podio di Parigi e considerato a un certo punto l’erede di Lance Armstrong..

Non è facile ritrovare in Italia gli investimenti di un tempo in questo sport: “Serve tenacia e pazienza, l’importante è avere un progetto, una identità e valori da trasmettere; quando lavori bene, ti notano. La credibilità la acquisisci con l’esempio: sei ragazzi su otto in corsa qui sono italiani. Per vincere un Giro ci ho messo anni di inseguimento: i talenti vanno cercati prima e valorizzati poi, non è vero che tutti scelgono l’estero e le squadre del World Tour; e non tutti sono Pogacar o Evenepoel, noi azzurri maturiamo dopo, dateci tempo. Mi sono innamorato del ciclismo a Verona, il giorno che Francesco Moser vinse la ‘Corsa Rosa’: per vincerla ci ho impiegato 27 anni”.

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