Quegli occhi spiritati, cerchiati di rosso e degni di un quadro impressionista, hanno caratterizzato la sua carriera. Totò Schillaci, classe 1964, di vite ne ha vissute tante. Dal Cep di Palermo, quartiere povero dove si fece notare da giovanissimo come centravanti dell’Amat, a volto simbolo degli azzurri durante il Mondiale di Italia ’90.
L’attaccante delle Notti Magiche è morto il 18 settembre 2024 dopo aver deciso di rendere pubblica la sua malattia, una scelta che ha preso da quando ha saputo di essere affetto da un cancro. L’indimenticabile Totò è morto nel reparto di Pneumatologia, dell’ospedale Civico di Palermo, la sua città amatissima.
- Totò Schillaci, le sue condizioni di salute
- Gli esordi nella sua Palermo
- Totò Schillaci e l'avventura di Italia '90: le sue Notti Magiche
- Italia '90 e il sogno incompiuto
- La separazione da Rita e l'incidente con Lentini
- Totò Schillaci e la decisione di trasferirsi in Giappone
- Totò Schillaci: la vita privata
- Il pugno sferrato a Roberto Baggio
- L'ultimo rimpianto: il Palermo
- L'arresto di Messina Denaro e la sua testimonianza
- Dalla televisione alla scuola
Totò Schillaci, le sue condizioni di salute
L’eroe di quell’Italia magnifica, spensierata e abbandonata all’iperbole calcistica di quell’attaccante all’apice della sua carriera, aveva saputo interpretare il sentiment di una coscienza collettiva che nel calcio leggeva un riscatto, oltre alla passione. E che Totò portava e si porta ancora oggi addosso, testimoniato dall’affetto immenso dei tifosi che attendevano notizie di altro tono.
Hanno accompagnato la speranza di ripresa che sua moglie Barbara, i suoi figli, l’ex Rita e tutti i suoi affetti più cari hanno alimentato con sapienza e immenso amore.
In una story, su Instagram, la famiglia aveva deciso di chiarire quanto stesse accadendo, nei giorni scorsi, a seguito della fuga di notizie che c’era stata anche a causa di quell’immane passione che il tempo aveva accresciuto. I tifosi lo hanno seguito con la medesima volontà, il trasporto che si deve a un amore così grande:
“Visto le innumerevoli chiamate da parte di molte testate giornalistiche e visto le brutte notizie che circolano, informiamo che il nostro amato Totò è in condizioni stabili ed è controllato da un equipe di medici continuamente notte e giorno. Forza Totò”, si leggeva sul suo account.
Gli esordi nella sua Palermo
La sua Palermo ha seguito e continua a partecipare al tumultuoso cammino di quel figlio campione, dalla giovinezza ai bordi di una periferia complicata, ma che gli ha insegnato riconoscenza e volontà. Ha sempre nutrito un rapporto speciale, Totò con la sua gente, quella città che gli ha donato un insegnamento, suo malgrado, che si è portato dentro e che l’ha guidato:
“Ce l’ho fatta, perché ho avuto il coraggio, magari l’incoscienza, di puntare tutto sul calcio: dopo un anno e mezzo che aggiustavo le gomme, e dopo, sfinito, mi andavo ad allenare, ho deciso che dovevo scegliere. E ho scelto il calcio, dandomi una scadenza. Se non avessi sfondato, mi sarei rimesso a bottega”, ha dichiarato Schillaci anni addietro, quando gli fu chiesto di narrare i suoi inizi.
Totò Schillaci e l’avventura di Italia ’90: le sue Notti Magiche
Un gol dietro l’altro, anche se mancò la soddisfazione ultima per quel giocatore che ha svelato, poi in anni recenti, il dolore della scoperta di apprendere di un male subdolo, e feroce, come il cancro al colon. Quando fu messo davanti alla possibilità di prendere parte a Pechino Express, con sua moglie Barbara, chiese ai medici che lo seguivano se ciò potesse essere compatibile con il suo stato di salute.
Gli fu dato il via libera e quell’edizione siglò una testimonianza umana – sua e della sua compagna – unica, indelebile per l’autenticità che consentirono fosse condivisa con il pubblico che li seguì con affetto e che rese ancora evidente la stima dei tifosi nei suoi riguardi.
Italia ’90 e il sogno incompiuto
Allora il titolo gli fu strappato via, scippato quasi di soppiatto lasciandogli il rammarico di non aver sigillato quella voglia di vincere con il Mondiale che sognava da bambino, tra i vicoli della sua Palermo.
“Vuol dire che qualcuno, da lassù, ha deciso che Totò Schillaci dovesse diventare l’eroe di Italia ’90. Peccato che poi si sia distratto durante la semifinale con l’Argentina. Una disdetta: abbiamo preso solo un goal in quell’edizione dei Mondiali, e quel gol ci ha condannati”, prima della delusione ai rigori contro Maradona in semifinale. Fu lui a chiedere a Vicini di non tirare dal dischetto per poi ammettere lo sbaglio:
“Dopo ho passato due ore dentro lo spogliatoio a fumare, non ho trattenuto le lacrime. E’ stato un sogno che ci è scivolato dalle mani”.
Totò Schillaci, eroe di Italia ’90
La separazione da Rita e l’incidente con Lentini
Anche la sua storia gli scivola via, tra le dita, senza che neanche se ne accorga quasi: è la fase più delicata della sua giovane esistenza, quando il suo matrimonio entrò in una crisi senza lieto fine e decise di separarsi da sua moglie Rita, la quale ebbe una relazione, poi, con l’allora campione Gianluigi Lentini.
Erano anche gli anni del grande salto dal Messina alla Juve, dove diventò Totò-gol. Poi il litigio con la società, perché dirà “non mi perdonarono che avevo lasciato mia moglie”. Allora anche queste componenti avevano una qualche valenza, nel calcio. Per i tifosi no. L’affetto rimase immutato anche se lasciò Torino per Milano. Fu l’era dell’avventura impalpabile all’Inter.
Totò Schillaci e la decisione di trasferirsi in Giappone
Sono passaggi e anni quasi incolore, rispetto all’azzurro di quel Mondiale ormai epico per toni, mood e sentimenti: per Schillaci non si poteva chiudere così, nel declino una carriera costruita sulle scelte da capitano coraggioso.
Trasferirsi dall’Italia al Giappone, dove la sua immagine fu quasi idolatrata all’epoca della sua decisione, non fu opzione poi così assurda anche se suscitò una certa sensazione.
L’esperienza di “Totò-san”, come lui stesso dichiarerà, non fu facile: due anni intensi, dal 1993 al 1994, con la maglia dello Jubilo Iwata.
Totò Schillaci: la vita privata
Due matrimoni, il primo con Rita Bonaccorso (negli ultimi anni protagonista di un clamoroso caso di cronaca per non rinunciare alla sua villa palermitana: per protesta è stata costretta a dormire in una roulotte), il secondo con Barbara che lo ha seguito negli anni del ritorno a Palermo e in tv all’Isola, per esempio.
Cori razzisti in ogni stadio, ad ogni sua apparizione: “Ed è triste che siano state le città del Sud, Bari e Napoli, ad avermi insultato di più”.
Poi quel «Ti faccio sparare» rivolto al bolognese Poli che suscitò indignazione e che lo costrinse a scusarsi e a chiarire:
“Era una frase detta così, nella foga del momento, ma non dovevo dirla: ne pagai a lungo le conseguenze”, rivelò.
Il pugno sferrato a Roberto Baggio
Anche quel pugno sferrato contro Roberto Baggio destò inevitabile clamore. Entrambi emblema di un’epoca calcistica distante da quella odierna e sia Baggio sia Schillaci capaci di suscitare reazioni nette. A Premium calcio, nel lontano 2011, l’ex bomber aveva rivelato questo scontro fisico quale presupposto di un rapporto franco, onesto.
“Io e Roby siamo diventati amici. Dividevamo la stessa camera, lui parlava poco, io niente. Eppure, nonostante questo, una volta facemmo a cazzotti: anzi, fui io a rifilargli un pugno”. Motivo? “Si è trattato veramente di una stupidaggine. Eravamo nello spogliatoio della Juve. Roberto stava scherzando con me, ma si lasciò prendere la mano e lo scherzo divenne pesante. Io reagii in quel modo e me ne pentii subito. Per fortuna, la cosa si chiuse lì”, ha spiegato successivamente a Sicilia On line.
Baggio è stato tra i primissimi a esprimere il proprio doloroso messaggio di vicinanza, quando è stato comprso da chiunque che Schillaci stava afrontando una degenza a Palermo drammatica forse e probabile quella che lo avrebbe condotto all’epilogo definitivo.
L’ultimo rimpianto: il Palermo
Un altro rimpianto se lo porta dietro e lo ribadisce ad ogni occasione pubblica, ad ogni intervista: quello di non aver indossato la maglia del Palermo, nella splendida città dei Florio che ha conosciuto e vissuto in ogni sfaccettatura e che ha affidato a un racconto sintetico, forse scarno ma autentico.
“Da quando ero ancora un moccioso, l’unica cosa che contava per me era segnare, a dispetto di tutti, compagni e avversari. Una voglia sfrenata, che non è mai finita. Ma io non potevo cambiare, perché se perdevo quella mia voglia matta di goal perdevo tutta la mia forza di calciatore. Da noi, per emergere, devi avere la fortuna che qualcuno venga a scovarti. Non ci sono scuole calcio, i club investono poco nel settore giovanile. Ho conosciuto tanti ragazzi che potenzialmente sarebbero stati dei talenti e che si sono scoraggiati. Ho sempre cercato di giocare per la squadra, almeno finché non vedo la porta. In quel momento scompare tutto. Siamo io, lei e il portiere. Se capisco che c’è il varco giusto, io ci provo. Un attaccante deve ragionare così e fidarsi del proprio istinto. Altrimenti quando segna?”. In sintesi, la sua filosofia.
L’arresto di Messina Denaro e la sua testimonianza
Proprio per sottoporsi ad alcuni accertamenti, legati al suo stato di salute, la mattina dell’arresto di Matteo Messina Denaro, considerato uno degli ultimi stragisti, è alla clinica La Maddalena, dove viene arrestato. Schillaci è testimone di questo evento epocale, nella lotta alla criminalità organizzata: l’eroe delle Notti Magiche è lì per effettuare delle analisi dettate dalla sua condizione, svelerà in una fase diversa quando deciderà di rendere pubblica la sua malattia, un tumore al colon.
In quella mattina di gennaio, però, è un uomo sopraffatto dagli eventi, da ciò che è più grande di lui e che riporta con il suo bagaglio di emozioni e timori, ai giornalisti intervenuti:
“Ero lì che stavo aspettando in clinica intorno alle 8.15, quando ho visto entrare tutti i poliziotti incappucciati”, ha detto Schillaci ai microfoni. L’ex campione palermitano sarebbe dovuto entrare per effettuare le proprie terapie, ma proprio in quel momento le forze dell’ordine si accingevano a chiudere un capitolo storico nella latitanza del ricercato n.1 in Italia e nella ricerca dell’ultimo boss di una generazione di esponenti della criminalità organizzata. “Io stavo per entrare al bar, stavo fumando una sigaretta ed è allora che ci hanno bloccati tutti, era un manicomio!”, le sue parole.
Dalla televisione alla scuola
A Palermo, Totò ha deciso di tornare per restare e tentare di realizzare un sogno. Con i soldi guadagnati in Giappone, Schillaci tornò in Italia, proprio nella sua città per aprire un centro sportivo, comprensivo di campi di calcio in erba sintetica e dal 2000 gestiva la “Scuola calcio Louis Ribolla”, che ha subito alcune traversie negli ultimi mesi. L’ideale resta, pur avendo conosciuto travrsie e inevitabili difficoltà.
Il personaggio Schillaci, anche con l’obiettivo dichiarato di voler lavorare in tv, è tornato alla ribalta grazie alla sua partecipazione al reality “L’isola dei famosi”, “Quelli che il calcio” e ad apparizioni in alcune fiction. L’ultimo programma, in ordine di tempo, in cui figura è “Back to school”, format condotto da Nicola Savino andato in onda su Italia1 prima della partecipazione – toccante – con sua moglie Barbara a “Pechino Express”.
Un personaggio istrionico, sfaccettato e che non ha mai negato di godere di secondo opportunità, nella sua esistenza. Di averle sapute riconoscere e preservarle, cogliendo una vita piena ma troppo breve. Per tutti rimarrà sempre Totò-gol, eroe delle Notti Magiche. E i suoi occhi spiritati quelli di una generazione.