Dei suoi novantadue anni quasi la metà li ha passati con il marchio Juventus ma per Giampiero Boniperti, che festeggia il compleanno nel giorno più amato dagli americani, la Juve è tutta la vita, non solo la fetta più grossa. Da calciatore 469 presenze e 188 gol dal 1946 al 1961, poi ha vinto tutto da presidente dal 1971 al 1990 ed è diventato anche Presidente onorario dal 2006. A lui si deve la celebre frase, ricordata di recente da Del Piero: “Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta”.
Boniperti aveva sempre paura del derby
Ed è singolare che il compleanno di Boniperti cada proprio nel giorno del derby, lui che temeva il Torino più di ogni altro rivale come ha ricordato con un tweet la storica firma del Corriere dello sport Enzo D’Orsi: “Boniperti avrebbe abolito il derby. Soffriva troppo il tremendismo e la qualità dei granata, lui che da ragazzo aveva imparato molto dal Grande Torino. Gli sarebbe piaciuto affrontare Cairo, il patron senza sogni. E la sua squadra, morbida come un cuscino”.
Boniperti ricorda Sivori e Charles
Una carriera all’insegna della lealtà sportiva e dei trionfi in campo, che Boniperti stesso racchiuse in un libro “Una vita a testa alta”. Lì si legge ad esempio dei rapporti con Sivori e Charles: “Sivori era argentino. Non era né brasiliano, né John Charles. Il brasiliano, se può, ti dribbla e passa la palla, in silenzio. L’argentino ti dribbla dandoti un pugno in faccia e poi ti manda a fare in … con un «Hijo de puta».
“Charles era un gigante di 1,90, campione dei pesi massimi, che saltava con le braccia lungo i fianchi per non far male. Io mi arrabbiavo. Nell’intervallo delle partite spesso non cambiavo i calzoncini e non bevevo il the per stare a parlare con lui: «John alza ‘sti gomiti. Non vedi che ti picchiano? Se tu allarghi i gomiti noi segniamo sempre». Ma lui non l’aveva nel sangue, faceva dei gran sì con la testa e poi continuava a giocare come al solito.
“Sivori era tutto il contrario. Strafottente. Ti tirava i capelli, ti metteva le dita negli occhi. Ci ha creato un bel po’ di problemi con gli avversari, ma che grande giocatore, Omar. Ti divertiva, in campo e fuori, era una fortuna averlo come compagno. Dicevano che non andassimo d’accordo ed è vero solo in parte. Eravamo molto diversi, questo sì, mi disturbavano certi suoi atteggiamenti provocatori e glielo dicevo. Non ci siamo taciuti nulla, ma insulti mai, litigate mai. Anzi, ci siamo divertiti insieme”.
Boniperti raccontò l’ultimo omaggio a Parola
“Quello che mi ha picchiato di più è stato Parola, maestro e capobranco ma avversario duro quando gli giocavo contro nelle riserve della Juventus. Nella prima foto ufficiale con la maglia bianconera, ho un occhio nero per una gomitata di Nuccio in allenamento: modo sbrigativo per spiegarmi che il tunnel che gli avevo fatto non gli era piaciuto. Parola mi voleva bene ed io lo adoravo. Era grandissimo, non a caso con la sua rovesciata è stato per anni sulla copertina delle figurine Panini.”
“Se penso cosa guadagnano adesso i giocatori con il diritto d’immagine e cosa non ha mai preso Parola per tutto il tempo in cui ha pubblicizzato l’album con quel gesto tecnico straordinario, divento matto. Ma una soddisfazione e un bel ricordo ce li ho: perché io, quando non ero già più presidente della Juventus, ai dirigenti della Panini tutte queste cose le ho dette: «Quanto vi ha fatto guadagnare Parola senza avere una lira in cambio?». E loro hanno capito. Alla famiglia Parola hanno versato 100 milioni, come segno di riconoscenza. E Nuccio, che è stato malato a lungo, ne aveva bisogno”.
“Quando Parola è morto, ho preso la cravatta della mia divisa bianconera e gliel’ho annodata al collo. L’ho fatto io, anche se nella Juventus non avevo più un ruolo operativo. Ma il vecchio Parola alla Juventus ha portato eleganza, signorilità e gloria: non poteva andarsene nudo. La cravatta della mia divisa a Parola quando morì: lui era il simbolo dell’eleganza e della gloria Juventus”.