Trentanove morti e più di 600 feriti. Era il 29 maggio 1985, quando allo stadio Heysel di Bruxelles, si consumò una delle più grandi tragedie di cui il calcio ha memoria. Quarant’anni dopo la finale tra Juventus e Liverpool il dolore è ancora lancinante. Perché dimenticare è impossibile. Da Platini a Trapattoni, da Tardelli a Boniek: le testimonianze di chi quella notte l’ha vissuta in campo senza sapere cosa fosse davvero successo sugli spalti raccontano di un dramma sportivo senza precedenti. Prima del fischio d’inizio gli hooligans inglesi assaltarono il settore Z, occupato dai tifosi bianconeri, seminando il terrore. E nel tentativo di fuggire, il muro di contenimento dell’impianto vecchio e fatiscente crollò, causando una catastrofe.
- Juventus, la tragedia dell'Heysel: la testimonianza di Platini
- Le scuse di Tardelli e quella Coppa che era una sconfitta
- Tacconi: il dramma dei tifosi feriti nello spogliatoio
- Il gesto di Boniek per le famiglie delle vittime
- I ricordi del Trap e la confessione di Andrea Agnelli
Juventus, la tragedia dell’Heysel: la testimonianza di Platini
Michel Platini, che quella finale macchiata di sangue, la decise su rigore, ancora oggi fa fatica a parlarne. Sono passati 40 anni, ma la tragedia dell’Heysel resta e resterà una ferita impossibile da rimarginare.
Le Roi ha più volte ricordato che “fuori la gente moriva, mentre dentro noi giocavamo. E non sapevamo nulla né potevamo capire”. Come raccontato dall’ex 10 bianconero, due giorni dopo la partita, si recò presso l’ospedale di Bruxelles con il compianto Gaetano Scirea per visitare i feriti. “Persone che erano venute allo stadio per vederci, non sono più tornate a casa: è stato terribile”.
Le scuse di Tardelli e quella Coppa che era una sconfitta
Marco Tardelli ha spesso sottolineato che “era impossibile rifiutarsi di giocare”. Già, la Uefa decise che la finale tra Juventus e Liverpool doveva essere disputata perché si temevano conseguenze ancora più drammatiche per l’ordine pubblico.
Però l’ex centrocampista bianconero si è sentito in dovere di chiedere scusa, perché “non dovevamo andare a festeggiare. Non ritengo di aver vinto quella Coppa dei Campioni, non la ricordo volentieri. Per il calcio è stata una sconfitta”.
Tacconi: il dramma dei tifosi feriti nello spogliatoio
Anche Stefano Tacconi ha confessato di “pensare spesso all’Heysel, soprattutto di notte quando fatico a prendere sonno. E mi torna in mente la paura”.
L’ex portiere della Juve conserva un’immagine: “Prima della partita alcuni tifosi feriti e insanguinati raggiunsero il nostro spogliatoio, dove furono soccorsi dal nostro medico. Sapevamo solo di una persona schiacciata dalla calca: dei 39 morti ci è stato detto solo a gare finita”. Ai bianconeri era balenata l’idea di non giocare, “ma poi un generale delle forze dell’ordine belga ci obbligò a farlo”.
Il gesto di Boniek per le famiglie delle vittime
Zibì Boniek ha dichiarato a più riprese che quella partita “non volevamo giocarla. L’atmosfera era irreale, c’erano poliziotti con i cani in campo”. Fu l’ultima partita del polacco in bianconero prima del passaggio alla Roma.
“Avrei voluto vincere la Coppa e andarne fiero dopo una gara normale. Invece, è stato un match di cui nessuno può andare orgoglioso e che mi ha lasciato un enorme dolore”. Boniek donò il premio ricevuto alle famiglie delle vittime.
I ricordi del Trap e la confessione di Andrea Agnelli
Dell’Heysel ha più volte parlato pure Giovanni Trapattoni, all’epoca all’allenatore della Signora. “Ricordi impossibili da cancellare dalla memoria. Ci tennero chiusi nello spogliatoio per un’ora, mentre sentivamo le sirene delle ambulanze e non sapevamo davvero cosa fosse successo. Sapevamo, però, che non c’erano le condizioni per giocare”.
Il Trap ha poi rivelato cosa disse al delegato Uefa che invece ‘li costrinse’ a scendere in campo. “Siete pazzi! Come si può?”. Nel 1985 l’ex presidente della Juventus, Andrea Agnelli, era solo un bambino. Ma in passato ha confessato di aver “fatto fatica a sentire mia quella Coppa”.
