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Lance Armstrong, rivelazioni choc: "L'Italia ha ucciso Pantani"

L'ex campione di ciclismo, che ha ammesso l'uso di sostanze proibite, ha ricostruito la sua vita sportiva e personale in un lungo documentario

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Elisabetta D'Onofrio

Elisabetta D'Onofrio

Giornalista e content creator

Giornalista professionista dal 2007, scrive per curiosità personale e necessità: soprattutto di calcio, di sport e dei suoi protagonisti, concedendosi innocenti evasioni nell'ambito della creazione di format. Un tempo ala destra, oggi si sente a suo agio nel ruolo di libero. Cura una classifica riservata dei migliori 5 calciatori di sempre.

Lance Armstrong, rivelazioni choc: "L'Italia ha ucciso Pantani" Fonte: ANSA

Lance Armstrong ha deciso di puntualizzare ogni cosa, ogni aspetto della sua vicenda sportiva ed umana. In un lungo documentario di tre ore e un quarto, diviso in due puntate di cui vi abbiamo dato una anticipazione, Armstrong ha fornito le risposte dovute all’opinione pubblica e al ciclismo in una lunga intervista rilasciata alla ESPN.

Il documentario-verità di Lance Armstrong: il doping e il tumore

Lance, questo il titolo del documentario-film realizzato da Marina Zenovich, è la storia di un campione (o presunto tale) pronto a tutto pur di primeggiare.

Il primo incontro tra Armstrong e il doping è avvenuto presto, come ha ammesso egli stesso, a circa 21 anni. Lance si affida all’ormone della crescita per vincere il mondiale di Oslo nel 1993: “Mi superavano tutti, mi ero stancato di restare indietro, di uscire sconfitto. Io volevo cominciare a vincere e non fermarmi più. Divenne un’ossessione”.

Ma poi arrivò quella sentenza spaventosa, terribile per chiunque: Lance aveva un devastante tumore ai testicoli e al cervello che oggi mette in relazione con quanto avvenuto prima, ovvero all’uso di sostanze dopanti. Ma questo orrore non lo spronò e non gli impedì, una volta tornato in sella alla sua bici, a evitare il doping: “con l’imbarazzo di non dovermi nemmeno difendermi visto che per tutti ero l’eroe che aveva sconfitto un tumore e quindi al di sopra di ogni sospetto”. Nel 1998 incontrò l’Epo: “Tutti ne facevano uso, era un farmaco che ti faceva andare fortissimo senza rischi per la salute, al contrario degli ormoni che ti facevano crescere le cose buone e quelle cattive, come appunto il tumore”.

Il ritorno alle corse e il senso di onnipotenza

Armstrong lasciò il ciclismo dopo aver vinto sette Tour de France. Si godette la vita, i soldi e il successo per tre anni. Relazioni con artiste importanti dello showbiz americano, come Shirley Crow: “Persi tempi appresso a starlette per le quali lasciai mia moglie e la mia famiglia”, poi decise di tornare nel 2008. Era annoiato e stava guardando il Tour de France in tv: “Stavo benissimo fisicamente e vidi la vittoria di Sastre. Se uno come quello poteva vincere il Tour, lo avrei potuto fare serenamente anche io per l’ottava volta. In pochi appoggiarono la mia decisione”.

Le accuse a Ivan Basso e la verità su Pantani: “L’Italia ha ucciso Marco”

L’accostamento all’Epo dei vari fuoriclasse azzurri, tanto per cominciare. Nel documentario ci sono parecchi video e foto inediti che ritraggono Armstrong sul lago di Como: “L’Italia glorifica Ivan Basso, lo tiene in gran conto gli offre un lavoro e lo invita in tv. Eppure lui non è molto differente da me o Jan Ullrich. L’Italia ha demolito e ucciso Pantani, la Germania disprezza Ullrich ma ama Zabel che pure era dopato. E Pantani è morto, fottutamente morto“.

Affermazioni che Ivan Basso ha commentato e a cui ha replicato, in modo pacato quasi sorpreso. Quando si parla di Italia non può non esserci un grande capitolo dedicato anche al rapporto con il medico Michele Ferrari: “Ho fatto tutto quel che ha detto, avevo cieca fiducia in lui. Tutto ciò di cui avevo bisogno erano i globuli rossi”.

Le lacrime di Armstrong per Ullrich

I momenti di commozione vera, però, giungono quando si è affrontato quanto accaduto a Ullrich. “Sono andato a trovare Jan Ullrich in Germania, nella struttura dove si disintossicava e non è stato affatto un bel viaggio. L’hanno incastrato, Jan, proprio come me. Gli voglio bene, è stata la persona più importante nella mia vita. E’ l’avversario che ho rispettato più di tutti, anzi l’unico. Le nostre storie sono molto simili, a cominciare dalla nostra infanzia difficile. Jan aveva tutto quello che avevo io, una moglie, bambini, tanti soldi ma non è servito a tenere e tutto assieme. Tutto per colpa di questo fottutissimo sport”.

Il figlio Luke David e la famiglia distrutta da Armstrong

Estremamente toccanti sono anche le parole usate dal figlio di Lance, Luke David, che appare nel documentario con una confessione da brividi: “Ho sempre pensato che mio padre col doping non c’entrasse nulla, la sera in cui ha confessato tutto da Oprah avevo 12 anni. Il giorno dopo mia madre mi suggerì di non andare a scuola, di prendermi qualche giorno di riposo. Io non le diedi retta: volevo guardare tutti in faccia”. Impressionante anche la frase che aggiunge il padre: “Luke adesso va al college ed è un talento del football americano. Se volesse parlare con me di doping? Gli direi che doparsi così giovane e a questo punto della sua carriera non conviene. E se mi dicesse che si dopa già? Beh, non saprei cosa rispondergli”.

Armstrong: le tre cose di cui si è pentito

Ma Lance Armstrong si è mai pentito? Solo di tre cose ha mostrato di avvertire il peso. Tre scelte che ha poi pubblicamente in questa intervista definite sbagliate: “Ho rovinato la vita a Emma O’Reilly, la mia massaggiatrice, minacciandola e dandole pubblicamente della prostituta per avermi smascherato. Aveva solo raccontato la verità”. Il secondo: “Ho rovinato la carriera e la vita a Filippo Simeoni, il corridore che denunciò il mio legame col dottor Ferrari. Avrei potuto metterlo in un angolo e minacciarlo, lo feci come un boss mafioso durante la diretta televisiva del Tour”. Il terzo: “Sono stato osceno quando ho piantato mia moglie Kristine e i bambini per flirtare con la starlette di turno. Due giorni dopo aver lasciato casa ero già sulle copertine con un bicchiere in mano”.

Infine Armstrong ricorda anche la sua infanzia, segnata dall’assenza di un padre e dalla violenza di un patrigno, che lo colpiva “per un cassetto lasciato aperto”. “Senza di me Lance non sarebbe diventato un campione, perché l’ho trattato come un animale”, il parere di Terry Armstrong, con il rimpianto di averlo reso “un vincitore a tutti i costi”.

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