Il primo derby della Capitale con Jose Mourinho alla guida della Roma e Maurizio Sarri della Lazio ci mostra come due allenatori possano diventare carismatici e altamente interessanti per i media, con due stili di comunicazione totalmente diversi.
Il primo, Mourinho, ha da sempre curato anche gli aspetti di comunicazione che ruotano attorno al lavoro di allenatore, sia fuori che dentro al campo. Il secondo invece, Maurizio Sarri, è venuto fuori nella lunga distanza, praticamente poco prima del suo approdo al Napoli, quando tutti i media hanno cominciato ad interrogarsi e indagare sulla nuova scommessa di Aurelio De Laurentiis.
È da quel momento, precisamente nell’estate del 2015, che sulle maggiori testate sportive nazionali si è cominciato a creare il mito dell’uomo che aveva abbandonato il posto in banca per allenare, o quella del tecnico con marcate ideologie politiche di sinistra. Di Mourinho invece, all’arrivo in Italia si sapeva già molto, ma col tempo abbiamo imparato a scoprire le grandi doti di innovatore e comunicatore, fino a sviscerarne ogni dettaglio.
Probabilmente, ciò che ha aiutato Mourinho a diventare un grande comunicatore è il mix di esperienze differenti, oltre ad una spiccata intelligenza emotiva. Dopo aver conseguito una laurea in Scienze Motorie ha fatto per due anni il professore di educazione fisica. Quando Nel 1992 Bobby Robson arriva allo Sporting Lisbona dal PSV, serve un interprete e il presidente del club gli affianca un giovane ragazzo di belle speranze: ovviamente si tratta di Mourinho.
Jose Mourinho: l’allenatore più seguito sui social è un vero brand
Dell’allenatore portoghese ex Porto, Inter, Real Madrid, Chelsea, Tottenham e Manchester United si sa quasi tutto dicevamo, forse si sa meno di quanto la sua bravura mediatica impatti anche sui suoi business e su quello del club che allena.
Per Mourinho essere un grande comunicatore e un brand ha significato anche meritarsi i migliori club al mondo, non ultima la Roma che ha scelto il portoghese per un rilancio del progetto tecnico in continuità con la matrice portoghese, ma soprattutto fa questo genere di mossa in un momento in cui il club doveva rinnovare diverse partnership con gli sponsor, oltre a ricenarne di nuovi.
L’appeal di Mourinho ha sicuramente pesato e contribuito a facilitare l’arrivo di DigitalBits e dei 35 milioni di euro per 3 anni di contratto, oltre ad altri nuovi partner internazionali come Uber Eats. Mourinho porta con sé anche un bagaglio social da 2.5 milioni di follower su Instagram, cifra che lo rende l’allenatore più seguito sulla piattaforma per quanto riguarda la Serie A.
Nelle sue pubblicazioni social trasferisce alla perfezione il suo tono di voce adottato nella vita reale, e tra una foto e un’altra racconta alcuni paradossi del calcio moderno, alcuni momenti della sua vita privata e soprattutto esprime pareri su alcune situazioni vissute in campo, non ultima la polemiche sul doppio giallo a Lorenzo Pellegrini che costerà il derby Roma – Lazio al capitano.
Mourinho usa quindi i social anche come ufficio stampa digitale, cosa che gli permette di non subire la comunicazione e la narrazione di altri media, ma anzi governarla e indirizzarla a proprio favore.
Ma per percepire meglio la potenza di fuoco economica del brand Mourinho, bisogna soffermarsi su una questione che ha dovuto comprendere la Roma (e tutte le squadre che lo hanno ingaggiato dopo il Chelsea) per sbloccare il suo arrivo.
Il brand Mourinho è a tutti gli effetti un marchio registrato in Unione Europea, negli Stati Uniti e anche nel Regno Unito, oltre che in altri stati come Malesia, Australia, Cina e Norvegia. Il marchio Il marchio José Mourinho è stato però ceduto dal portoghese e registrato dal Chelsea nel marzo del 2005, a metà della sua prima stagione alla guida dei blues. Il Chelsea può ancora oggi usufruire e sfruttare con scopi commerciali il nome del tecnico portoghese per marketing e merchandising fino al 31 marzo 2025. Un dettaglio non da poco per un club come la Roma dotato di una Media House per la creazione di contenuti, e che con lo Special One avrà intenzione di valorizzare un asset social così importante.
Successivamente la scadenza della licenza da parte del Chelsea, il portoghese potrà riacquistare il suo marchio assicurandosi diverse attività commerciali a fine carriera da allenatore, allungandone così quella da businessman, anche grazie ai social media.
Questo è un chiaro esempio dei vantaggi di una comunicazione gestita e combinata con le “nuove” piattaforme digitali.
Maurizio Sarri: il Sarrismo e l’assenza di un brand
Maurizio Sarri ha deciso di non frequentare i social “per scelta di vita”, come ha ribadito lui stesso in un’intervista del 2020.
Una scelta comprensibile, ma che crea un paradigma di comunicazione social non indifferente: quando un brand esiste e non è sui social, questo non può intervenire nelle conversazioni per smorzare una crisi.
Così non farà altro che subire ulteriormente una crisi magari creata offline, oppure in caso contrario non potrà giovare e monetizzare in momenti favorevoli. Un atteggiamento passivo quello di Sarri che non ha evitato la nascita e la proliferazione del suo brand, del suo marchio informalmente denominato Sarrismo.
Un’ideologia che ha tutte le forme di un brand: ha dei valori, un leader plausibile, un tono di voce ben definito e una community che nel tempo si è estesa e ha fatto lo stesso con i valori predominanti.
In tempi non sospetti il Sarrismo è diventato anche un termine riconosciuto sul dizionario dalla Treccani.
Tutto ciò è valso a Sarri la costruzione da zero di una narrazione altamente monetizzabile, ma che l’allenatore toscano non realizza per scelta personale. Lo hanno fatto invece i club che ha allenato che attorno alla sua idea di gioco e quindi al Sarrismo, ci hanno costruito diversi contenuti per ottenere l’attenzione dei tifosi e alzare le aspettative.
È stato così quando il Chelsea ha scelto Sarri come allenatore presentandolo con un video in cui veniva raccontata storia e filosofia del tecnico, così come lo è stato alla Lazio. Anche la Juventus aveva impostato almeno inizialmente comunicazione e contenuti tenendo fede alla filosofia Sarrista. Nella prima parte di stagione la Juventus proponeva newsletter focalizzate sui numeri ottenuti dalla prestazione della squadra, o grafiche con le heat map di alcuni calciatori, sinonimo del cambio di approccio nel gioco ma soprattutto contenuti monetizzati dal club.
Le storie di Mourinho e Sarri sono quasi agli antipodi, proprio come la loro comunicazione.
Articolo a cura di Luigi Di Maso