L’11 febbraio del 1998 il Cile fa visita all’Inghilterra nel vecchio Wembley per un’amichevole. Al mondiale in Francia mancano pochi mesi e i sudamericani sono dati dall’opinione pubblica come una delle possibili rivelazioni del torneo. Inserita nello stesso girone dell’Italia, la Roja può contare su una delle coppie d’attacco più temibili del panorama internazionale.
Il leader carismatico di quella squadra è Ivan Zamorano, centravanti dell’Inter con un passato nel Real Madrid. A Wembley, però, il giocatore più atteso è la sua spalla, Marcelo Salas. Quella sera, infatti, ad osservare la partita tra Inghilterra e Cile non ci sono solo i tifosi delle due nazionali, ma anche i dirigenti della Lazio. Salas già da un paio d’anni è uno dei nomi più interessanti del mercato sudamericano e qualche giorno prima Cragnotti è riuscito a metterlo sotto contratto.
Col passare del tempo, le amichevoli tra nazionali hanno perso il loro fascino. Oggi i palinsesti delle varie piattaforme offrono partite di qualsiasi campionato in qualsiasi giorno della settimana e siamo di fronte ad un periodo di vera e propria saturazione di calcio trasmesso in tv. Con Internet, poi, conosciamo anche i giocatori e le squadre più esotiche. Una volta, però, non era così e il calcio delle nazionali era anche l’occasione per scoprire dei nomi nuovi, di cui magari si sapeva qualcosa solo per sentito dire. Salas aveva già la fama del campione in Sud America, ma quell’Inghilterra-Cile era l’occasione per osservarlo dal vivo in Europa e rendere un po’ meno rarefatta la sua figura.
Con gli occhi del mondo laziale addosso, il Matador non delude. Verso la fine del primo tempo il Cile ha la palla sulla fascia sinistra. Il numero dieci Acuna alza la testa e disegna un lancio di cinquanta metri. Salas scatta alle spalle del centrale, calcola al millesimo i giri del pallone, frena sul limite dell’area e ammortizza il lancio con uno stop di coscia da centravanti col pedigree. Senza lasciar rimbalzare la sfera, il cileno stende il sinistro, colpisce di collo pieno e supera Seaman. Un gol da fuoriclasse, nel controllo e nella velocità d’esecuzione, che convince qualsiasi laziale della bontà dell’acquisto.
Qualora non fosse bastato, verso la fine del secondo tempo Salas punta Sol Campbell sul lato corto dell’area: un abbozzo di doppio passo, una sterzata, il centrale dell’Arsenal si spazientisce e commette fallo da rigore, naturalmente trasformato. Qualche ora più tardi, a Santiago del Cile, era previsto un concerto degli U2. La band irlandese – popolo non proprio amico degli inglesi per usare un eufemismo – avrebbe proiettato sullo schermo alle spalle del palco proprio i gol del Matador a Wembley, in una vittoria, a quel punto, già diventata storia della nazionale cilena visto il prestigio di stadio e avversari. Inizia dunque con una doppietta in uno dei templi del calcio internazionale l’avventura italiana di uno degli attaccanti più forti del periodo d’oro della Serie A.
- Gli inizi in Sud America di Salas
- La beffa del primo anno: gli inizi di Salas
- La svolta di Montecarlo di Salas e lo scudetto
- I dolori dell’esperienza juventina
- Il palmares di Marcelo Salas
Gli inizi in Sud America di Salas
Nato e cresciuto a Temuco, nel sud del Cile, per Salas la svolta arriva da adolescente, quando si trasferisce a Santiago, nella capitale, per iniziare a giocare nelle giovanili dell’Universidad de Chile. Esordisce in prima squadra nel ‘93 e già qualche mese più tardi, a nemmeno vent’anni, si conquista un posto nella storia del club. La U non vinceva un campionato da venticinque anni. In quel momento, la squadra da battere erano gli acerrimi rivali del Colo Colo. Ad aprile del ‘94, Salas disputa il suo primo derby. All’Estadio Nacional, la U supera il Colo Colo per 4-1.
Salas firma una tripletta e si procura un rigore. La Universidad de Chile vince il torneo di Clausura e a maggio dello stesso anno per Salas arriva l’esordio in nazionale (ovviamente, bagnato col gol in un pareggio per 3-3 con l’Argentina). Già dopo un anno di carriera l’attaccante di Temuco è diventato una speranza per tutti i cileni. Nel suo paese fa in tempo giusto a vincere un altro campionato, quello successivo.
Un giocatore così, però, non può non attirare le attenzioni dei grandi del Sud America. Per il passo successivo della sua carriera è decisivo l’incontro col procuratore argentino Gustavo Mascardi. Mascardi è ancora oggi un nome di punta del mercato latinoamericano. È stato lui, qualche anno fa, a scoprire Dybala e durante la stagione 2021/22 ha fatto da mediatore per il passaggio del Genoa da Preziosi a 777 Partners. Entrato in possesso del cartellino di Salas, prova subito a cederlo in Argentina. All’inizio sembrava che la punta dovesse andare al Boca. Pare, però, che Bilardo, allora allenatore degli xeneizes, fosse diffidente nei confronti dei cileni e che, per sicurezza, preferisse avere Salas solo in prestito. Per l’ex Universidad de Chile si era trattato di un affronto. Così aveva rifiutato ogni trattativa col Boca e a spuntarla, alla fine, erano stati i rivali del River Plate.
Salas arriva al Monumental per sostituire Hernan Crespo, fresco di doppietta in finale di Libertadores e di successivo trasferimento al Parma. I millionarios allenati da Ramon Diaz sono una delle squadre più forti di tutto il mondo, una delle migliori della storia del Sud America, noti in Italia per aver perso la finale di Coppa Intercontinentale contro la Juventus di Lippi. L’undici iniziale poteva vantare giocatori del calibro di Ayala, Sorín, Ortega ed Enzo Francescoli.
Nemmeno Diaz, come Bilardo, all’inizio sembra nutrire troppa fiducia in Salas, anche per via della presenza, nello stesso ruolo, di un giovane Julio Ricardo Cruz. Poi, però, a settembre del ‘96 arriva il Superclasico. Salas parte da titolare e gioca con l’ardore di chi vuole far pentire chi non ha creduto in lui. Alla fine il Boca vince per 3-2, ma il cileno segna il suo primo gol con la maglia del River. È l’inizio di una storia gloriosa, che gli avrebbe portato in bacheca due campionati di Clausura, uno di Apertura e una Supercoppa Sudamericana, dove segna una doppietta nella finale contro il San Paolo. Nel 1997 i gol e le prestazioni gli valgono il Pallone d’Oro sudamericano.
È così che Salas attira le attenzioni della Lazio, che all’inizio di febbraio ‘98 lo mette sotto contratto. Ulteriori conferme sulla bontà dell’acquisto sarebbero arrivate non solo dall’amichevole di Wembley, ma anche dal mondiale francese. Alla prima partita del girone tra Italia e Cile, Salas firma una doppietta. Il secondo gol, in particolare, è un gioiello, con il Matador che sovrasta un difensore dall’elevazione eccezionale come Fabio Cannavaro e di testa supera Pagliuca.
La beffa del primo anno: gli inizi di Salas
Al momento del suo arrivo nel nostro paese, Salas incuriosisce i giornalisti per via delle sue origini. L’attaccante della Lazio, infatti, appartiene all’etnia Mapuche, discendente dagli araucani, guerrieri indios che per due secoli erano riusciti a resistere ai conquistadores spagnoli.
La particolare storia degli antenati di Salas attira fiumi di inchiostro. Alla fine degli anni ‘90, si sprecano i paragoni tra il modo di giocare del centravanti e il carattere guerriero dei suoi avi. Il numero nove biancoceleste è orgoglioso delle sue origini, ma non ci tiene a diventare carne da retorica: «Non mi voglio mettere a fare l’elegia esagerata delle mie radici. Ci sono, contano, guai a chi le calpesta, ma non devono diventare uno stupido ritornello». È un tipo schivo Salas, non ama molto le telecamere e i microfoni. Qualcuno al suo arrivo gli chiede addirittura di Pablo Neruda, altro cittadino illustre di Temuco, ma lui si schermisce e ammette di non averlo mai letto: «Mi scuso della mia ignoranza, ma non voglio sembrare quello che non sono, mi fa sentire a disagio».
Forse è anche per via della sua riservatezza che l’ambientamento alla Serie A, in un primo momento, non è così agevole. Salas, in particolare, deve prendere le misure ai difensori del nostro campionato. Le marcature, rispetto all’Argentina, sono molto più strette e i centrali dell’epoca non fanno complimenti se si tratta di picchiare. Alla quinta giornata, in un Inter-Lazio vinto dai biancocelesti per 5-3 a San Siro, Salas segna il suo primo gol, ma è costretto a lasciare il campo dopo appena un quarto d’ora per via di un’entrataccia di Colonnese sulla sua caviglia sinistra.
Qualche giornata dopo, contro il Milan, riceve un trattamento speciale da Billy Costacurta. La Lazio perde e Salas ai microfoni sbotta: «Non reclamo mai, ma quanto accade in Italia è veramente troppo. E non si tratta di marcature più o meno dure. Semplicemente, vi è solo cattiva intenzione. Fin dall’inizio mi sono trovato di fronte al fatto che Costacurta mi colpiva in continuazione. Falli che mi hanno lasciato perplesso perché erano sempre contro la mia caviglia infortunata».
Nonostante le marcature, però, a novembre Salas si sblocca. I gol iniziano ad arrivare tutti in una volta, come il dentifricio rimasto sul fondo del tubetto. Di particolare valore le reti segnate nel derby con la Roma e contro la Juve. Al “Delle Alpi”, il cileno esegue una giocata da fuoriclasse: Conceicao crossa dalla destra, Salas si smarca sul secondo palo alle spalle di Iuliano, controlla di petto e, mentre il difensore gli va addosso, col sinistro gli toglie la palla da sotto il naso e con una sterzata gliela fa passare in mezzo alle gambe. Così, beffa anche il portiere, che dopo lo stop di petto si aspettava il tiro immediato. Salas, invece, supera entrambi e segna a porta vuota. Col Matador nel suo miglior periodo di forma la Lazio vola e sembra destinata a vincere lo scudetto.
Poi, però, in primavera la fatica comincia a farsi sentire. Salas segna pochissimo, qualcuno lo sbeffeggia per la sua forma fisica. Alla fine, la Lazio vince la Coppa delle Coppe contro il Maiorca, ma in campionato sperpera il proprio vantaggio e si fa rimontare dal Milan di Zaccheroni, che si porta a casa il titolo.
La svolta di Montecarlo di Salas e lo scudetto
L’opinione pubblica italiana, si sa, è poco paziente, così alla fine del suo primo anno a Roma, Salas si ritrova in discussione. La sliding door, però, arriva nell’estate del ‘99, a Montecarlo, dove Lazio e Manchester United si giocano la Supercoppa Europea. Salas parte dalla panchina, ma dopo venti minuti Simone Inzaghi si becca una gomitata da Stam, che lo lascia tramortito a terra con la maglia intrisa di sangue.
Inzaghino non può proseguire, così Eriksson inserisce il cileno. Una scelta vincente: alla mezz’ora Roberto Mancini, in avvitamento di testa, indirizza il pallone sul limite dell’area. Salas controlla di petto e senza lasciar cadere la sfera, prima che arrivi Stam, calcia di sinistro e piega le mani al portiere. La Lazio vince per 1-0. Ferguson a fine partita non usa mezze misure per definire i biancocelesti: «Abbiamo perso contro la squadra più forte del mondo».
È l’inizio di una stagione trionfale, dove Salas offre tutto il meglio del proprio repertorio. In Serie A segna dodici gol in ventotto presenze, miglior marcatore della Lazio. Il cileno è un attaccante particolare: alto appena un metro e settantatré, tarchiato, nonostante le apparenze fisicamente non ha nulla da invidiare a centravanti ben più grossi. Nessun difensore ha gambe più esplosive delle sue quando si tratta di saltare sui cross.
Il suo soprannome è Matador, ma il collo è largo come quello di un toro e ogni volta che lo torce per colpire il pallone riesce ad imprimere delle frustate impressionanti, come se stesse colpendo di piede e non di testa. Contro il Milan all’Olimpico, in un pareggio per 4-4 che forse è la partita simbolo del periodo d’oro della Serie A, segna di testa addirittura dal limite dell’area, con un’incornata che trasforma un lento cross di Conceicao in una palla di cannone impossibile da prendere per Abbiati.
Il fisico minuto, poi, lo rende agilissimo all’interno dell’area di rigore, dove i difensori sembrano troppo grossi e lenti per poter reagire alle sue mosse. In più, se non arrivano i palloni, a Salas piace staccarsi incontro per ricevere sulla trequarti e fare da rifinitore. Da ragazzino aveva giocato alle spalle delle punte e l’esperienza di quei giorni gli torna utile in un campionato con pochi spazi come la Serie A: sono soprattutto Nedved e Simone Inzaghi, abili ad attaccare la profondità, ad avvalersi del suo lavoro di raccordo.
Il 15 maggio, all’ultima giornata, mentre la Juventus rimane impantanata, letteralmente, a Perugia, la Lazio vince lo scudetto e vendica la delusione dell’anno prima. Salas è definitivamente uno dei volti di copertina del miglior campionato al mondo.
I dolori dell’esperienza juventina
Nonostante l’amore dei tifosi, il cileno rimane alla Lazio solo per un’altra stagione. Gli arrivi di Claudio Lopez ed Hernan Crespo gli tolgono sempre più spazio. Ad attenderlo, però, c’è un’altra grande opportunità: Luciano Moggi lo vuole alla Juventus, e riesce a portarlo a Torino per venticinque miliardi di lire più il cartellino di Kovacevic. Pare che Salas fosse un’espressa richiesta di Lippi, che aveva già provato ad acquistarlo all’Inter. Nella Juventus la concorrenza è altrettanto agguerrita, perché davanti a lui ci sono Trezeguet e Del Piero. Però il club bianconero può rappresentare l’occasione della vita. Purtroppo per Salas, difatti, l’esperienza al “Delle Alpi” dura giusto un paio di mesi di campionato.
I tifosi bianconeri lo ricordano soprattutto per l’errore dal dischetto nel derby contro il Toro, quello che è passato alla storia per la buca di Maspero, che avrebbe generato il tiraccio di Salas (anche se il cileno non ha mai voluto usarla come scusa «Non credo che sbagliai per colpa del suo intervento. Tirai male e basta»). Era il 14 ottobre 2001. Sei giorni più tardi, il 20 ottobre, a Bologna, la gamba destra di Salas resta piantata per terra: lesione del legamento crociato anteriore e anche di un paio di menischi. «È stata la settimana più brutta della mia carriera, forse della mia vita», avrebbe ammesso.
Sarebbe tornato solo durante la stagione successiva, giusto per trovare un gol liberatorio in una sofferta vittoria contro l’Udinese. L’esperienza juventina si sarebbe conclusa sì con due scudetti, ma anche con la miseria di due gol in diciotto partite totali di campionato. A posteriori, nel giudizio dei tifosi, pesa anche il suo veto nello scambio con lo Sporting Lisbona che, si dice, avrebbe dovuto portare alla Juventus un giovane Cristiano Ronaldo.
Alla fine della stagione 2002/03, Salas fa le valigie, saluta l’Italia e torna in Argentina, al River Plate. Aveva appena trent’anni, un’età in cui di solito un centravanti riesce a fare tesoro dell’esperienza per sopperire al decadimento fisico. Per un giocatore con le caratteristiche del cileno, però, la rottura del crociato è stato un ostacolo impossibile da superare. Salas ha mantenuto la sua astuzia sotto porta, ma non ha potuto più contare sull’esuberanza fisica che gli permetteva di fare la differenza e di rivoltare contro i difensori la sua statura all’apparenza minuta. Il miglior Salas, però, resterà per sempre uno degli attaccanti più letali della storia recente della Serie A.
Il palmares di Marcelo Salas
- Campionato cileno: 2 (Universidad de Chile 1994, 1995)
- Campionato argentino: 4 (River Plate, Apertura 1996, Clausura 1997, Apertura 1997, Clausura 2004)
- Supercoppa italiana: 3 (Lazio 1998, 2000, Juventus 2002)
- Campionato italiano: 3 (Lazio 1999/00, Juventus 2001/02, 2002/03)
- Coppa Italia: 1 (Lazio 1999/00)
- Supercoppa sudamericana: 1 (River Plate 1997)
- Coppa delle Coppe: 1 (Lazio 1998/99)
- Supercoppa UEFA: 1 (Lazio 1999)