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Darko Kovacevic: l’anno in cui il serbo e la Real Sociedad sfiorarono la gloria

La storia della stagione in cui Darko Kovacevic e la Real Sociedad divennero quasi campioni di Spagna contro il Real Madrid dei Galacticos.

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Emanuele Mongiardo

Emanuele Mongiardo

Giornalista

Emanuele Mongiardo, nato a Catanzaro, fan dell'hip hop, di Joe Pesci e dei film di Martin Scorsese in generale. Scrivo di calcio in giro.

Darko Kovacevic: l’anno in cui il serbo e la Real Sociedad sfiorarono la gloria Fonte: Imago Images

Quanto è cambiato il ruolo del centravanti nel calcio moderno. Le punte, ormai, devono essere giocatori universali, capaci di offrire il proprio contributo in ogni fase del gioco, un’evoluzione culminata nel Pallone d’Oro di Benzema. C’è stata un’epoca, però, in cui gli attaccanti non per forza dovevano partecipare alla manovra. Un periodo non troppo lontano, all’inizio degli anni duemila, dove Darko Kovacevic era uno dei numeri nove di culto del panorama europeo.

Sono passati vent’anni esatti da quando questo calciatore serbo quasi sfilava il titolo di campione di Spagna al Real Madrid dei Galacticos. Kovacevic era l’ariete della Real Sociedad di Reynald Denoueix, una delle squadre simbolo di quell’epopea della Liga in cui anche società di secondo piano riuscivano a competere per il titolo: nel 2002/03 i baschi lo avevano contesto fino all’ultima giornata al Real Madrid dei Galacticos.

Oggi, la Real Sociedad rappresenta uno dei progetti più virtuosi del calcio spagnolo, costruito sui giovani e sempre capace di competere per la qualificazione in Europa. I fasti del passato, però, sono lontani, e per la società di Donostia lottare per il primo posto sarebbe pura utopia. I padroni del calcio moderno non prestano nessuna attenzione ai personaggi di contorno e, anzi, sembrano intenzionati a sopprimerli, come dimostra il tentativo di dar vita alla Superlega. In un’epoca in cui la biodiversità del calcio è più a rischio che mai, allora, diventa doveroso preservare storie come quella di Darko Kovacevic e della sua Real Sociedad quasi campione della Liga.

Darko Kovacevic, il centravanti lavoratore

Kovacevic è nato nel 1973 a Kovin, città della Voivodina ed è lì, nel nord della Serbia, che ha iniziato a muovere i suoi primi passi nel calcio. Esordisce infatti tra i professionisti con la Proleter Zrenjanin, squadra locale nel cui nome è già racchiuso il suo stile. Ci sono pochi orpelli nel calcio di Kovacevic, il suo è un modo di stare in campo votato puramente all’efficacia, frutto della consapevolezza dei propri limiti. Se la tecnica è il pane dei ricchi, allora i centimetri, l’intensità e la furbizia sono gli arnesi di chi coi più forti vuole competere pur non avendo gli stessi mezzi.

Prima che una minaccia per i portieri, Darko Kovacevic è stato innanzitutto un centravanti lavoratore, disposto a mettere a disposizione tutto il suo metro e novanta d’altezza per i compagni. Il serbo contendeva agli avversari ogni campanile ed era sempre disposto a pressare i difensori e a rientrare. Queste qualità, unite ad un buon numero di gol segnati in patria, gli avevano permesso di girovagare tra Inghilterra, Spagna e Italia. In Serie A aveva conquistato l’affetto dei tifosi della Juventus. Kovacevic si era ritagliato il suo posticino in una squadra dove la concorrenza portava i nomi di Del Piero e Pippo Inzaghi.

Una sua doppietta a San Siro contro l’Inter, nella primavera del 2000, aveva illuso il popolo bianconero di poter vincere lo scudetto; qualche settimana dopo, ci avrebbero pensato la pioggia di Perugia e Alessandro Calori a scucire il tricolore alla squadra di Ancelotti. Dopo la delusione del “Curi”, Kovacevic sarebbe passato alla Lazio in uno scambio con Marcelo Salas. L’avventura a Roma, però, è breve e deludente. Così, a dicembre 2001 il serbo se ne torna in Spagna, alla Real Sociedad, dove aveva già giocato dal 1996 al 1999.

A Donostia, Kovacevic era già un eroe locale, con 41 gol in 98 partite di Liga. Nel giorno del suo rientro ad “Anoeta”, ci sono cinquemila tifosi ad accoglierlo. In quel momento la Real viveva un periodo di crisi nera. La squadra era penultima e doveva lottare per salvarsi. Kovacevic segna otto gol in diciannove presenze, i baschi mantengono la categoria e pongono le basi per la stagione successiva.

Darko Kovacevic con la maglia dell'Olympiakos Fonte: Getty Images

Kovacevic nella Real Sociedad di Reynald Denoueix

Nell’estate del 2002 la dirigenza della Real Sociedad cambia le carte in tavola. Via un nome noto della Liga come John Toshack, sulla panchina si siede un francese, Reynald Denoueix, che due stagioni prima aveva condotto il piccolo Nantes alla vittoria della Ligue 1.

Durante il ritiro estivo, Doineaux ha un’intuizione decisiva. Un mese dopo Kovacevic, la Real Sociedad aveva acquistato anche Nihat Kahveci, estroso furetto turco alto poco più di un metro e settanta. Toshack lo aveva sacrificato sulla fascia, drenandone così il contributo in fase offensiva. Doineaux, però, lo vuole al centro del suo attacco, di fianco a Kovacevic. I due avrebbero composta la più classica delle coppie da 4-4-2, il manifesto di un calcio che non c’è più: il centravanti alto e possente, predatore d’area, e la seconda punta piccola e creativa, libera di svariare per arrivare in porta da lontano.

Nihat era il giocatore più talentuoso della Real Sociedad, dotato di un primo controllo mortale, di dribbling e di un destro al tritolo dalla lunga distanza. Kovacevic, però, era il giocatore più importante, non solo il finalizzatore, ma anche il cuore del sistema di Doineaux. Il serbo aveva caratteristiche tali da condizionare tutte le fasi di gioco: la sua altezza era utile sui cross, ma anche per giocare in maniera diretta con i lanci.

Il portiere della Real, ad esempio, era Sander Westerveld, olandese ex Liverpool dotato di un rinvio lunghissimo, sia con i piedi che con le mani. Senza alcuna ambizione di costruire sul corto, la Real spesso si affidava ai lanci del suo portiere su Kovacevic. Ci avrebbe pensato il serbo a fare la guerra con gli avversari e a spizzare verso i compagni, preferibilmente per Nihat tra le linee o in profondità per gli inserimenti dei centrocampisti.

Kovacevic era così dominante che, per la Real Sociedad, anche una rimessa laterale poteva diventare una chiara occasione da gol. Lui, sornione, si appostava vicino al primo palo e col fisico imponente teneva a bada il marcatore. Così, il terzino batteva la rimessa laterale lunga direttamente su di lui, che poi prolungava il pallone sul secondo palo. Kovacevic aveva un modo tutto suo di partecipare alla manovra: i grandi attaccanti di oggi lo fanno col palleggio, lui con le sportellate e i colpi di testa, grazie ai quali portava di peso la sua squadra in zone pericolose di campo. La sua altezza, unita al fatto di giocare con i polsini, più che ad un centravanti lo faceva somigliare ad uno di quei centri NBA abituati a fare la guerra sotto canestro.

Kovacevic: non solo attaccante

Senza dimenticare, poi, la sua attitudine in fase difensiva, che El Pais descriveva così: «Kovacevic possiede indubbiamente un merito. È un attaccante per nulla pigro, che non si sente umiliato ad abbassarsi fino a centrocampo per recuperare palloni». A riprova della sua attitudine, alla fine della stagione 2002/03 il serbo sarebbe stato il giocatore della Real Sociedad con più falli commessi in campionato, una rarità assoluta per un attaccante, specie in quell’epoca. Insomma, una sorta di Mario Mandzukic ante litteram.

Oltre il sacrificio, quella stagione, però, rappresenta la migliore della carriera dell’ex Juve anche dal punto di vista realizzativo, con 20 gol in 36 presenze. La squadra si appoggiava al lavoro sporco del suo numero nove e lui, a sua volta, approfittava di un sistema che ne agevolava le qualità in area di rigore. Kovacevic, ovviamente, amava segnare di testa e sapeva colpire senza preavviso.

Tante volte, su cross all’apparenza poco pericolosi, i portieri uscivano sicuri di bloccare la palla; lui saltava più in alto di tutti, li ingannava, e li faceva andare a vuoto, costringendoli a rimediare figure meschine (ci è cascato anche un fuoriclasse come Peruzzi, nel già citato Inter-Juve del 2000). Da attaccante vecchio stampo, poi, sapeva nascondersi alle spalle dei difensori, per comparire dal nulla sul primo palo e anticiparli.

Il gioco della Real Sociedad era estremamente asciutto, senza troppi passaggi intermedi, votato a creare più cross dal fondo possibile per esaltare le qualità di Kovacevic. Xabi Alonso, ventenne regista di quella squadra, lo aveva descritto così in una meravigliosa intervista ad Ecos del Balon.

«Avevamo due catene di fascia impressionanti e due punte impressionanti. Non eravamo la squadra che teneva di più il possesso o che aveva più gioco associativo in zone interne, né avevamo calciatori con tanti registri di gioco. Il nostro gioco era molto diretto, si sviluppava per vie esterne. Si arrivava sul fondo o con gli interni o con i terzini, perché avevamo Aranzabal e “Bomba” Lopez Rekarte che erano ottimi in conduzione e sapevano associarsi, cosa fondamentale nel calcio. E poi, Darko e Nihat si intendevano alla perfezione, quell’anno era un miracolo il modo in cui funzionavamo. Avevamo quasi vinto la Liga con la Real, qualcosa di utopico. Si trattava di costruire sinergie, più che di automatismi creati in allenamento. Era tutto molto istintivo».

I migliori alleati di Kovacevic, in questo senso, erano gli esterni di centrocampo, Valeri Karpin a destra e il numero dieci De Pedro a sinistra. Due laterali a piede naturale, interessati soprattutto ai cross, una razza ormai estinta nel calcio di oggi – come quei 4-4-2, d’altronde. De Pedro, in particolare, era un vero specialista e ancora oggi Kovacevic ricorda con piacere i suoi traversoni: «Oggi non esiste un De Pedro che metta quei palloni incredibili.

Con lui, un attaccante doveva solo muoversi e colpire bene. Mi bastava spostarmi di un metro e la palla mi sarebbe arrivata. Mi conosceva alla perfezione, era molto intelligente in campo. Ho giocato con alcuni dei migliori al mondo, ma De Pedro per un attaccante era straordinario, perché sapeva come mi sarei mosso e mi cercava. Per lui, dare un assist era come segnare un gol».

Darko Kovacevic gioca con la Real Sociedad Fonte: Getty Images

Il sogno del 2002/03: Kovacevic e la Liga

Ai nastri di partenza della Liga 2002/03, la concorrenza per la vittoria finale è più agguerrita che mai. Il Real Madrid a Zidane, Figo e Raul ha sommato un altro galactico, Ronaldo Nazario, fresco di vittoria al mondiale. Il Barcellona, invece, riparte da Luis van Gaal e da un nuovo numero dieci, Juan Roman Riquelme: la relazione, come sappiamo, non sarà delle migliori e i catalani non riusciranno a competere per il titolo. Ci sono poi il Valencia di Benitez, che avrebbe vinto il campionato successivo, e il Super Depor di Roy Makaay, capocannoniere a fine stagione.

La Real Sociedad parte tra le squadre in lotta per la Champions, ma ha un inizio di torneo brillante. Kovacevic segna cinque gol nelle prime tre partite, tra cui un poderoso stacco di testa in mezzo ai difensori del Betis, in una partita spettacolare conclusa 3-3. Alla sesta giornata, i baschi si issano al primo posto, mentre il Real Madrid vive un inizio di stagione altalenante. Alla decima giornata arriva lo scontro diretto al Bernabeu. Westerveld mantiene la porta intatta e gli uomini di Denoueix portano a casa un incoraggiante 0-0.

La Real non abbassa gli occhi davanti a nessun avversario e alza la voce anche contro le grandi. Una delle prestazioni più brillanti arriva a dicembre, vittoria casalinga per 2-1 contro il Barcellona, una partita che fa capire al grande pubblico che Kovacevic e compagni fanno sul serio per la lotta al titolo. La Real Sociedad brutalizza il Barcellona di van Gaal, che non riesce a tenere testa alla fisicità degli avversari. Troppo più intensa la squadra di Denoueix, che recupera palloni su palloni e bombarda la difesa blaugrana. Kovacevic è ispiratissimo. I difensori non riescono a contendergli il pallone. Su ogni lancio, mette a terra la palla e manda in porta i compagni.

In maniera inaspettata, però, il Barça passa in vantaggio per puro caso: un tiro innocuo di Kluivert rimbalza sul terreno accidentato, la palla inganna il portiere, sbatte sul palo e poi sulla schiena del goffo Westerveld, che in maniera involontaria la manda in porta. La Real, però, non si demoralizza. È una grande squadra, mantiene il controllo, e riprende ad attaccare a testa bassa. Su una punizione quasi da centrocampo di Xabi Alonso, Kovacevic si smarca sul secondo palo, sfugge alla marcatura di Thiago Motta, raccoglie il cross e di testa firma il pareggio.

Poi, a inizio ripresa, su un contropiede scatta in profondità; De Pedro prova a servirlo sulla corsa, il terzino del Barcellona devia il passaggio in maniera sciagurata e lo indirizza proprio sui piedi del croato, che con un pallonetto scavalca il portiere in uscita. Suona strano dirlo, ma Kovacevic amava tentare gli scavetti, una soluzione raffinata, che quasi stride col resto del repertorio di un attaccante così spigoloso.

Fino a fine febbraio, la Real avrebbe mantenuto saldamente il primo posto. A marzo, però, il Real Madrid, trascinato dai gol di Ronaldo, riesce a completare il sorpasso. La squadra di Denoueix rimane in scia, ma alla ventisettesima giornata arriva la partita che, secondo Kovacevic, avrebbe deciso, in negativo, la stagione del club di Donostia.

Quando gli chiedono dove la Real Sociedad abbia perso il titolo, il serbo non ha dubbi: «Per me ci è sfuggito nella partita contro il Villarreal ad “Anoeta”. Eravamo sopra 2-0 e abbiamo pareggiato 2-2. stavamo vincendo grazie a una mia doppietta. Mi hanno sostituito all’87’, e nel pieno di un’ovazione enorme, quasi senza essere uscito dal campo, ci fanno il 2-1. Nel recupero segnarono il 2-2, stavo già rientrando negli spogliatoi. Non ci potevo credere. Se avessimo vinto, saremmo diventati campioni».

Il racconto di Kovacevic è struggente, soprattutto nel dettaglio del pubblico in piedi ad applaudirlo mentre il Villarreal accorcia le distanze. È probabile, però, che non sia stata quella la partita decisiva.

La Real, infatti, sarebbe tornata in testa alla trentacinquesima giornata, grazie ad un 3-1 contro il Maiorca di Eto’o. Nel mezzo, era arrivata anche la vittoria nello scontro diretto col Real Madrid. Un 4-2 senza appello, dove solo una prestazione sopra le righe di Casillas aveva evitato l’umiliazione per le merengues. Kovacevic, manco a dirlo, aveva segnato una doppietta: il Real Madrid è sempre stato il suo avversario preferito, ha segnato ben 10 gol in 17 confronti con i blancos, sintomo di un giocatore capace di selezionare bene le squadre a cui far male.

Recuperato il primo posto, per la Real si tratta di mantenere le distanze. Alla trentaseiesima, però, ecco il dramma. Ad “Anoeta” arriva il Valencia. I baschi passano in vantaggio alla mezz’ora con un gol di testa di Xabi Alonso. Ma un paio di minuti più tardi, Karpin regala una punizione ingenua sulla trequarti. Il Valencia con uno strano schema libera al tiro Reveillere, un difensore, che calcia piuttosto male; la palla, però, schizza sulla coscia di un difensore basco, che la indirizza in porta. In quello stesso turno il Real Madrid aveva pareggiato 1-1 contro il Celta Vigo: con una vittoria, la Real avrebbe ipotecato il titolo.

La vera tragedia si consuma alla giornata successiva. Ancora una volta di mezzo c’è il Celta Vigo, alla ricerca del quarto posto Champions. I galiziani passano in vantaggio con Mostovoi. La Real si riversa all’attacco, ma al 40’ Kovacevic riceve un violento colpo al piede. Il dolore è troppo forte, il serbo non può continuare. Nella sua testa, probabilmente, riaffiorano i fantasmi del diluvio di Perugia di tre anni prima.

La Real Sociedad affronta la partita più importante della propria storia senza il proprio totem. La gara finisce 3-2 per il Celta, doppietta di Mostovoi e gol dell’egiziano Mido, nomi tra i più evocativi di quell’epoca. All’ultima giornata, vale poco la vittoria per 3-0 contro l’Atletico Madrid. Il Real Madrid di Del Bosque si laurea campione di Spagna e strappa l’ultima pagina di una delle storia più belle che avrebbe potuto regalarci il calcio.

La Real Sociedad non sarebbe tornata mai più su quei livelli. Quattro stagioni più tardi, sempre con Kovacevic in attacco ma senza nessuno dei suoi scudieri, sarebbe addirittura retrocessa in Segunda Division. Il serbo, che avrebbe voluto rimanere, sarebbe stato costretto a partire. Avrebbe firmato per l’Olympiacos, club di cui è divenuto presto leggenda. È stata stupefacente la sua capacità di conquistare il cuore dei tifosi: anche gli juventini, che lo hanno visto relativamente poco, continuano a ricordarlo con simpatia. Con un giocatore così trascinante, disposto, per sua bocca, a mettere la testa dove gli altri non avrebbero messo la gamba, non avrebbe potuto essere altrimenti.

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