Gli esperti dal gusto un retrò lo chiamano ‘gol olimpico’. Un nome che si perde nelle nebbie del tempo, che ci fa tornare fino a quasi un secolo fa: nel 1924 l’Argentina affronta in amichevole gli acerrimi rivali dell’Uruguay, campioni olimpici in carica, e Cesareo Onzari segna il gol decisivo tirando direttamente da calcio d’angolo. Da lì si apre un piccolo capitolo della storia del calcio che arriva fino ai giorni nostri, che elenca pochi sparuti casi di folli sognatori del pallone che hanno osato perizie balistiche di quel tipo.
Su tutti, ne spunta uno, un re anonimo e spettacolare per un tipo di prodezza spettacolare e anonima: Massimo Palanca.
- I primi anni di Massimo Palanca
- Massimo Palanca: eroe di Catanzaro
- Massimo Palanca e il flop al Napoli
- Gli ultimi anni da calciatore di Massimo Palanca
- Massimo Palanca gol olimpici e tutto il resto
- Massimo Palanca oggi: cosa fa e il libro su di lui
I primi anni di Massimo Palanca
Che un calciatore passato alla storia soprattutto per segnare gol miracolosi sia nato a Loreto, non dovrebbe stupire. Era il 21 agosto 1953, e la famiglia Palanca si trovava nel celebre Santuario della Madonna, anche se poi sarebbe tornata presto nella natia Porto Recanati, dove il padre Renato aveva trovato lavoro come portiere di condominio. Famiglia numerosa di dieci persone, tra cui sei sorelle. Due figli maschi, entrambi calciatori: Massimo impara a giocare nel campetto del palazzo assieme al fratello Gianni, maggiore di cinque anni, e da lì a poco entrambi sono a giocare nei ragazzi del Portorecanati.
Gianni esordisce nel 1967 in prima squadra: è un discreto difensore, e in carriera arriverà a giocare in Serie B, vestendo soprattutto le maglie di Pescara e Taranto. Quando nel 1968 arriva al Pescara, in Serie C, sembra possa avere una gran bella carriera, ma sarà il fratellino Massimo a lasciare impresso il suo nome nel grande libro della storia del calcio, sebbene in quel piccolo capitolo che spesso i lettori saltano a piè pari. Nel 1970 entra ancora minorenne nel Camerino, un altro piccolo club marchigiano all’epoca in Serie D, e dopo una stagione di assestamento arriva già a essere la stella della squadra.
Nel 1973 chiuse l’annata con 16 gol complessivi, e così lo prende subito il Frosinone, che milita in Serie C. Ha solo vent’anni, ma l’allenatore Umberto Mannocci – uno che negli anni Sessanta ha anche allenato la Lazio in Serie A, capisce subito che ha a che fare un giocatore fuori categoria. Massimo Palanca chiude l’annata del suo esordio tra i professionisti con 18 reti segnate, anche se il Frosinone si ferma all’ottava posizione a causa soprattutto di una difesa molto fragile. La promozione la ottiene da solo, il marchigiano: nell’estate nel 1974 lo acquista il Catanzaro. Per un ragazzo col suo talento e quel fulminante inizio di carriera, il piccolo club calabrese sembra essere solo una tappa, e invece finirà per diventare la sua casa.
Massimo Palanca: eroe di Catanzaro
Le Aquile del Sud sono una squadra di grande tradizione che viene da 15 anni di successi: nel 1959 sono stati promossi in Serie B, l’anno dopo hanno conquistato la Coppa delle Alpi, nel 1966 sono arrivati clamorosamente in finale di Coppa Italia, e nel 1971 sono stati promossi per la prima volta in Serie A, anche se solo per retrocedere subito.
Il presidente Nicola Ceravolo sogna in grande, però: ha affidato la panchina a Gianni Di Marzio, e in difesa ha l’ex milanista Luigi Maldera il giovane prodotto del vivaio della Roma Claudio Ranieri. Ma ha perso il bomber Carlo Petrini, passato alla Ternana in Serie A, e così ha investito molto sul 21enne Palanca per sostituirlo. Il marchigiano però soffre il passaggio di categoria, e segna appena 5 reti; nonostante questo, Di Marzio ha messo insieme una bella squadra che arriva fino al quarto posto, sfiorando la promozione.
L’anno dopo, finalmente Palanca si è ambientato, e con 11 reti è il capocannoniere della squadra, che conquista con il secondo posto il passaggio in Serie A. Il Catanzaro non subisce grandi stravolgimenti di rosa, ma i giocatori non riesco a mantenere la categoria, e così nuovamente tornano in B. L’attaccante di Loreto anche in questo caso dimostra di aver bisogno di più tempo per adeguarsi alla categoria superiore del calcio italiano, e conclude l’annata con appena 8 gol complessivi, di cui 5 in Serie A.
Di Marzio passa sulla panchina del Napoli, e così Ceravolo chiama un po’ a sorpresa Giorgio Sereni, disoccupato da due anni. La scelta si rivela azzeccata, anche perché Massimo Palanca, ormai è entrato nel piano della maturità: realizza addirittura 20 gol, di cui 18 in campionato, e si laurea capocannoniere della Serie B. Ma, soprattutto, il Catanzaro arriva di nuovo secondo, e riconquista immediatamente la Serie A. Adesso, però, l’obiettivo è restarci. Così Ceravolo prende in porta Massimo Mattolini dalla Fiorentina, e in difesa l’esperto Maurizio Turone dal Milan.
Ma il vero innesto decisivo è l’allenatore, Carlo Mazzone, reduce da tre belle stagioni alla Fiorentina ma ora in cerca di una nuova sfida. Il nuovo Catanzaro è una squadra solida ed equilibrata, che fa risaltare le qualità offensive della sua stella, e grazie ai suoi 10 gol ottiene un convincente nono posto in classifica. Ma la vera impresa è in Coppa Italia, torneo in cui Palanca segna ben 8 reti e porta i calabresi fino alle semifinali, arrendendosi solo alla Juventus di Trapattoni. Ma l’impresa è innegabile, e dopo il titolo di re dei goleador del campionato cadetto vinto l’anno prima, Massimo Palanca è anche capocannoniere della Coppa Italia.
Il contraccolpo si sente nella stagione dopo, con il Catanzaro che fatica e Mazzone che viene esonerato a poche partite dalla fine. Per i calabresi sarebbe terz’ultimo e posto e retrocessione, ma nel frattempo è scoppiato il grande scandalo del Totonero: diversi giocatori e dirigenti risultano coinvolti in un giro di partite truccate, e più di tutti risultano problematiche le situazioni di Lazio e Milan. Biancocelesti e rossoneri vengono così retrocessi d’ufficio (assieme al Pescara, retrocesso sul campo), e il Catanzaro si trova incredibilmente ripescato in Serie A.
In estate, Ceravolo cede la società ad Adriano Merlo, che subito assume come allenatore delle Aquile del Sud Tarcisio Burgnich, reduce da buone annate in Serie C col Livorno. Il principale rinforzo in campo è il giovane centrocampista Antonio Sabato in prestito dall’Inter, ma soprattutto si va affermando, nello stesso settore del campo, anche il giovane Massimo Mauro, brillante prodotto del vivaio calabrese. Massimo Palanca resta l’intramontabile certezza del Catanzaro, che vive un’altra stagione sorprendente e si piazza all’ottavo posto in Serie A. Quasi raggiunta l’età di 28 anni, ‘L’Imperatore’ – com’era chiamato dai suoi tifosi – capì che ormai era un grande attaccante del campionato italiano, e poteva ambire al salto di qualità e a vincere qualche trofeo.
Massimo Palanca e il flop al Napoli
Il Napoli di Ferlaino, terzo nell’ultimo campionato, decise di puntare su di lui. I partenopei sono una buona squadra, ben gestita dal tecnico Rino Marchesi, e con alcuni elementi di valore, come il bomber Claudio Pellegrini, riuniti attorno a una stella come l’olandese Ruud Krol. Massimo Palanca arriva a portare qualità e gol in un attacco che, nella stagione precedente, ha dimostrato di essere all’altezza di quello di big come Juventus, Roma e Inter.
Ma in Campania il marchigiano si smarrisce totalmente: in 29 partite, riesce a realizzare un solo gol. Il Napoli arriva comunque quarto in campionato, ma il flop di Palanca è pesante. Ormai s’è capito che l’attaccante di Loreto ci mette sempre un po’ ad adattarsi a un nuovo contesto, ma il Napoli non ha tempo di aspettare: Ferlaino acquista il promettente Ramon Diaz dal River Plate, e Palanca passa addirittura in Serie B, al Como. A convincerlo a scendere di categoria, dopo la delusione di Napoli, è Tarcisio Burgnich, ma sulle sponde del lago Palanca fornirà un’altra annata lontano dai suoi standard, fallendo anche la promozione coi lombardi.
Torna al Napoli, dove nel frattempo in panchina s’è seduto Pietro Santin, e dove pure Ramon Diaz ha fallito ed è stato spedito all’Avellino. Nonostante questo, anche stavolta Palanca non riesce a integrarsi, e segna 1 solo gol in 19 partite, con la squadra che chiude undicesima. Alla fine della stagione ha quasi 31 anni, e ormai il treno per un posto tra i grandi lo ha perso.
Gli ultimi anni da calciatore di Massimo Palanca
La decisione che prende l’attaccante marchigiano nell’estate del 1984 è inaspettata e clamorosa: dalla Serie A scende direttamente in quarta serie, la C2, accordandosi col Foligno allenato da Dante Fortini, appena retrocesso dalla C1. È una squadra esperta, che tra i pali vanta uno come Lamberto Boranga e in difesa c’è l’ex Perugia Antonio Ceccarini. In Umbria disputa due buone stagioni a livello realizzativo, ma alterne come risultati in campo: nella prima, il Foligno arriva quinto e sfiora la promozione, ma in quella successiva va malissimo e addirittura retrocede.
Così per Palanca si apre la via di un clamoroso ritorno al Catanzaro, nel frattempo sceso in Serie C1. Della squadra dei tempi d’oro non è rimasto più nessuno, e ora l’allenatore è Claudio Tobia. Ma Massimo Palanca è a casa, e lo dimostra subito: a 33 rinasce, e con 17 reti trascina i calabresi al ritorno in Serie B. Cambio in panchina: arriva dal Bologna Vincenzo Guerini, ma le Aquile del Sud continuano a vivere un momento di forma eccellente, e con le reti del loro idolo salgono fino al quinto posto finale.
La proprietà, ora nelle mani di Giuseppe Albano, vuole riportare il Catanzaro in Serie A, così richiama in panchina Tarcisio Burgnich, ma dopo solo sei giornate è costretta a licenziarlo. Tramite un’altra operazione nostalgia, viene richiamato Gianni Di Marzio, ma il Catanzaro si ferma all’undicesimo posto. Il trend è discendente, e nell’annata successiva, quella 1989/1990, arriva infine la retrocessione in Serie C1. Massimo Palanca è rimasto l’unica gioia per i tifosi di questi anni, continuando a segnare a raffica nonostante l’età avanzasse. Ma, a 37 anni, il marchigiano decide che è giunto il momento di ritirarsi.
Massimo Palanca gol olimpici e tutto il resto
Come detto all’inizio, la figura di Palanca è legata innanzitutto ai suoi celebri gol da calcio d’angolo: in carriera ne ha realizzati ben 13, tutti col suo magico sinistro, diventando uno dei massimi esponenti di questa rara specialità.
Oltre a questo, l’attaccante di Loreto ha totalizzato 210 gol in 597 partite della sua lunga carriera, di cui ovviamente la maggior parte con la maglia del Catanzaro. Giocando per le Aquile del Sud in due distinte parentesi Massimo Palanca ha segnato 137 gol in 367 partite, ed è il maggior realizzatore della storia del Catanzaro per quanto riguarda la Serie A. Tutte le reti fatte in carriera gli hanno permesso di vincere per ben tre volte il titolo di capocannoniere di una competizione, sempre con la maglia del Catanzaro: nel 1978 della Serie B, nel 1979 della Coppa Italia e nel 1987 della Serie C1. Nel 1981, invece, arrivò secondo dietro il romanista Pruzzo nella classifica dei bomber della Serie A.
Massimo Palanca oggi: cosa fa e il libro su di lui
Dal suo ritiro nel 1990 sono passate diverse stagioni e il calcio è molto cambiato. Massimo Palanca oggi ha 69 anni compiuti, ma della sua vita post calcio si sa molto poco. L’ormai ex attaccante marchigiano è tornato nella sua terra natia, pur se continua sempre a seguire e sostenere il Catanzaro, oggi primo nel Girone C della Serie C.
Personaggio unico e indimenticabile, soprattutto per i tifosi delle Aquile del Sud, Massimo Palanca è stato anche recentemente ricordato in un libro: “Tredici gol dalla bandierina”, romanzo del 2018 scritto da Ettore Castagna e pubblicato da Rubbettino Editore.
Fino a non molti anni fa, Palanca gestiva assieme al figlio un negozio di abbigliamento a Camerino, vicino a Macerata, dove era iniziata la sua carriera nei primi anni Settanta. Purtroppo, il negozio è andato distrutto come gran parte della storica cittadina marchigiana a causa del terremoto del 2016. “Sì, ci vorrebbe un bel gol dal calcio d’angolo per sbloccare questa partita. Un gol a effetto, come riusciva solo a me. Il problema non è la distruzione in sé ma il fatto che non si può più lavorare, la città è chiusa. – raccontava nel 2020 – Servirebbe un intervento del Governo. Certo, c’è la burocrazia, che è un brutto portiere. Però sarebbe bello fargli entrare il pallone in rete da quaggiù, dall’angolo, dalla bandierina”.