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Morto Kurt Hamrin, lo svedese che accese Firenze: perché lo chiamavano uccellino

Lutto nel mondo del calcio, a 89 anni scompare l'ex attaccante viola che vinse anche la coppa Campioni con il Milan e chiuse la carriera a Napoli

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Fabrizio Piccolo

Fabrizio Piccolo

Giornalista

Nella sua carriera ha seguito numerose manifestazioni sportive e collaborato con agenzie e testate. Esperienza, competenza, conoscenza e memoria storica. Si occupa prevalentemente di calcio

L’uccellino ha cantato per l’ultima volta. Nuovo lutto nel mondo dello sport: all’età di 89 anni è morto Kurt Hamrin, leggendario bomber svedese che la Juve non seppe capire e che divenne idolo della Fiorentina per 9 anni prima di vincere ancora con la maglia del Milan e chiudere la carriera al Napoli. In carriera è stato nazionale sia di hockey che di calcio, arrivando a disputare la finale dei Mondiali ’58 in casa contro il Brasile di Pelè.

La Juventus non seppe aspettare Hamrin

Quando lo acquistò la Juventus, nell’estate del 1956, era già un calciatore conosciuto ma il primo anno in Italia fu complicato, segnato dal difficile ambientamento, suo e della moglie Marianne, e dagli infortuni. Venne etichettato, anche per le sue dimensioni fisiche, giocatore troppo fragile per la serie A. A Torino gli affibbiarono il brutto appellativo di “caviglia di vetro”. Ma il suo soprannome definitivo arrivò dopo.

Nel Padova allenato da Nereo Rocco Hamrin segnò venti reti in trenta partite conducendo i patavini ad un prestigioso terzo posto. La Juventus decise di non credere in lui e lo cedette, per 100 milioni, alla Fiorentina. I viola dovevano sostituire l’asso brasiliano protagonista dello scudetto 1955-1956 e che dopo tre campionati, corroso dalla saudade, tornava a San Paolo: Julinho. E’ qui che Hamrin diventa “uccellino”.

Un giornalista fiorentino lo battezzò uccellino.

“Uccellino”, questo il suo soprannome, guadagnato grazie alla facilità di superare gli avversari e prendere il volo in campo. Era stata una battuta di un grande personaggio fiorentino (Renzo Propidi, in arte il Conte Razza), ripresa e amplificata su “La Nazione” da Beppe Pegolotti. «Scrisse che il mio modo di correre ricordava quello di un uccellino che vola», ricordò lui, per niente spaventato dall’idea di dover sostituire Julinho. Aveva appena perso la finale mondiale del ’58, quella che Nils Liedholm, stella della Svezia all’epoca: raccontava sempre così: “Passammo in vantaggio noi poi io mi feci male e dovetti uscire, così il Brasile rimontò e vinse”.

Hamrin e l’eredità di Julinho

«Non è stata un’eredità pesante –ricordava Hamrin– perché ero diverso da Julinho, lui segnava poco mentre io la buttavo dentro più spesso». Tra le tante reti in viola (memorabile, tra le altre, la vittoria per 7-1 a Bergamo contro l’Atalanta con 5 gol del bomber svedese), Hamrin non ha mai avuto dubbi sulla scelta di quella più bella: «Quella segnata alla Juventus (il 27 marzo 1960, ndr): Montuori mi ha dato la palla, ho saltato un difensore e ho calciato al volo».

Il dribbling, secco con cui saltava gli avversari e la “rapacità” sotto porta, dovuta a riflessi straordinari, lo caratterizzarono come uno dei maggiori opportunisti dell’area di rigore. Un repertorio straordinario per un attaccante che segnava di destro, di sinistro e, nonostante l’altezza, anche di testa.

La carriera di Hamrin

Rimase in viola dal 1958 al 1967 vincendo due Coppa Italia, una Coppa delle Coppe e una Mitropa Cup e con un bottino di 151 gol. Nelle battute finali del calciomercato 1967-1968 accade quello che i tifosi viola non avrebbero mai voluto vedere. È il 12 luglio: la Fiorentina acquista Amarildo dal Milan in cambio di Hamrin e di 175 milioni di lire.

Dopo nove stagioni in viola Hamrin giocò due anni per il Milan, vincendo uno scudetto, la Coppa delle Coppe nel 1968 e la Coppa dei Campioni nel 1969. A Napoli ha chiuso la carriera di calciatore: due stagioni dal 69 al 71. In serie A ha segnato 190 gol in 400 partite disputate. Dopo aver chiuso col calcio ha intrapreso la carriera di assicuratore e poi di esportatore di prodotti italiani in Scandinavia.

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