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La storia del calciatore Paolo Poggi e della sua figurina

Paolo Poggi è stato un validissimo attaccante di provincia arrivato anche in Serie A, ma è noto soprattutto per la storia della sua figurina.

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Claudio Cafarelli

Claudio Cafarelli

Giornalista

Classe 1985: SEO, copywriter e content manager. Laurea in Economia, giornalista pubblicista.

La storia del calciatore Paolo Poggi e della sua figurina Fonte: Imago Images

20 anni di carriera con quasi 10 stagioni in Serie A e 8 club diversi, oltre 616 presenze tra i professionisti e 131 gol segnati. Una carriera di tutto rispetto, quella di Paolo Poggi, nonostante un palmares non molto pieno (ha conquistato un solo trofeo, la Coppa Italia del 1993). Eppure, la sua fama tra i tifosi e gli appassionati di calcio è dovuta a qualcosa che non c’entra praticamente nulla con quanto fatto sul campo da gioco.

Paolo Poggi è infatti stato consegnato alla storia del calcio italiano in una strana accoppiata col centrocampista Sergio Volpi, i due calciatori di Serie A più mitici e ricercati del loro periodo. Il tutto per una figurina.

Paolo Poggi: la storia della figurina leggendaria

Dobbiamo fare un salto fino al 1997. La Dolber, industria dolciaria di Bergamo, se ne uscì con un progetto molto ambizioso: un proprio album delle figurine, per fare concorrenza a quello storico della Panini. L’idea era di fare un album più piccolo e comodo da trasportare per i giovani tifosi (che lo nascondevano sotto al banco a scuola o lo portavano in giro per fare scambi con gli amici) e assolutamente gratuito. Le figurine potevano essere acquistate singolarmente, invece che a gruppi in una bustina, e le si trovava assieme alle gomme da masticare prodotte dalla Dolber.

Il nuovo album era un prodotto accattivante per i giovanissimi: costava poco, era più facile da completare, e insieme ci compravi anche i chewing gum. In più, c’era un concorso a premi: chiunque avesse completato l’album, si sarebbe visto recapitare a casa una maglia originale autografata da un calciatore di Serie A.

Il successo fu immediato, anche perché in quel momento il campionato italiano era al suo massimo splendore. In estate, l’Inter aveva concluso il clamoroso trasferimento di Ronaldo dal Barcellona, portando in Serie A il calciatore più forte e spettacolare al mondo. In più, a fine stagione ci sarebbero stati gli attesissimi Mondiali in Francia. Un successo che andava ben al di là dell’effettiva qualità dell’album Dolber, che contava appena 11 giocatori per squadra e non sempre si trattava dei migliori e dei più ovvi titolari.

Ma cosa c’entra Paolo Poggi in tutto questo? Semplice: la sua figurina e quella di Sergio Volpi si rivelarono presto introvabili. Il mito iniziò a crescere già all’epoca, ma assunse una grande portata solo negli anni successivi, grazie alla diffusione anche in Italia di internet e al fiorire di blog e articoli sulla leggenda delle figurine introvabili di Poggi e Volpi. Il fatto che non si trattasse di due giocatori di primo piano, contribuì ulteriormente al mito: molti giovani tifosi scoprirono l’esistenza di questi giocatori proprio per via della loro assenza dagli album Dolber.

Il caso della figurina di Paolo Poggi e di quella del collega Volpi oggi potrebbe sembrare un aneddoto bizzarro, ma all’epoca arrivò addirittura in parlamento. Il 3 aprile 1998, l’onorevole Mauro Paissan (Gruppo Misto) fece un’interrogazione parlamentare sull’episodio, paventando la possibilità di “una vera e propria truffa ai danni dei consumatori, nonché di pubblicità ingannevole”. La possibilità paventata dal politico era che la Dolber avesse stampato alcune figurine in numero sensibilmente minore per incentivare l’acquisto compulsivo di gomme da masticare, al fine di trovare le ultime due figurine mancanti dell’album. Stavano davvero così le cose? Il caso dell’album Dolber e delle figurine di Poggi e Volpi era solo una colossale truffa? Prima di rispondere, concediamo il giusto spazio a uno dei due ignari e innocenti protagonisti di questa curiosa vicenda: chi era il calciatore Paolo Poggi?

Paolo Poggi: il calciatore oltre la figurina

Nato a Venezia il 16 febbraio 1971, Paolo Poggi è entrato nelle giovanili del club arancio-nero-verde, arrivando a esordire in prima squadra nel 1989 in Serie C1. All’epoca, la squadra lagunare era già di proprietà dell’imprenditore Maurizio Zamparini, che fino al 1987 aveva posseduto il Pordenone in Serie C2. Zamparini aveva grandi ambizioni di portare il Venezia in A, e poteva avvalersi di una buona squadra con alcuni giovani interessanti: uno era appunto Poggi, di ruolo attaccante, mentre l’altro era il terzino sinistro Michele Serena.

Il Venezia chiuse solo quarto, sfiorando la promozione, ma Paolo Poggi disputò una bella annata, segnando 2 gol in 10 presenze. Zamparini assunse Alberto Zaccheroni in panchina per l’anno dopo, e il tecnico romagnolo promosse Poggi titolare e condusse i veneti alla risalita in Serie B. Nel campionato cadetto, nonostante le varie intemperanze presidenziali – che condussero all’esonero di Zaccheroni e poi al suo richiamo – il Venezia riuscì a salvarsi e Poggi portò a 7 reti stagionali il suo record personale.

Nell’estate del 1992 il Torino lo acquistò per 5 miliardi di lire, portandolo in Serie A agli ordini di Emiliano Mondonico. I granata erano una grande squadra: l’anno prima erano arrivati terzi in classifica e in finale di Coppa UEFA. Ma avevano anche dovuto cedere alcuni elementi di spicco (Rafael Martin Vasquez, Roberto Policano, Roberto Cravero, e soprattutto Gianluigi Lentini). La nuova rosa del Torino ripartiva quindi da un nuovo attacco, in cui – tra il bomber veterano Walter Casagrande e la promessa ghanese Emmanuel Duah – figuravano ora l’ex bomber del Genoa ‘Pato’ Aguilera e il promettente Andrea Silenzi, arrivato dal Napoli.

Il Torino chiuse solo nono in classifica, ma vince la Coppa Italia, e Poggi, pur non essendo un titolare fisso, fece una buona impressione e segnò 5 reti complessive. L’anno seguente, la squadra granata si rafforzò ulteriormente con gli innesti di Marco Osio, Robert Jarni, Benito Carbone ed Enzo Francescoli. Poggi replicò la bella stagione precedente, ma alla fine i problemi economici della società piemontese costrinsero in estate a cessioni importanti, e il talento veneziano dovette essere così venduto per fare cassa.

Paolo Poggi all’Udinese: gli anni d’oro

Divenne uno dei colpi estivi dell’Udinese, in Serie B, trovandosi in una squadra con elementi di valore come Thomas Helveg, Valerio Bertotto e Raffaele Ametrano. Iniziò a rendere al meglio soprattutto dopo che in panchina subentrò Giovanni Galeone, che seppe valorizzare al meglio la coppia offensiva composta da Paolo Poggi e Denis Godeas. Grazie alle 11 rete messe a segno dal veneziano, l’Udinese arrivò seconda e salì in Serie A.

Di nuovo nella prima categoria italiana, Poggi si ricongiunse con Zaccheroni, chiamato in panchina per la nuova avventura in Serie A. Nell’attacco a tre di ‘Zac’, Poggi si rivelò un ottimo partner per il tedesco ex Ascoli Oliver Bierhoff, vera rivelazione della stagione, e da qui in poi l’Udinese aprì un suo piccolo ciclo. Quell’anno chiuse undicesima, ma quello dopo fu addirittura quinta, con qualificazione alla Coppa UEFA. E, soprattutto, Paolo Poggi visse una grande stagione, e con 14 gol era il miglior marcatore della squadra, brillando in un attacco che vantava, oltre al già citato Bierhoff, anche il brasiliano Marco Amoroso.

Arriviamo così alla stagione della figurina di Paolo Poggi: l’attaccante veneziano aveva 26 anni ed era al massimo della sua carriera, pronto a consacrarsi come una delle più efficaci punte della Serie A e – perché no? – magari ambire anche a un posto nella nazionale di Cesare Maldini per i Mondiali di Francia. La convocazione, alla fine, non arrivò, nonostante altre 14 reti e un’Udinese in grado di salire addirittura fino al terzo posto in classifica, ormai tra le grandi del calcio italiano.

Nell’estate del 1998 Zaccheroni e Bierhoff passarono al Milan, e a Udine arrivò Francesco Guidolin, artefice del miracolo Vicenza. Arrivò anche un cambio tattico, dando un ruolo più centrale in attacco ad Amoroso, con Poggi impiegato più come punta di supporto, ma sebbene si sia fermato a soli 3 gol, i friulani centrarono comunque un bel sesto posto. Nella stagione seguente, in panchina si sedette Luigi De Canio, e con la partenza di Marcio Amoroso e l’arrivo di Roberto Muzzi, Paolo Poggi si ritrovò a essere l’ultimo componente del terzetto magico di Zaccheroni ancora in bianconero. Almeno fino a gennaio.

Paolo Poggi con la maglia della Roma Fonte: Imago Images

Paolo Poggi: dalla Roma al ritorno a Venezia

A metà della stagione 1999/2000, infatti, sulla scrivania dell’attaccante veneto arrivò l’offerta della vita: trasferimento alla Roma di Fabio Capello, una delle squadre più forti e ambiziose del campionato, che puntava a conquistare a breve lo scudetto. In attacco giocavano fissi Totti, Montella e Delvecchio, ma i giallorossi avevano problemi di alternative: il brasiliano Fabio Junior, acquistato dal Cruzeiro per 30 miliardi di lire, si era rivelato un flop colossale, e serviva una buona riserva che garantisse qualche gol.

Per la verità, Poggi alla Roma ebbe poche occasioni, scese in cambio per un totale di 11 partite senza mai segnare, e a fine stagione Capello decise che era superfluo (soprattutto dopo che il presidente Sensi gli aveva comprato Abel Balbo e Gabriel Batistuta). Il veneziano rimase in giallorosso altri sei mesi senza mai vedere il campo, e a gennaio venne prestato al Bari, dove però non fu sufficiente a evitare la retrocessione dei pugliesi.

A 30 anni, la sua carriera ricominciò allora dall’Emilia-Romagna: la Roma lo vendette al Parma, che subito lo girò in prestito al Piacenza di Walter Novellino. Squadra più che decente e ben allenata, i Lupi potevano vantare elementi di sicuro valore come Paolo Orlandoni, Alessandro Lucarelli, Carmine Gautieri ed Eusebio Di Francesco. Paolo Poggi si rivelò il perfetto partner offensivo per Nicola Caccia e Dario Hubner, che quell’anno conquistò incredibilmente il titolo di capocannoniere della Serie A, trascinando il Piacenza fino al 12° posto finale.

Ma questa stagione è ricordata soprattutto per due cose. La prima è che finalmente, dopo quattro anni dalla mitica vicenda delle figurine, Paolo Poggi e Sergio Volpi si trovarono a giocare nella stessa squadra. La seconda, è una questione decisamente più sportiva e prestigiosa, invece. Il 2 dicembre 2001, durante una sfida contro la Fiorentina, Paolo Poggi realizzò il gol più veloce della storia della Serie A, spedendo in rete dopo appena 8 secondi. Sarà uno dei soli 4 gol della sua stagione, ma stabilirà un record destinato a durare per 19 anni.

La carriera di Poggi riprende nell’estate del 2002 là dov’era iniziata, con un romantico ritorno al Venezia, accettando una forte riduzione d’ingaggio. La squadra ora milita in Serie B, ma il vero problema è che Zamparini se n’è andato spostando in blocco i migliori giocatori al suo nuovo club, il Palermo. Poggi è il leader di una squadra messa insieme alla benemeglio e affidata al tecnico Gianfranco Bellotto, che grazie alle 8 reti del suo centravanti riesce a ottenere la salvezza.

L’anno dopo sceglie di tornare in A, accettando la chiamata dell’Ancona, che sta mettendo insieme una squadra di grande esperienza e vuole riformare l’attacco con lui e Hubner che aveva fatto impazzire Piacenza. Resta nelle Marche solo sei mesi, in cui la squadra biancorossa si rivela un autentico disastro. A gennaio torna al Venezia, ma senza riuscire a salvarlo. Così, nel 2004 scende in C1 per giocare nel Mantova di Domenico Di Carlo, di nuovo là davanti con Dario Hubner. È l’ultima grande annata della carriera di Paolo Poggi, che segna 11 reti e porta la squadra lombarda alla promozione in B.

Gioca ancora un buon campionato nella serie cadetta col Mantova, poi torna a chiudere la carriera in Serie C1, di nuovo al suo Venezia. Tre annate da titolare, condite da 15 gol in 96 presenze, ottenendo tre salvezze consecutive prima di ritirarsi. Il suo futuro è stato come dirigente tecnico, tornando al Mantova nel 2009; quattro anni dopo è passato a dirigere le giovanili dell’Udinese, e poi dal 2016 è tornato, ovviamente, a lavorare al Venezia.

Paolo Poggi con la maglia del Mantova Fonte: Imago Images

Paolo Poggi e la figurina introvabile: com’è finita la storia?

Ma cosa accadde con quella storia della figurina ultra rara? Era davvero una truffa? Nel marzo 1998, risultava che la Dolber aveva già assegnato 1.700 premi sui 2.500 previsti per i suoi giovani collezionisti. Un dato che rivela che erano state trovate almeno 3.400 figurine di Poggi e Volpi: quindi, proprio introvabili non erano. Ad ogni modo, le accuse di Paissan finirono nel nulla, e non ci furono mai né condanne né processi: al termine delle dovute indagini, tutto era risultato regolare.

Nel 2016, Simone Vacatello ha contattato la Dolber per conto di ‘Vice Italia’ per avere informazioni sulla leggenda della figurina di Paolo Poggi e su quella del suo illustre collega Sergio Volpi. Ovviamente, a 18 anni dall’accaduto, le persone responsabili di quel progetto non facevano più parte dell’azienda, e non potevano dare risposte precise. Ma la Dolber ha spiegato che, ad ogni modo, lei era solo responsabile della distribuzione in Italia delle figurine, che erano state prodotte in realtà da un’azienda spagnola. Il mistero si è sciolto così senza scandali né clamorose rivelazione: la figurina di Poggi e quella di Volpi sono state solo una leggenda per bambini di fine anni Novanta.

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